Un’app per incontrarsi: la terapia con bambini e adolescenti ai tempi della pandemia Covid-19

Marika Buciuni1, Roberta Caruso2, Marco Congiu1, Serena Gallorini1, Gianmarco Manfrida3

1 Psicologa, psicoterapeuta, Centro Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale, Prato.

2 Psicologa/o, specializzanda/o in psicoterapia presso Centro Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale, Prato.

3 Psichiatra, psicologo, psicoterapeuta, didatta CSTFR, direttore del Centro Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale, Prato.

Riassunto. Questo lavoro si pone in continuità con indagini precedentemente avviate sull’uso clinico delle app in terapia, ponendo stavolta il focus su interventi terapeutici rivolti a bambini e adolescenti, in cui la scelta di ricorrere a una app all’interno del setting terapeutico era dettata da necessità di distanziamento sociale conseguenti all’emergenza pandemica. Come terapeuti relazionali interessati ai fenomeni sociali e alle innovazioni digitali, ci domandiamo quale ruolo le app, nuova forma di relazionarsi, possono ricoprire all’interno del contesto terapeutico: potrebbero rappresentare un portale di accesso al mondo relazionale del paziente? Una indagine del 2020, svolta durante la pandemia da Covid-19, che ha reso obbligatorio il passaggio delle terapie al setting online, ci ha già confermato la grande potenzialità di tali strumenti per accedere alle narrative dei pazienti. L’impiego delle app e il setting online possono dimostrarsi potenti strumenti relazionali, capaci di consentire a terapeuti competenti e flessibili di accedere alla dimensione narrativa dei piccoli pazienti e delle loro famiglie.

Parole chiave. App, incontri, bambini, adolescenti, Covid-19.

Summary. An app to meet: therapy with children and adolescents in the time of the covid-19 pandemic.

This work is in continuity with investigations previously undertaken on the clinical use of apps in therapy, this time focusing on therapeutic interventions aimed at children and adolescents, when the choice to use an app within the therapeutic setting was still dictated by need for social distancing following the pandemic. As relational therapists interested in social phenomena and digital innovations, we wonder what role apps, a new form of relating with others, can play within the therapeutic context: could they represent a powerful gateway to the patient’s relational world? A 2020 survey, carried out during the Covid-19 pandemic, which made the transition of therapies to the online setting mandatory, has already confirmed the great potential of these tools in order to access to patients’ narratives. The use of apps and the online setting can prove to be powerful relational tools, capable of allowing competent and flexible therapists to access the narrative dimension of young patients and their families.

Key words. App, meeting, children, adolescents, Covid-19.

Resumen. Una app para encontrarse: terapia con niños y adolescentes en tiempos de la pandemia de Covid-19.

El presente trabajo se sitúa en continuidad con investigaciones anteriores sobre el uso clínico de las app en terapia, poniendo esta vez el foco sobre intervenciones terapéuticas dirigidas a niños y adolescentes, donde hasta la fecha la opción de recurrir a una aplicación dentro del ámbito terapéutico sigue siendo a menudo dictada por las necesidades de distanciamiento social resultante de la emergencia pandémica. Como terapeutas relacionales interesados en los fenómenos sociales y en las innovaciones digitales, nos preguntamos como las app, una nueva forma de relacionarse, puede desempeñar un papel importante dentro del contexto terapéutico: ¿podrian revelarse un poderoso portal de acceso al mundo relacional del paciente? Una investigación de 2020, realizada durante la pandemia de Covid-19, que obligó a desarrollar las terapias en un setting online, ya ha confirmado el gran potencial de estas herramientas para acceder a las narrativas de los pacientes. El uso de las aplicaciones y la configuración en línea pueden resultar herramientas relacionales poderosas, capaces de permitir que terapeutas competentes y flexibles accedan a la dimensión narrativa de los pequeños pacientes y sus familias.

Palabras clave. App, encontros, niños, adolescentes, Covid-19.

PREMESSA

Questo lavoro pone il focus su interventi terapeutici rivolti a bambini e adolescenti, in cui la scelta di ricorrere a una app all’interno del setting terapeutico era dettata da necessità di distanziamento sociale conseguenti all’emergenza pandemica.

