Dialogo con l’opera d’arte: il doppio livello
di una relazione profonda
Rossella Cubeddu1, Ilaria Innocenti2


Una delle difficoltà più serie per il terapeuta è quella di interpretare un racconto. Evidenziando i fatti in linea con la sua ipotesi di lavoro, egli ne trascura altri potenzialmente più importanti e, proponendo letture di parte, mortifica la ricchezza dell'esperienza vissuta nelle situazioni interpersonali con cui si confronta. Scopo della rubrica “La pagina letteraria” è quello di fornire proposte di lettura e di riflessione intorno alla possibilità di un racconto esaustivo. Potere del poeta, dello scrittore e dell’artista in genere è quello di costruire, con mezzi apparentemente semplici, una informazione efficace sulle situazioni interpersonali considerate nella loro complessità. Dovere del ricercatore è quello di partire da descrizioni di questo genere, per separare con precisione l'informazione sui fatti dalla teoria che li interpreta.


One of the most difficult tasks for the therapist is to relate his case-story. Stressing facts in line with his working hypothesis, he overlooks other ones potentially more important. By proposing only certain interpretations he damages the wealth of first hand experience coming from the interpersonal situation with which he is faced. The section devoted to the literary page aims to provide suggestions and meditations towards the possibility of an exhaustive report. The power of poets, writers and artists in general, apparently using simple tools, creates clear information on interpersonal situations seen in their complexity. The researcher, starting from such descriptions, has to separate precisely information on facts from the theory which explains them.


Una de las mayores dificultades encontradas por el terapeuta es la interpretación del relato. El terapeuta evidenciando solo los hechos que concuerdan con su hipótesis de trabajo, descuida otros potencialmente más importantes. Además proponiendo interpretaciones parciales envilece la riqueza de la experiencia vivida en las situaciones interpersonales con las cuales se confronta. El objetivo de la sección “la página literaria”, es el dar sugerencias y puntos de reflexión sobre cómo obtener en la medida de lo posible, un relato exhaustivo. Poetas, escritores y artistas en general tienen en sus manos el poder de construir con elementos aparentemente simples, una información eficaz sobre situaciones interpersonales observadas en su globalidad y complejidad, mientras que el investigador tiene el deber de basarse sobre las descripciones para separar con precisión los hechos de la teoría que los interpreta.


Riassunto. Partendo dall’idea che la relazione con l’arte rappresenti un’esperienza complessa che coinvolge i livelli profondi della dimensione psichica, abbiamo costruito un’ipotesi centrata sulla fruizione artistica, e quindi la relazione con l’opera d’arte, come elemento significativo nel processo evolutivo personale. Abbiamo analizzato i meccanismi psichici che ne sono alla base dal punto di vista psicoanalitico, tenendo conto dei recenti studi delle neuroscienze e della neuroestetica. L’opera d’arte può essere pensata come un sogno in quanto contiene in sé un doppio registro di significato che corrisponde a un duplice livello di lettura e di relazione con essa. Infatti, nella nostra ipotesi, anche nell’opera d’arte esistono due tipi di contenuti che vengono espressi e percepiti: un contenuto “manifesto” e uno “latente” che veicolano ed esprimono in forma simbolica elementi inconsci profondi sia dell’autore sia del fruitore. L’opera d’arte nella sua complessità diventa dunque un punto di incontro e di contatto tra elementi inconsci di entrambi, e la relazione con essa favorisce movimenti psichici anche trasformativi attraverso la possibilità di attivazione di contenuti altrimenti perduti in quanto non elaborabili poiché attinenti ad aree psichiche pre-verbali e pre-simboliche.
Parola chiave. Esperienza estetica, creatività, simbolizzazione, memoria implicita, inconscio non rimosso, neuroestetica, doppio livello di significato.


Summary. Dialogue with the work of art: the double layer of a deep relationship.
Starting from the idea that the relationship with art represents a complex experience that involves deep levels of the psychic dimension, we have built a hypothesis centered on the artistic fruition, namely the relationship with the work of art, as significant step in the personal evolutionary process. We analyzed the psychological mechanisms that underlie from the psychoanalytic point of view, taking into account recent studies of neuroscience and neuroaesthetics. The work of art can be thought of as a dream as it contains within it a double level of meaning corresponding to a double level of reading and relationship with it. In fact, in our hypothesis, even in a work of art there are two types of contents that are expressed and perceived: a manifest content and a latent content that carry and express in symbolic form deep unconscious elements of the author and the viewer. The work of art in all its complexity thus becomes a meeting point between the unconscious elements of both the author and the viewer, and the relationship with it also fosters psychic transformative movements through the possibility of activation of otherwise lost content - as they can’t be elaborate - as related to psychological pre-verbal and pre-symbolic areas.
