Il ringraziamento reciproco.

Un rituale utile per le “separazioni impossibili”*


Alfredo Canevaro1


1Psichiatra, psicoterapeuta.


Particolarmente dedicato agli psicoterapeuti, l’articolo collocato in questa rubrica risponde all’esigenza di una sottolineatura: caratterizzando in modo diverso forme diverse di psicoterapia, non stiamo perdendo il senso dell’unità possi­bile intorno al concetto di psicoterapia?




Particulary addressed to psychotherapists, the article in this section answers to the need of focusing on the following consideration: by characterizing psychotherapy in different ways aren’t we loosing the sense of unity involved in the concept of psychotherapy?




Este artículo está dedicado a los psicoterapeutas, en él se trata de responder a la cuestión: ¿definiendo de distintas maneras la psicoterapia, non se corre el riesgo de perder la unidad del concepto de psicoterapia?





«Ma non bisogna pensare male del paradosso,

perché il paradosso è la passione del pensiero
e il pensatore senza paradosso è come l’amante senza passione».

Soren Kierkegaard [1]



Riassunto. Una sfida importante per la terapia di coppia è rappresentata da quelle coppie nelle quali predominano la rabbia e il rancore, che persistono al di là di ogni logica. A volte superano tutte le fasi della separazione psichica, fisica, legale, ma ancora persiste un “invischiamento” difficile da spiegare. Hanno superato queste fasi, si sono risposati con un’altra persona, magari hanno anche nuovi figli, e tuttavia persistono questo rimuginare ossessivo e i contatti di ogni tipo, scritti, virtuali e personali che contribuiscono ad amareggiare la vita di tutti i partecipanti a questo gioco al massacro. Di fronte a questo paradosso il terapeuta, invece di ascoltare le recriminazioni e controrecriminazioni, propone un paradosso molto potente, facendoli sedere uno di fronte all’altro per dirsi grazie di tutto il bene che si sono dati, cosa per cosa, per concludere con un abbraccio in silenzio per il tempo necessario. L’effetto controparadossale di questo rituale è che rompe il circolo vizioso delle recriminazioni e controrecriminazioni che conservano il “grumo emozionale” per la rabbia di aver perso questo pezzo di vita e per non poter accettare che tutto il valore di questa unione vada sprecato. Semplicemente bisogna che loro si rendano conto che non è stato tempo perso, che non tutto è stato una porcheria e che i valori nei quali credevano si mantengono.

Questo, paradossalmente, permette la separazione.


Parole chiave. Separazione impossibile, tecniche esperienziali, controparadosso, identificazione proiettiva.


Summary. Mutual thanks. A useful ritual for “impossible separations”.

An important challenge for the couples therapy is when anger and rudge prevail beyond any logic. Sometimes they overcame all the phases of psychic, phisical and legal separation and yet persist a “quarrel” difficult to be explained. They overcame these phases, have married other person, mitght have sons but nevertheless they still brood over obsessively, all contacts, written, virtual and personal contribute to embitter the life of all those involved in this killing game. Faced with (in front of) this paradox the therapist, instead of listening all accusation and counter-accusations, suggests a counter-paradox very strong sitting them one in front of the other and asking them to thank each other for all the good things they gave mutually, item by item and finish with a silent embrace for the time required. The effect of this counter-paradox of this ritual is to break the vicious circle of accusations and counter-accusations which keep the “emotional clot” for the anger to have wasted a piece of life and the inability to accept the fact that all the value on the union has not been wasted. They are simply aware that there was no wasting of time, that not everything was rubbish and the values in which they believed still last. This allow, paradoxically, the separation.


Key words. impossible separation, experential techinques, counter-paradox, projectiv identification.


Resumen. El agradecimiento recíproco. Un ritual útil para “separaciones imposibles”.