Come terapeuti relazionali interessati ai fenomeni sociali e alle innovazioni digitali, ci domandiamo quale ruolo le app, nuova forma di relazionarsi, possono ricoprire all’interno del contesto terapeutico: potrebbero rappresentare un portale di accesso al mondo relazionale del paziente? Una indagine del 2020, svolta durante la pandemia da Covid-19, che ha reso obbligatorio il passaggio delle terapie al setting online, ci ha già confermato la grande potenzialità di tali strumenti per accedere alle narrative dei pazienti [1]. L’impiego delle app e il setting online possono dimostrarsi potenti strumenti relazionali, capaci di consentire a terapeuti competenti e flessibili di accedere alla dimensione narrativa dei piccoli pazienti e delle loro famiglie.

RELAZIONE E CONNESSIONE: VECCHI E NUOVI LINGUAGGI

«La connessione con gli altri ci rende partecipi di una sacra unità»

Gregory Bateson [2]

Sin dagli albori della sua presenza nel mondo, l’essere umano ricerca la relazione. Il legame con l’altro rappresenta una necessità fondamentale per la sopravvivenza, al pari del bisogno di acqua e di cibo. I più recenti e avanzati studi neurofisiologici confermano che il mondo interno e la mente del neonato sono abitati da una potente motivazione interpersonale. Il neonato, infatti, non solo è in grado di interagire con la madre, ma anche di mantenere e modulare il corso dell’interazione, grazie alla specifica funzione di una classe di neuroni del nostro sistema nervoso, i neuroni specchio, dotati della sorprendente peculiarità di attivarsi non solo quando si compie direttamente una certa azione, ma anche quando vediamo la stessa azione compiuta da un altro [3].

Secondo Onnis [4], l’intersoggettività, come ci indica Daniel Stern, è il cardine di tutti i processi di esperienza e di apprendimento, guida dello sviluppo psicologico, fulcro della stessa organizzazione del nostro apparato psichico. Si pone come elemento costitutivo fondamentale della condizione umana, definendo le relazioni essenziali dell’Io con se stesso, e dell’Io col Tu e col Noi. Ma l’intersoggettività, ci dice Gallese, si inscrive nella corporeità, essa si fonda, come base primaria, su processi di “simulazione incarnata”, resi possibili dai meccanismi mirror dei neuroni specchio: è dunque documentabile nell’essere umano una predisposizione all’intersoggettività già a livello neurobiologico. Il dialogo tra le due discipline, psicologia dello sviluppo e neurobiologia, propone una nuova epistemologia dell’integrazione e della complessità, che sposa i principi fondamentali dell’orientamento sistemico relazionale, di cui Bateson fu straordinario anticipatore della dimensione relazionale della mente: non esiste una mente isolata perché «una mente presuppone altre menti».

Il bambino perciò si muove attivamente nella danza della relazione con la madre attraverso lo sguardo, le vocalizzazioni, i movimenti, alla ricerca di una risposta che provenga dall’adulto: oltre alle cure primarie, cerca una relazione orientata a una dipendenza sana che soddisfi i bisogni di calore, sostegno, nutrimento affettivo, amore, protezione, e consenta da lì di esplorare il mondo in crescente autonomia, formando nuove appartenenze (di coppia, professionali, ecc.) [5].

Il concetto di appartenenza si lega a doppio filo con quello di attaccamento: percepire di essere connessi a un contesto che risponde adeguatamente alle esigenze di sicurezza e conforto permette di tollerare occasionalmente la solitudine e di sviluppare capacità e motivazione per condividere con gli altri il significato dell’esperienza soggettiva. Viceversa una esasperata ricerca di rassicurazione, basata su sentimenti di paura e sul costante timore di rimanere soli, potrebbe inibire lo stabilirsi di connessioni sociali. Molto della costruzione delle relazioni passa dal bilanciamento di elementi quali attaccamento, appartenenza e intersoggettività, pilastri che vanno a contribuire alla strutturazione dell’identità dell’essere umano [6].

La costruzione di questi pilastri oggi passa anche attraverso le nuove tecnologie, la cui diffusione ha modificato radicalmente il modo di pensare, vivere e gestire le relazioni sociali, percepire noi stessi e gli altri, inserirsi all’interno di nuovi contesti.

Visti i molteplici scenari che l’utilizzo della tecnologia dei social e della messaggistica determinano, si rende necessario per noi professionisti approfondire le caratteristiche dal punto di vista clinico e della relazione terapeutica in un contesto in continuo mutamento. L’aspetto clinico è oggi arricchito dall’interpretazione del materiale che il paziente porta in seduta attraverso contenuti virtuali come foto o video di contesti vari (viaggi, eventi, momenti intimi) o conversazioni whatsapp con messaggi scritti lui stesso, da amici o familiari (discussioni, messaggi inoltrati, gruppi whatsapp). Questo va gestito dal terapeuta, contenendolo e sfruttandolo, per evitare che la relazione terapeutica venga compromessa [7].