Key words. Aesthetic experience, creativity, symbolization, implicit memory, non-repressed unconscious, neuroaesthetics, double level of meaning.


Resumen. Dialogo con la obra de arte: el double nivel de una relatión profunda.
La relación con el arte representa una experiencia compleja que implica niveles profundos de la dimensión psíquica. Empezando desde esta idea, hemos construido una hipótesis centrada en el hecho de disfrutar del arte y en la relación con la obra de arte como elemento significativo en el desarrollo evolutivo personal. Hemos analizado los mecanismos psíquicos que están a la base desde el punto de vista psicoanalitico, tenendo en cuenta de los estudios sobre la neurociencia y la neuroestética. La obra de arte puede ser pensada como un sueño que lleva un doble nivel de significado y una doble lectura y relación con la misma. De hecho, en la obra de arte también existen dos tipos de contenido expresos y percibidos: hay un contenido manifiesto y uno latente, que expresan de manera simbólica elementos inconscientes profundos del autor y de quien disfruta. La obra de arte en su complejidad llega a ser un punto de encuentro entre los elementos inconscientes de los dos y la relación con esa favorece movimientos psíquicos de transformación a través de la posibilidad  de activar contenidos que serían perdidos en cuanto no son pueden elaborar como se refieren a áreas preverbales y presimbolicas.


«L’arte è un privilegio», afferma Louise Bourgeois [1], scultrice e artista francese fra le più significative del nostro tempo, recentemente scomparsa. 
Non soltanto per chi la crea ma, aggiungiamo noi, anche per chi ci entra in relazione e ne può godere intimamente.
Tutti noi, infatti, abbiamo un rapporto più o meno diretto, costante, profondo con le mostre, i musei e le opere d’arte visiva in senso lato che, in modo più o meno centrale, hanno un peso nella nostra vita e di cui spesso non siamo consapevoli. Ci avviciniamo alle opere d’arte con atteggiamento curioso, distratto, reverente, colto, annoiato ma forse non sempre ci accorgiamo che accade qualcosa dentro di noi a vari livelli.
Qualcosa di emotivo che coinvolge livelli più o meno profondi di noi stessi.
Per questo e per interessi personali e professionali, ci siamo trovate a cercare di capire più da vicino il rapporto psicologico con l’opera d’arte visiva.
In particolare, abbiamo centrato la nostra riflessione sulla complessità della fruizione artistica e il rapporto con l’opera d’arte come elemento significativo nello sviluppo individuale, dall’infanzia e nel corso di tutta la vita, ritenendolo un momento fondamentale nella vita di ogni individuo per le molteplici implicazioni che possiede.
Seguendo l’idea che esiste una profonda funzione educativa ed evolutiva nella relazione con l’arte, per la società, la scuola e la famiglia, abbiamo articolato le nostre ricerche sulla relazione con l’opera d’arte visiva combinando le teorie psicoanalitiche dei meccanismi psichici che ne sono alla base con le neuroscienze con l’obiettivo di costruire un’ipotesi sulla fruizione artistica utile per comprendere più a fondo i meccanismi e per potenziarne le possibilità evolutive e trasformative, insite nella relazione con l’opera d’arte appunto.
Partendo dall’analisi dei meccanismi psichici alla base della fruizione, abbiamo considerato i concetti relativi all’esperienza estetica primaria [2], alla memoria implicita [3,4] e all’inconscio non rimosso [5], allo spazio di rêverie [6] come luogo del pensiero e all’area intermedia winnicottiana [7] che permette il godimento dell’esperienza, chiedendoci se essi possano rappresentare una sorta di pre-requisiti per una fruizione che tenga conto sia della relazione con il proprio spazio interno sia di quella con la realtà esterna.
Si può dire che da sempre la psicoanalisi ha intrecciato rapporti con l’arte, interrogandosi sul mistero della creatività artistica [8,9]. Per definire l’esperienza estetica da un punto di vista psicoanalitico, bisogna partire dal concetto principale della psicoanalisi e cioè l’inconscio, quella dimensione psichica complessa di cui l’individuo non ha percezione cosciente, ma che affiora o si manifesta attraverso espressioni simboliche, siano esse lapsus, atti mancati, distrazioni, veri e propri sintomi, i sogni e le opere d’arte, appunto.