Un desafío importante para la terapia de pareja son aquéllas en donde predomina la rabia y el rencor que persisten más allá de toda lógica. A veces superan todas las fases de la separación psíquica, física, legal y persiste aún un “pegoteo” dificil de explicar. Han superado estas fases, se han vuelto a casar con otra persona, quizás tienen nuevos hijos y sin embargo persiste esta rumiación obsesiva, los contactos de todo tipo, escrito, virtual y personal que contribuyen a amargar la vida de todos los partecipantes en este juego al masacre. Frente a esta paradoja el T, luego de escuchar todos los reproches y controreproches, propone una controparadoja muy potente haciéndolos sentarse frente a frente y agradecerse todo el bien que se han dado, cosa por cosa, para culminar con un abrazo en silencio por el tiempo necesario. El efecto contraparadojal de este ritual es que rompe el cìrculo vicioso de los reproches y contrareproches que mantienen el grumo emocional por la rabia de haber perdido ese tiempo de vida y por no poder aceptar que todo el valor de esa unión se halla malgastado. Simplemente es que ellos se dan cuenta que no ha sido tiempo perdido, que no todo ha sido una porquería y que los valores en los que ellos creían se mantienen. Esto permite, paradojalmente, la separación.


Palabras clave. Separación imposible, técnica experencial, controparadoja, identificación proyectiva.

Una sfida importante per la terapia di coppia è quella in cui predomina la rabbia e il rancore che persistono al di là di ogni logica. A volte superano tutte le fasi della separazione psichica, fisica e legale, ma ancora rimane un “invischiamento” difficile da spiegare. Hanno superato queste fasi, si sono sposati con altre persone, forse hanno anche nuovi figli e tuttavia persiste questo rimuginare ossessivo, i contatti di ogni tipo, scritti virtuali e personali che contribuiscono ad amareggiare la vita di tutti coloro che partecipano a questo gioco al massacro. Figli, nuovi coniugi, avvocati, familiari assistono con pena e amarezza a questi attacchi e contrattacchi senza fine.

Qual è la causa e che si può fare in questo tipo di missione impossibile, cioè separarsi finalmente da questo ex partner che continua a essere un guastafeste permanente?

Chiaro che le separazioni sono solo un’illusione. Quelli che la raggiungono realmente - e sono molto pochi - sono quelle coppie che si sono sposate molto giovani, che sono state insieme per un paio d’anni e che non hanno figli. Si ricordano abitualmente come quelle relazioni dell’adolescenza che fanno naturalmente parte dei nostri ricordi.

Pretendere di cancellare l’altra persona dalla nostra mente non solo è impossibile, ma anche inappropriato. La nostra vita è fatta di incontri, buoni e cattivi, e costituiscono la nostra essenza, non possiamo sradicarli perché non sarebbe naturale. Certo è, come diceva Nietzche [2], che l’amnesia è una delle qualità che più proteggono la mente: «Ho fatto questo, mi dice la memoria. Non l’ho fatto, dice il mio orgoglio ed è sempre la memoria che cede».

Ma tornando a questa sindrome così fastidiosa della separazione impossibile, dobbiamo cercare di capirla e sviluppare tecniche che la risolvano.

Il peccato originale della vita della coppia è voler incontrare un partner che compensi le carenze della famiglia di origine. “Adesso mi darai tutto l’affetto che mi è mancato e il rispetto che non hanno avuto nei miei confronti”. Questa immagine salvifica del partner che possa compensare le carenze della famiglia di origine è destinata alla delusione o al fallimento. La coppia non è fatta per compensare queste carenze. Il “senso” della coppia, secondo me, si può riassumere così: “Con te, nel cammino della vita, sto meglio che da solo o da sola”. E basta. Tutto il resto sono sedimentazioni massive, identificazioni proiettive che non fanno altro che pesare sulla relazione che a volte soffoca.

Il processo terapeutico consiste, secondo il mio modo di pensare, nel rimuovere queste proiezioni che oscurano la relazione per sapere se ancora esiste l’amore. Se è così, la fiamma si ravviverà immediatamente. Se l’amore è morto, è meglio seppellirlo perché non emani cattivo odore. Torniamo a questo tipo speciale di coppia che a volte viene di sua iniziativa o inviata dagli avvocati, esasperati perché non sanno cosa altro fare per risolvere gli innumerevoli problemi che la situazione comporta.

Quando questo tipo di coppia entra nel consultorio spesso succede che litighino durante la seduta con accuse di ogni tipo. Non ascoltano quello che il terapeuta cerca di dire. Hanno messo il pilota automatico di rimproveri e contro rimproveri, evocando uno stato di grande frustrazione nel terapeuta. È qui che possiamo applicare questo rituale così paradossale, come paradossale è la situazione. Loro sono separati fisicamente, ma continuano a essere sempre uniti emotivamente come gemelli siamesi che non possono fare niente per migliorare la loro condizione.