Questa infatti è influenzata dalle modalità di scambio comunicativo digitale tra paziente e terapeuta, in particolare da dettagli come: gli emoticon, che servono a definire il significato attribuito al messaggio; le spunte blu, che indicano se il messaggio è stato letto o meno; il tempo che intercorre tra la lettura del messaggio e la risposta del terapeuta, che viene interpretato come un indice di disponibilità o disinteresse in base a convenzioni implicite ma socialmente condivise.

Dal “nativo digitale” all’Homo Sapiens Digital

Lo scrittore statunitense Marc Prensky, innovatore nel campo dell’educazione e dell’apprendimento, utilizza per la prima volta in un suo articolo del 2001 il termine “nativo digitale” per identificare coloro che fin dalla nascita hanno vissuto a contatto con i mezzi di comunicazione digitali e le svariate tecnologie che sono emerse negli ultimi anni, per esempio i social network, i blog, ma anche i tablet, gli smartphone ecc. [8]. Il nostro lavoro clinico con bambini e adolescenti nativi digitali si è configurato effettivamente come l’apprendimento di un nuovo linguaggio, alla scoperta di un ponte di passaggio per comprendere la grammatica e la sintassi [9] di un nuovo modo di comunicare degli Homo Sapiens Digitali.

In una fase iniziale, l’esplorazione da parte di noi terapeuti di questo nuovo linguaggio era dettata da una crescente domanda da parte di genitori, allarmati dall’utilizzo eccessivo che i figli facevano dei dispositivi (per game e social), mentre successivamente risultò condizionata dall’emergenza dettata dalla pandemia Covid-19. In tutte le terapie che abbiamo trattato con minori abbiamo riscontrato un’ampia costellazione sintomatica di problemi di dipendenza da Internet e questo è stato il punto da cui siamo partiti per costruire l’alleanza terapeutica con loro. Abbiamo successivamente osservato come l’eccessivo ricorso al virtuale da parte dei pazienti si configurasse talvolta come un meccanismo di evitamento, una ciambella di salvataggio dal mondo caotico e disfunzionale delle famiglie multiproblematiche. Tale rifugio si configurava come una inaspettata risorsa e rappresentava un campo relazionale virtuale in cui i pazienti si sentivano competenti e sicuri. Il riconoscimento e l’integrazione delle nuove tecnologie nel processo terapeutico, quindi, ha permesso la costruzione di un ponte verso il mondo interiore dei pazienti in uno spazio più autentico, completo e reale.

IMPLICAZIONI CLINICHE E LAVORO ONLINE CON GLI ADOLESCENTI

«Un senso di connessione sociale funziona come un’impalcatura per il Sé: danneggia l’impalcatura, e il Sé inizierà a crollare»

Hawkley e Cacioppo [10]

Bauman [11] sostiene che la facilità con cui ci si connette agli altri nella Rete non permette lo sviluppo di abilità sociali significative perché queste competenze si sperimentano e si costruiscono nelle relazioni che si vivono nella realtà. Inoltre rappresentano un facile modo per tamponare i vuoti, ma non insegnano ai giovani a relazionarsi in maniera sana e duratura. L’idea di Bauman sembra orientarsi verso la teoria del disimpegno [12], secondo cui la comunicazione online incide negativamente sul benessere psicologico perché sottrae tempo che potrebbe essere dedicato alle amicizie già esistenti, riducendone la qualità, e stimola la tendenza dei ragazzi a intrattenere relazioni con sconosciuti, di breve durata e non emotivamente significative [13].

Tuttavia, in seguito alla travolgente rivoluzione digitale e all’inesorabile impatto pandemico, l’online oggi è divenuto parte integrante delle comunicazioni aggiungendosi come componente imprescindibile al mondo relazionale dei giovani, una sorta di terza famiglia affiancata a quella naturale e sociale costituita dal gruppo dei pari in carne e ossa. Quello che emerge è una tendenza opposta alle previsioni di Bauman, che vede l’utilizzo della tecnologia come uno stimolo [12] in cui «la comunicazione online permette un arricchimento del contesto relazionale del soggetto e favorisce opportunità di crescita e di adattamento al contesto». Gli adolescenti si raccolgono attorno a gruppi whatsapp, pagine social e community di gamers; sono persone che non si conoscono fisicamente ma che attraverso like, idee, gusti, esperienze e modelli di vita contribuiscono a creare una realtà sociale riconosciuta e condivisa. Tale realtà comporta nuovi comportamenti e significati nelle dinamiche relazionali: aggiungere, togliere o bloccare consente di selezionare gli “amici” o i fan e di eliminare i “nemici” o haters, in modo tale da evitare i conflitti e avere sempre conferme positive rinforzando la propria identità. L’adolescente si espone quindi a un processo mediatico attraverso la condivisione di post in cui seleziona la migliore versione di sé, in una ricerca attenta e insieme affannosa del migliore abito da mostrare al pubblico e adottare per guardarsi e riconoscersi.