L’opera d’arte può essere considerata una sorta di sogno poiché presenta un contenuto manifesto espresso in chiave simbolica e uno nascosto perché inconscio.
Sul piano del contenuto simbolico, i simboli nella storia dell’arte sono degli elementi molto importanti e ci comunicano un mistero che non siamo in grado di esprimere in altro modo, collocandosi su un piano diverso dall’evidenza della realtà.
Quindi per una riflessione sui possibili significati dell’esperienza estetica, ci dobbiamo soffermare su un concetto fondante della psicologia dinamica: il concetto di simbolo e il conseguente processo di simbolizzazione [10].
In questo senso, è utile individuare l’origine del simbolo nell’esperienza infantile, in particolare nella relazione del bambino con la mamma, poiché nel bambino lo sviluppo della capacità di creare simboli nasce dall’esperienza di un particolare ambiente affettivo materno. 
La dinamica madre-bambino cui si fa riferimento riguarda la maniera in cui la mamma offre al suo piccolo la possibilità di pensare, ovvero lo accompagna lungo il cammino della costruzione di un sé autonomo e ben distinto dal proprio. Infatti, nei primi momenti di vita, la sua mente ancora immatura fa vivere al piccolo un senso di completa identità con la mamma e la mamma, da parte sua, asseconda questo bisogno simbiotico, vivendo il suo piccolo come una parte di sé [11].
Il raggiungimento della separazione comporta che sia sorta nel piccolo l’abilità di creare simboli e con essa la differenziazione della dimensione psichica in conscio e inconscio (inconscio rimosso-freudiano).
Il simbolo nasce e prende forma in una zona di confine, l’area di rêverie, tra esperienza simbiotica e coscienza della propria separazione dal mondo, uno spazio nel quale il bambino si scopre separato dalla mamma aiutato dall’esperienza degli oggetti intermedi [7] che la rappresentano simbolicamente.
La possibilità per il bambino di fare esperienza di questa zona intermedia dipende dalla capacità di rêverie materna, cioè dalla sua capacità di comunicare con lui in maniera regressiva: la mamma raccoglie, comprende, trasforma le impressioni sensoriali del piccolo per lui ancora indecifrabili e fornisce ad esse una risposta che è frutto della “pensabilità materna”, cioè le dota di una forma simbolica e le restituisce in una forma che le rende significabili anche al bambino. Insieme dota, gradualmente, l’apparato psichico del bambino della possibilità di pensare cioè di riuscire individualmente nell’opera di traduzione dei propri stati d’animo in idee e parole [6].
Immettere il proprio piccolo nell’ordine simbolico significa, infatti, immergerlo nell’universo della parola, del gioco interno-esterno, pieno-vuoto, presenza-assenza ovvero porlo sul confine, nell’ambivalenza che trova nel simbolo un’armonica ricomposizione dei suoi opposti.
L’acquisizione della capacità simbolica ha sul sé del bambino una doppia valenza: la definizione di un confine di separazione tra sé e mondo esterno e l’integrazione del proprio mondo interno, mai del tutto raggiungibili [10].
Il processo di simbolizzazione ci sembra implicato a livelli diversi nella fruizione dell’opera d’arte: innanzitutto, l’opera d’arte può riattivare uno stato sognante di rêverie collocandosi nella dimensione psichica limite tra puramente emotivo e simbolico permettendo al fruitore di abbandonarsi a questo stato oscillante tra unione e separazione, interno ed esterno che dall’informe consente di trovare nuova forma simbolica.
Nella nostra vita culturale, sostiene Winnicott, accettiamo la follia; un quartetto d’archi di Beethoven: «Io ne godo perché so di averlo creato [...] eppure è reale e sarebbe avvenuto comunque, che io fossi al mondo o no» [12].
L’opera d’arte rappresenta, dunque, un potenziale attivatore del processo di simbolizzazione con il suo conseguente risultato di integrazione psichica. Da ciò, il suo valore strutturante e trasformativo.
L’opera d’arte può riportare in luce, rendendoli ricordabili, contenuti dell’inconscio rimosso, contenuti che una volta erano stati pensati e sottoposti al processo di simbolizzazione.
I simboli, dunque, e il processo di simbolizzazione hanno a che fare sia con l’opera d’arte che con il nostro inconscio. Potremmo affermare che la relazione con l’opera d’arte ci mette direttamente in contatto con i nostri contenuti inconsci.