Presentificazione del terzo virtuale

Nei nostri interventi terapeutici il focus sul sistema si amplia o si restringe “fluttuando” attraverso la mediazione delle app, passando dall’individuo al sistema digitalizzato e dal sistema digitalizzato all’individuo. Il processo terapeutico non avviene necessariamente ed esclusivamente “nel reale” ma, a seconda delle necessità e delle opportunità, si concretizza anche in uno spazio virtuale intermedio condiviso da paziente e terapeuta. Valentina Albertini [14] ha paragonato questo meccanismo alla presentificazione del terzo, una tecnica di terapia ideata da Boscolo e Bertrando [15] per attualizzare in seduta le relazioni interpersonali del paziente, invitato a collocare in fantasia nella stanza una persona significativa, in genere un familiare assente o deceduto, e a rivolgercisi come se fosse presente per esprimere le proprie ragioni, i propri pensieri e le proprie emozioni: le app di messaggistica o di foto o di social consentono di evocare immediatamente la presenza di altri significativi attraverso scritti, immagini e scambi comunicativi, non in fantasia ma in realtà virtuali evocabili tramite le app [14].

Nella terapia sistemica individuale oggi il terzo assente si manifesta indipendentemente dalla presenza fisica o dalle parole del paziente: altri significativi possono essere presentificati, in modo più realistico e oggettivo che attraverso il racconto o in fantasia, nel lavoro sulle relazioni dei pazienti attraverso la mediazione delle app (foto, social, messaggi, ecc.): si realizza una presentificazione dell’altro virtuale, degli altri virtuali, della coppia, non in sostituzione al reale ma a sua integrazione.

IL CASO DI LORENZO

Lorenzo è un motociclista con l’aspirazione a diventare un professionista e all’età di 17 anni richiede l’inizio di una terapia per l’ansia che lo assale a seguito di errori che gli capitano in gara. Emergeranno gradualmente nel corso degli incontri anche aspetti legati ad ansia sociale. Chiede in prima battuta di venire in terapia con la madre, Paola.

Dopo un inizio in cui entrambi si presentano insieme, ridefiniamo il setting sottolineando l’importanza che Lorenzo prosegua in un percorso individuale invece di mantenere una posizione altamente protettiva nei confronti della madre, ma anche regressiva rispetto al suo percorso di crescita, stabilendo comunque iniziali incontri periodici con la madre come ospite a sostenere i passi di Lorenzo. Si dicono entrambi concordi e cominciamo a lavorare insieme.

Lorenzo ha una storia complessa iniziata con una precoce separazione dei genitori a seguito di forti conflitti: il padre è di origine senegalese e la madre italiana. Si sono verificati negli anni agiti violenti da parte del padre nei confronti della madre, determinando conseguenze psicologiche su di lei.

Lorenzo e la madre si sostengono a vicenda, attualmente sono tornati a vivere dai nonni materni.

Lorenzo frequenta il liceo artistico e si presenta loquace e competente, raccontando dei suoi interessi tra sport, ingegneria e fotografia.

Alleanza terapeutica

Nei primi incontri Lorenzo richiede la presenza della mamma accanto, un po’ per rassicurarsi, un po’ per proteggerla.

Iniziati gli incontri individuali, Lorenzo è aperto e disponibile, raccontando episodi di vita senza entrare troppo nei dettagli e mantenendo un atteggiamento composto e garbato, sempre competente sugli argomenti di cui si interessa, moto in primis. L’unica figura su cui si mantiene vago è il padre, dando solo qualche informazione superficiale di lui, sugli scarsi incontri che hanno attualmente, sul fatto che non vive lontano e poco altro.

È come se evitasse la possibilità di lavorare su certi aspetti, come la figura paterna oppure frequenti momenti di rabbia o forte preoccupazione.

Lorenzo c’è ma non riesce a mostrarsi totalmente, neanche a sé stesso.