La capacità simbolica, infatti, è una peculiarità dell’essere umano in qualsiasi epoca e contesto culturale, si esplica in varie modalità, ma con più pregnanza nei fenomeni universali quali il sogno, il mito, le credenze religiose e la creazione artistica.
Poiché neuroscienze e psicoanalisi stanno trovando sempre più punti di contatto e di integrazione in vari ambiti come in quello dell’esperienza estetica [3,4,13], ci piace pensare che la fruizione estetica rappresenti una dimensione centrale dello sviluppo della personalità, presente fin dalla nascita e, quindi, in un certo senso innata o quanto meno come predisposizione.
Infatti, già Meltzer [2] descrive il conflitto estetico presente fin dal primo incontro sensoriale del bambino con il seno materno capace di suscitare complesse sensazioni fisiche ed emotive insieme, tali da creare le basi del suo rapporto futuro con la realtà esterna portandosi dentro quelle emozioni primarie; anche Bion [6], con il concetto di rêverie, illustra come il rapporto con la madre sia alla base della capacità di simbolizzare quindi di fruire delle dimensioni artistiche ritrovando dentro di sé questa capacità e il piacere di dare senso alle emozioni (quindi anche a quelle espresse nell’opera); e Winnicott [7] elabora il concetto di oggetto transazionale che tiene unite realtà interna ed esterna e ha a che fare con l’illusione estetica, dal momento che l’oggetto ne rappresenta un altro, permettendo l’interiorizzazione della madre con le sue caratteristiche, e pone le basi della futura capacità di simbolizzare e fantasticare e stabilisce un nesso tra l’illusione estetica e la conoscenza.
È, quindi, da uno stimolo estetico primario che ogni bambino è spinto a conoscere ed esplorare mondo esterno e interno; in questo senso, forse esistono in ognuno di noi dei “pre-requisiti” per fruire della dimensione artistica, nella misura in cui questa è un derivazione della fruizione estetica, che potremmo pensare come componente innata, cioè presente alla nascita ma condizionata dall’ambiente e dalle relazioni di cui è intessuto il mondo del bambino.
Oltre a questi autori, anche altri psicoanalisti si sono occupati di relazione con l’opera d’arte, ma le scoperte delle neuroscienze ci inducono, in questo contesto, a fare ipotesi tenendo conto del concetto di memoria implicita che rappresenta un deposito di esperienze vissute ma non simbolizzate e in attesa di un veicolo che le renda pensabili, e ancora dei neuroni specchio che si attivano di fronte alle opere d’arte.
Esiste infatti, anche alla luce delle nuove scoperte, un’ulteriore area psichica, ancora più profonda e arcaica dell’inconscio rimosso freudiano, che ha a che fare con l’esperienza di vita prenatale e con i primi mesi di vita, esperienze emozionali che non sono state simbolizzate, né rappresentate eppure attive nella dimensione psichica.
È quella che viene definita memoria implicita o procedurale [3,4] che contiene quelle esperienze pre-verbali e pre-simboliche che non possono essere ricordate né rappresentate, ed è una funzione diversa e precedente rispetto alla memoria esplicita, che tutti noi conosciamo e ha che fare con esperienze della vita successiva, verbalizzabili e ricordabili, anche se rimosse nell’inconscio.
Quindi, possiamo affermare che accanto all’inconscio dinamico e rimosso (freudiano), prodotto dal meccanismo di rimozione e depositato nella memoria esplicita, esiste un inconscio non rimosso prodotto da esperienze relative ai primissimi mesi di vita e agli ultimi della vita prenatale.
Tale area della mente è una sorta di contenitore di tutte quelle esperienze, fisiche ed emotive insieme, vissute dall’individuo in quel periodo in cui non erano ancora mature le strutture nervose atte al funzionamento della memoria esplicita, per cui, anche se traumatiche o intense, non possono essere rimosse e neppure ricordate in futuro; al contrario, tutte le esperienze successive, anche rimosse, possono essere recuperate dall’inconscio.
Con le scoperte delle neuroscienze, siamo indotti a pensare che tutti i vissuti degli ultimi mesi di vita gestazionale e neonatale, fatti di percezioni sensoriali ed emotive, rappresentino un primo nucleo della personalità che andrà a interagire nella personalità futura.
Queste esperienze arcaiche, dunque, con le fantasie e le difese prodotte, vengono immagazzinate in quella memoria implicita di cui vogliamo approfondire il concetto poiché ben si collega alla dimensione della creatività e della fruizione dell’opera d’arte.
L’aspetto significativo della memoria implicita rispetto a quella esplicita sta nel fatto che tutte le esperienze prenatali e infantili prima dei due anni circa sarebbero depositate in questo contenitore, in una forma che non permette il ricordo ma che influenza la nostra vita psichica in attesa, per così dire, di essere contattate attraverso un veicolo simbolico come può essere il prodotto artistico.
La nostra ipotesi è che il prodotto artistico può essere uno dei veicoli più potenti attraverso il quale entrare in contatto con l’archivio implicito della memoria.
Infatti, quest’area mentale relativa alla memoria implicita, da un lato, contiene esperienze primarie che continuano ad influenzare la nostra vita poiché costituiscono una specie di marchio, fatto di apprendimenti automatici come quelli motori e, dall’altro, ha una componente affettiva-emozionale fatta delle esperienze primarie relative al rapporto con la madre e l’ambiente.
Tali esperienze, come abbiamo già detto, con le fantasie relative, quando sono positive, e con le difese, quando sono traumatiche, vanno a costruire un nucleo inconscio (non rimosso) del Sé che condizionerà la vita emotiva dell’individuo anche adulto.
I contenuti della memoria implicita, fatti di percezioni sensoriali come suoni, luci, colori riferibili alla relazione del bambino col mondo circostante, la voce della madre, l’odore del seno, o una luce accecante che lo disturba, e da mille altre sensazioni appaganti o frustranti, diventano un bagaglio di significati inesprimibili se non attraverso un veicolo simbolico.
Possiamo affermare con Mancia [5] che la creatività umana (poetica, musicale, scientifica, artistica) appare come uno degli aspetti del mentale, come un “ri-creare” che si modella su fantasie e difese inconsce.
Come sostiene Magherini [14], «la fruizione artistica è strettamente legata a queste attività mentali: l’osservatore, pertanto, nel suo rapporto con l’arte, può essere colpito a livelli molto profondi della psiche e sperimentare particolari esperienze emotive».
È lecito, dunque, pensare che l’atto creativo attinga anche a queste aree psichiche e che l’opera d’arte contenga elementi che possono entrare in contatto con la dimensione psichica del fruitore, generando stati emotivi talvolta in grado di simbolizzare contenuti psichici pre-verbali e pre-simbolici di questa organizzazione inconscia.
Il contributo delle neuroscienze all’ipotesi sulla relazione con l’opera d’arte che andiamo delineando ci porta a richiamare i concetti di empatia ed intersoggettività [15] collegati a quelli di neuroni specchio e neuroestetica [16].
I neuroni specchio sono un sistema di neuroni visuo-motori che permette la comprensione corporea immediata – attraverso il meccanismo della simulazione incarnata [17] – di ciò che un’altra persona fa. Compiendo un passo successivo, essi rappresenterebbero il correlato neurologico dell’empatia e dell’intersoggettività: l’attivazione di questo sistema neurale permette, infatti, di sentire ciò che un’altra persona sente dal momento che questo suo sentire appartiene anche alla propria esperienza ad un livello inconscio, andando a creare tra le due persone un’unità di significato. Secondo il modello di Iacoboni [18], questo sistema inizia a svilupparsi già durante le prime esperienze di relazione madre-bambino ma evolve con l’esperienza. Queste esperienze primarie appartenenti all’ordine del sensoriale, dell’affettivo e del traumatico, quindi al sistema dolore-piacere, si conservano nella memoria implicita creando il primo nucleo del Sé e l’inconscio non rimosso. Perciò, la memoria implicita, con le esperienze in essa conservate di tipo pre-simbolico e pre-verbale, influenza le capacità empatiche ed intersoggettive personali a lungo termine e in modo automatico.
L’attivazione dei neuroni specchio, perciò, trattandosi di un sistema di neuroni di livello inferiore, riguarda un primo momento di relazione con l’altro che favorisce attivazioni di ordine superiore, cioè apre alla comprensione e al significato e sarebbe dunque collegato all’esperienza in termini di frequenza e probabilmente di intensità [19]. Il meccanismo dei neuroni specchio applicato alla relazione con l’opera d’arte ipotizza che l’elemento centrale dell’esperienza estetica consista nell’attivazione di meccanismi incarnati in grado di simulare azioni, sensazioni ed emozioni di tipo universale. Come se l’opera d’arte rappresentasse un elemento di “intersoggettività estetica” tra inconscio dell’artista e inconscio del fruitore, cioè come se l’attivazione dei neuroni specchio nel fruitore creasse una sorta di significato condiviso tra il suo inconscio e quello dell’artista. Questo meccanismo di tipo corporeo, automatico e inconscio si configura come una simulazione incarnata dell’opera nel fruitore che può facilitare la successiva comprensione dei significati personali suscitati dall’incontro con l’opera [20]. Tali contenuti inconsci personali possono appartenere ad aree psichiche relative alla memoria implicita o al rimosso.