Meccanismo di controllo

Lorenzo è meticoloso nel prepararsi alla competizione: cura alimentazione e fisico e ripercorre mentalmente i tratti di gara dove ha commesso errori, quasi esorcizzandoli come a cancellarli e poterli annullare con un rafforzamento dell’autocontrollo. Questo meccanismo inizialmente descritto sul versante sportivo si verifica anche nella quotidianità, nei modi con cui Lorenzo si mostra, composto e pacato, competente, senza macchia. Sono evidenti aspetti di intellettualizzazione e competenza in ottica difensiva, che si traducono in un controllo ossessivo che contiene sul piano razionale e verbale ogni fragilità e spesso non permette di accedere al livello emotivo della relazione con altri, incluso il terapeuta.

Presentificazione del terzo come elemento di relazione

Sempre più frequentemente gli smartphone sono strumenti utilizzati in seduta e contribuiscono a generare contenuti in terapia. Spesso i pazienti mostrano foto, leggono i propri messaggi o gli scambi di una discussione, riportano i contenuti delle e-mail, mostrano immagini e post pubblicati da altri significativi sui social media.

Per me non esisti – “Ti Blocco”

Come accennato la relazione tra Lorenzo e il padre è conflittuale e caratterizzata da elevata distanza fisica ed emotiva, dovuta agli strascichi della separazione tra i genitori. Oggi il padre nel tentativo di riconciliarsi con il figlio e instaurare un qualche dialogo, oltre agli sporadici incontri programmati, che Lorenzo riesce spesso a saltare con le più disparate scuse, lo chiama e gli manda messaggi frequentemente.

Lorenzo, che dalla figura del padre tenta di discostarsi in tutti i modi, assumendo comportamenti quanto più moderati e corretti, non risponde alle chiamate oppure ai messaggi tramite app, arrivando alla conclusione di bloccarlo, inviando una risposta quanto mai perentoria e decisa su come voglia gestire la relazione con il padre, silenziandola.

Immagine del profilo come indizi nella costruzione di sé

In alcuni incontri Lorenzo parla della sua passione per la fotografia, espressa sia come curioso osservatore di artisti sia con primi tentativi di immortalare personaggi o soggetti, tra cui emerge come opera propria, sua, l’immagine del profilo whatsapp, che mi mostra velocemente ma con orgoglio; in questa foto Lorenzo appare sfocato, in transito, in movimento, senza che la sua figura sia ben definita. “Sembra che anche nel suo profilo si trovi in moto, veloce e deciso a non fermarsi (o incapace di farlo?); in una gara questo è lecito e produttivo, ma dove deve ricordarsi di andare tutti i giorni così di fretta, Lorenzo?” Con questa piccola riflessione condivisa è stato possibile far emergere in maniera persuasiva e coerente con la storia del ragazzo una parte di lui che era rimasta celata e protetta, e che su un piano più razionale ancora non era stato possibile toccare; si apriva così un graduale accesso a elementi che potevano dare un senso più completo a ciò che Lorenzo portava e consentirgli di mostrarsi più intero e impegnato in un possibile percorso di definizione.

«Un’immagine è evocativa più di tante parole, si dice, ma ha anche bisogno di essere interpretata inserendola in una narrazione che le attribuisca un senso» [16].

Anche la modalità di utilizzo della messaggistica su social e applicazioni può essere rivelatrice: dall’utilizzo e dalla gestione delle applicazioni passano modalità relazionali. In questo caso Lorenzo propone strategie di controllo ed evitamento, non immergendosi totalmente nel mondo virtuale, ma scegliendo meticolosamente quando entrarvi e definendo ampie fette temporali in cui si disconnette o preferisce non rispondere se lo contattano.

Attraverso lo smartphone infine Lorenzo ha voluto mostrarmi uno dei suoi pezzi preferiti, il video di Rhove (Jungle), descrivendo il suo progetto di andare al concerto del cantante. Da questo è stato possibile aprire ulteriori scenari che hanno arricchito la necessaria e protettiva facciata di competenza e compostezza.

CONCLUSIONI

Alla luce della nostra esperienza clinica riteniamo che le relazioni costruite virtualmente possano rappresentare una potenziale risorsa per sviluppare nuovi canali di comunicazione con l’adolescente nativo digitale, ma possono costituire anche una potenziale trappola in grado di creare criticità, evitamenti e ostacoli nella quale i giovani possono rifugiarsi alla ricerca di un mondo virtuale alternativo più controllabile e perciò rassicurante.