Ciò conferma la complessità della relazione con l’opera d’arte da molti punti di vista. Gli stessi studi più recenti di neuroestetica, la disciplina che studia le risposte neurali al bello nell’arte, mostrano come la relazione con l’opera sia un’esperienza molto complessa che implica diversi livelli di attivazione di ordine senso-motorio, emotivo e cognitivo modulati, a loro volta, da fattori contestuali e culturali, interessi personali, conoscenze precedenti e familiarità con l’arte del fruitore [21]. Altri studi mostrano come sia l’opera stessa, con le sue caratteristiche di forma e di contenuto, a influenzare la fruizione, anche a livello cerebrale. Freedberg e Gallese [20] riconoscono nell’esperienza estetica dell’opera d’arte visiva due componenti fondamentali e distinte che influenzano la relazione con l’opera: il contenuto dell’opera e le qualità formali, nelle quali sono rintracciabili i gesti dell’artista, eliciterebbero differenti reazioni empatiche nell’osservatore. Come se esistesse una divisione tra contenuto e forma, il primo predominante nelle opere figurative, il secondo in quelle astratte. In questa ottica, è possibile situare gli studi che mostrano le differenti attivazioni cerebrali di fronte ad opere astratte rispetto ad opere figurative [22]. In particolare, sembra che le caratteristiche formali dell’opera determinino diverse attivazioni cerebrali in base al diverso grado di elaborazione possibile da parte del fruitore. Dipinti astratti evocano attivazioni di aree di livello inferiore, mentre opere figurative determinano attivazioni di ordine superiore. «Le composizioni di arte indeterminate invocano un inusuale stato di vigilanza nel quale gli aspetti formali della percezione (forma, colore, movimento) vengono dissociati dagli aspetti semantici (significato). In questo genere di opere si crea una parvenza di significato e allo stesso tempo una sua completa assenza, che l’osservatore si deve impegnare a risolvere» [23].
Tutti questi studi sembrano suggerire e confermare la complessità dell’esperienza estetica dell’opera d’arte: come la fruizione vari, da un lato, sulla base di caratteristiche intrinseche dell’opera, o meglio dell’artista e, dall’altro, sulla base di variabili personali e culturali dell’osservatore, così come delle sue precedenti esperienze di fruizione e della qualità di queste esperienze; come tutti questi elementi personali dell’artista e del fruitore siano legati e indistinguibili nel momento della fruizione; come le dinamiche psichiche legate alla fruizione possano trasformarsi permettendo al fruitore di passare da livelli di non consapevolezza a livelli di consapevolezza, ma come comunque, in maniera sotterranea, se si tratta di una fruizione emotiva profonda, qualche dinamica inconscia agisce.
A partire da questi presupposti teorici, abbiamo riconosciuto alla relazione con l’opera d’arte due valori fondamentali: fruizione, da un lato, come potenziale veicolo di relazione con i propri contenuti emotivi profondi, dall’altro, fruizione come arricchimento socio-culturale cioè come possibilità di favorire il contatto con la realtà esterna e culturale.
Questo percorso ci ha portato a considerare l’opera d’arte come un fenomeno profondamente complesso, fatto di tanti livelli e non tutti visibili, non per tutti uguali e con una sua specificità.
Proprio per questa complessità, ci piace pensare l’opera d’arte figurativa con un doppio registro di significato che corrisponde anche a un duplice livello di lettura e relazione con l’opera stessa. Potremmo dire che, come nel sogno, anche nell’opera esistono due tipi di contenuti che vengono percepiti dal fruitore: un contenuto manifesto e un contenuto latente.
Un contenuto manifesto o iconologico, espresso attraverso la narrazione esplicita dell’opera, che viene percepito più a livello cosciente e che può essere descritto con più chiavi di lettura: contesto storico, artistico, sociale, elementi biografici dell’autore, ecc.
Un contenuto latente, cioè nascosto oltre ciò che vediamo e intuiamo a un primo livello, percepito prevalentemente a livello inconscio poiché contiene elementi emozionali relativi alla sfera inconscia dell’autore e del fruitore ed è di più complessa definizione, dal momento che attiene a un’area soggettiva e universale insieme.