Come terapeuti relazionali riteniamo di fondamentale importanza un costante aggiornamento sui nuovi linguaggi che ci offrono le moderne tecnologie per favorire la comprensione e l’integrazione dei vari livelli nei quali la personalità individuale e le relazioni vanno a strutturarsi. Gli strumenti tecnologici di cui disponiamo oggi influenzano profondamente il processo terapeutico; proprio per tale ragione nelle relazioni sociali attuali non si può mantenere un confine definito tra offline o online, perché questi due aspetti coesistono e si influenzano reciprocamente ed è indispensabile in terapia tenerne conto, specialmente con bambini e adolescenti.

Alla luce di queste considerazioni riteniamo che le nuove tecnologie rappresentino la terza dimensione relazionale (oltre alla famiglia e il gruppo dei pari) per i giovani di oggi (anche per i meno giovani) e che questo aspetto debba essere imprescindibilmente considerato e integrato dagli psicoterapeuti immigrati digitali nel nuovo setting terapeutico. Il contesto odierno apre a un nuovo modo di concepire la relazione terapeutica nella sua globalità integrando il lavoro clinico con le possibilità multimediali offerte dalle nuove tecnologie.

La realtà virtuale online, che fino a poco tempo fa faceva parte di un sottomondo sociologico [17] in penombra rispetto alla realtà dominante offline, nel periodo attuale iperconnesso non è più in sottordine ma diventa parte integrante della realtà condivisa ed è a disposizione della coscienza immediata di ciascuno permettendogli di trovare un senso al mondo confermato da individui gruppi e comunità online [14]. Questa possibilità può dare sostegno alle insicurezze individuali ma anche esporre al rischio di essere fagocitati da una appartenenza virtuale troppo lontana dal mondo reale. La terapia si può porre, specialmente nel caso di adolescenti con identità ancora fragili come Lorenzo, a cerniera tra relazioni reali e virtuali, sfruttando la possibilità di presentificazione di terzi e di sviluppo di relazioni di gruppo offerte dalle app.

BIBLIOGRAFIA

1. Manfrida M, Albertini V, Buciuni M, et al. ¡¿Es suficiente una app para encontrarse?! Investigación exploratoria sobre el uso de las app en la práctica clínica. Redes Revista de Psicoterapia Relacional e Intervenciones Sociales 2020; 42: 133-42.

2. Bateson G. Una sacra unità. Altri passi verso un’ecologia della mente. Milano: Adelphi, 1997.

3. Gallese V, Migone P, Eagle M. La simulazione incarnata: i neuroni specchio. Le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività e alcune implicazioni per la psicoanalisi. Psicoterapia e Scienze Umane 2006; 40: 543-80.

4. Onnis L (a cura di). Una nuova alleanza tra psicoterapia e neuroscienze. Dall’intersoggettività ai neuroni specchio. Dialogo tra Daniel Stern e Vittorio Gallese. Milano: FrancoAngeli, 2015.

5. Cirillo S. Autonomia e dipendenza: due termini che si oppongono? Terapia Familiare 2013; 102: 15-34.

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7. Manfrida G. Sms e psicoterapia. Torino: Antigone Edizioni, 2009.

8. Prensky M. H. Sapiens digital: from immigrants and digital natives to digital wisdom. Italian Journal of Educational Technology 2010; 18: 17-24.

9. Cancrini L. Psicoterapia: grammatica e sintassi. Roma: Carocci Editore, 2002.

10. Hawkley L, Cacioppo JT. Loneliness matters: a theoretical and empirical review of consequences and mechanisms. Ann Behav Med 2010; 40: 218-27.

11. Bauman Z. Intervista sull’identità. Roma: Editori Laterza, 2003.

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13. Baiocco R, Laghi F, Carotenuto M, Del Miglio C. Amicizia online: disimpegno o stimolazione? Psicologia Clinica dello Sviluppo 2011; 2: 335-52.

14. Manfrida G, Albertini V, Eisenberg E. La clinica e il web: risorse tecnologiche e comunicazione psicoterapeutica online. Milano: FrancoAngeli, 2020.

15. Boscolo L, Bertrando P. Terapia sistemica individuale. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1966.

16. Manfrida G. La narrazione psicoterapeutica. Milano: FrancoAngeli, 1998.

17. Berger P, Luckmann T. The social construction of reality. New York: Doubleday, 1966. Trad. it. La realtà come costruzione sociale. Bologna: Il Mulino Editore, 1969.