Infatti, quando si tratta di grandi opere, sono in esse contenuti sentimenti ed emozioni del genere umano che però diventano unici nell’esperienza soggettiva, come il dolore, l’amore, l’angoscia, ecc. e che possono essere attivati attraverso la fruizione dell’opera.
Si tratta di un contenuto universale che attiva in maniera più o meno profonda quello individuale ed è proprio questo che può toccare contenuti inconsci personali profondi e che fa dell’opera un veicolo di comunicazione universale tra l’inconscio dell’artista e quello del fruitore.
Il primo, più “visibile”, è il contenuto manifesto, viene percepito a livello prevalentemente cosciente e può essere descritto con molteplici chiavi di lettura che hanno a che fare con criteri di oggettività legati a contesti, appunto, storici, sociali, stilistici, culturali, economici, ecc.
Questo primo livello, nella nostra ipotesi di lettura e relazione con l’opera interdisciplinare, è un insieme di elementi storico-artistici e psicologici, dal momento che gli aspetti psichici, dell’artista e del fruitore, si intrecciano e si influenzano reciprocamente con ciò che appare nell’opera, oltre che con altri aspetti prettamente culturali. Tutti elementi che hanno ripercussioni psichiche sul modo di fruire.
Il secondo livello, il contenuto latente dell’opera, in un certo senso “non visibile”, ha più a che fare con la dimensione inconscia dell’autore e del fruitore ed è di più complessa definizione poiché attiene a una sfera soggettiva. Potremmo collocarlo in quell’area sia dell’inconscio rimosso che di quello non rimosso dove risiedono la memoria implicita e tutti quei contenuti invisibili e “perduti” ma attivi della psiche.
Ma la cosa importante, secondo questa nostra ipotesi di fruizione dell’arte figurativa, è tenere presente che questo doppio livello (manifesto/latente; visibile/non visibile) esiste sempre nelle grandi opere d’arte, sia che lo percepiamo emotivamente immediatamente o no, che tutti lo percepiscano nello stesso modo o meno.
Inoltre, nel momento della fruizione o relazione con l’opera, il fruitore si trova a entrare in contatto con questo doppio contenuto, portando anche qualcosa di personale e di culturale suoi propri. È il fruitore, con proprie caratteristiche, gusti, stile ed altro, ma anche con la propria cultura, il proprio periodo storico, l’idea che di un certo artista si ha nel suo periodo storico, il valore commerciale dell’opera e altre variabili sociali e culturali che influiscono sul suo modo di fruire.
Questi elementi culturali esterni variano nel tempo, perciò, in qualche modo la fruizione ha delle variabili, pur mantenendo l’opera una fruibilità universale che è quella collegata al suo contenuto latente.
È come se due momenti storici, due culture e due persone si incontrassero avendo, però, un elemento universale comune che sono emozioni e vissuti umani universali e atemporali.
E questo, crediamo, rende la fruizione e la lettura dell’arte figurativa dotata di una peculiarità che la caratterizza e la rende complessa in modo specifico rispetto ad altre forme d’arte.
Se dunque pensiamo che l’opera d’arte esprima e contenga un doppio livello di significato dove quei contenuti emotivi espressi in forma simbolica possano toccare/attivare in chi ne fruisce altrettanti o corrispondenti contenuti inconsci profondi, sia dell’inconscio rimosso, quindi dei vissuti ricordabili, sia della memoria implicita, cioè dell’area simbolica della mente o dell’area pre-simbolica della mente, allora la relazione con l’opera d’arte può contribuire a dare espressione simbolica a esperienze emotive che non ne potevano avere, esprimendole e rendendole pensabili oppure contribuire a riattivare, attraverso una mediazione, i contenuti rimossi e forse anche quelli immagazzinati nella memoria implicita: allora la relazione con l’opera d’arte assume una valenza importante nel processo di elaborazione psichica.
Quelle emozioni legate a vissuti che non hanno forma e possibilità di espressione, e quindi di integrazione nella coscienza, attraverso la relazione con l’opera d’arte possono trovare il canale giusto per essere espresse, elaborate ed integrate nella coscienza.
L’opera diventa così un veicolo di contenuti inconsci in grado di favorire il contatto e la mentalizzazione di elementi psichici suscitando forti emozioni nell’osservatore di qualsiasi età.
Potremmo dunque dire che l’opera d’arte diventa un punto di incontro e di contatto tra elementi inconsci dell’autore e del fruitore, favorendo movimenti psichici di modificazione e trasformazione, attraverso l’emergere di quei contenuti altrimenti “perduti”.
In questa ottica, favorire fin da piccoli e in tutte le fasce evolutive un contatto e una “familiarizzazione” con la dimensione artistica significa creare un canale aperto alla possibilità di migliorare il rapporto con sé stessi e le proprie emozioni legate a quella dimensione profonda di ognuno.
D’altra parte, spesso, le emozioni sono legate a contenuti psichici nascosti o “perduti” nelle pieghe del nostro inconscio, dunque inelaborabili, perché non accessibili, eppure capaci di influenzare la nostra vita.
Poiché, se da un lato l’impossibilità di simbolizzare contenuti inconsci traumatici può generare disagio di vario grado, dall’altro, riuscire a simbolizzare e rendere accessibili contenuti intensi e “buoni” può rappresentare un importante movimento di trasformazione e crescita profonda. In questo, la relazione con l’arte ci può essere di aiuto e guida. La relazione con l’opera d’arte, proprio per il linguaggio simbolico ed emotivo che rappresenta, può favorire un contatto con un’area emozionale anche complessa rendendola elaborabile.
Riteniamo che la creazione e la fruizione dell’opera d’arte abbiano punti di incontro comuni nello psichismo dell’uomo, e che l’“allenamento” alla relazione con l’arte sia fonte di crescita e di maturazione globale, e dunque elemento fondante per un’educazione che tenga conto della complessità della crescita nel suo insieme.
Sulla base di tutto ciò, possiamo ritenere che la relazione con l’opera d’arte sia un momento essenziale nello sviluppo di un individuo sia come ampliamento delle proprie conoscenze culturali sia di quelle inconsce, che condizionano la propria vita e il rapporto con sé stessi, dal momento che l’intera evoluzione della personalità rappresenta un complesso insieme di elementi interni ed esterni in relazione tra loro. 
In questa ottica, abbiamo ritenuto importante considerare alcuni aspetti del funzionamento psichico dalla fase intrauterina fino alle fasi di sviluppo in cui si struttura la personalità di un individuo, per sottolineare la valenza sia formativa sia “trasformativa” della fruizione artistica. È quasi superfluo a questo punto sottolineare l’importanza di favorire in ogni fascia d’età, esperienze di educazione all’estetica e all’arte, che potremmo a questo punto definire una sorta di “anticorpi per la mente” dal momento che ci mette in grado di elaborare emozioni complesse anche in fasi diverse della vita.
Naturalmente rimangono aperti tanti interrogativi che ci siamo poste durante questo lavoro e che ci piacerebbe approfondire in futuro come, per esempio, quello sulla specificità dell’opera d’arte visiva rispetto ad altre forme artistiche e che forse rende specifica anche la fruizione dell’opera d’arte visiva. Sappiamo che un capolavoro d’arte visiva suscita una percezione immediata, è unico, non ripetibile nel senso che si può riprodurre ma non ripetere, e in qualche modo è eterno, cioè l’opera è eterna e l’artista continua a vivere in essa.
Pensiamo che queste qualità specifiche dell’arte visiva possano rendere particolare, in qualche modo, la percezione e la fruizione di questi capolavori rispetto ad altre forme artistiche.
Ci siamo anche interrogate sull’influenza che la trasformazione nel tempo dei canoni estetici può giocare nella fruizione. Crediamo, infatti, che la cultura di un certo momento storico determini la scelta di alcune opere rispetto ad altre e di alcuni artisti rispetto ad altri a livello generale, ed è all’interno di queste selezioni culturali che ognuno compie le proprie scelte personali ed esprime il proprio gusto.
Infine, ci siamo soffermate sulla possibilità di applicare le nostre ipotesi teoriche alle realtà professionali in cui operiamo.
Proprio per la valenza strutturante e trasformativa che abbiamo riconosciuto alla relazione profonda con l’opera d’arte visiva, abbiamo pensato a una possibile applicazione di questo aspetto teorico in ambiti diversi, per esempio nel percorso scolastico, dove assumerebbe una valenza preventiva in quanto potenziale facilitatore di un processo di “educazione emotiva” e quindi di equilibrio psichico, oppure potrebbe essere una tappa all’interno di un percorso terapeutico strutturato in varie parti (e centrato su una psicoterapia psicoanalitica) per veicolare la raffigurabilità psichica di contenuti personali (come, per esempio, un lavoro con gruppi di pazienti in ambito di strutture terapeutiche protette).
Ma a questo stiamo ancora lavorando.
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