Più di trent’anni fa Florence Kaslow [3] propose di usare un rituale di separazione prendendo come esempio l’unico rituale religioso che si conosce e che proviene dall’ebraismo antico usato dagli ortodossi. Lì si riunisce un tribunale composto da tre rabbini, el Beth Din, che sceglie uno di loro che convoca la ex-coppia e chiede all’ex-marito (solo lui lo può fare) di consegnare alla ex-moglie il Guet, una carta con 12 righe scritte in aramaico originale che permette alla ex-moglie, una volta sciolta l’unione, di potersi risposare. Il rabbino dice alla coppia: “Voi vi siete amati e avete avuto dei figli. Ora l’amore è morto. Ringraziatevi del bene che vi siete dati reciprocamente e ognuno segua la sua strada, separatamente”. Kaslow faceva una specie di sociodramma convocando figli, amici e parenti e, al posto del rabbino, esercitava lei questo ruolo con la coppia presente, in un’atmosfera di tristezza e di sollievo successivo.

Ritengo che questo rituale, anche se utile, non abbia la potenza necessaria per sciogliere una relazione costellata di odio e rancore che mantengono lo status quo. Di fronte a questo paradosso di continuare a essere uniti nonostante la separazione, è necessario un contro-paradosso dal forte impatto che possa causare un cambiamento degli schemi emozionali e che poi cambi la consapevolezza. È per questo che, nel mezzo di virulenti attacchi reciproci, il terapeuta chiede di sedersi uno di fronte all’altro, toccandosi le ginocchia e prendendosi per mano e provare a ringraziare l’altro partner per ciò che sente di aver ricevuto di buono (momenti felici, affetto, vicinanza e tutto quanto di positivo ricordano). È chiaro che il terapeuta deve indicare l’esercizio con molta fermezza, nonostante le eventuali lamentele dei pazienti. Basta dire: “Fate questo…” e talvolta risponde alle lamentele dicendo: “Siete venuti (o vi hanno mandato) per essere aiutati per questo problema. Ho bisogno che facciate quanto vi chiedo concentrandovi sulle mie indicazioni”; poi chiede chi vuole cominciare e successivamente darà le istruzioni…

1° CASO CLINICO

Renata, 36 anni, divorziata con tre figli, impiegata, vive con un suo ex-amico Julio di 43 anni, impiegato, divorziato con un figlio di 17 anni. Stanno insieme da 5 anni, durante i quali hanno convissuto pochi mesi. Lei dice: “Siamo stati bene per un anno e mezzo poi stop. Da tre anni non abbiamo più rapporti sessuali. Ho detto: Basta! Ma non ci stacchiamo…”. “Sono d’accordo”, dice lui, “io sono preciso lei è disordinata”.

Mi raccontano a grandi linee la storia della coppia e delle loro famiglie di origine. A metà circa dell’incontro chiedo che si siedano uno di fronte all’altro, toccandosi le ginocchia e prendendosi per mano. “Cominci lei Julio, mentre Renata deve ascoltare senza parlare né dialogare. Poi toccherà a lei. Julio ringrazi Renata di tutto il bene che le ha dato, cosa per cosa”.

Julio comincia con un tono affettuoso: “Ti ringrazio per essere stata disponibile a starmi vicino.

Ti ringrazio per essere venuta in vacanza con me.

Ti ringrazio per avermi supportato quando giocavamo.

Ti chiedo scusa per averti mancato di rispetto.

Ti ringrazio per tutte le volte che hai cucinato per me.

Ti ringrazio per aver fatto di tutto per tornare con me, adesso non so…”.

Quando Renata comincia a parlare, leggermente emozionata, dice:

“Ti ringrazio per quando giocavamo a basket.

Ti ringrazio perché con te sono stata felice.

Ti ringrazio per avermi aiutato con i miei figli, accompagnandoli a scuola, a ginnastica, ecc.

Ti ringrazio per le sensazioni forti che mi hai fatto provare”.

Quando Renata finisce chiedo loro di abbracciarsi in silenzio per il tempo necessario. Si stringono in un abbraccio intenso e lungo, con sospiri e lacrime da ambo le parti.

Questo è un altro dei momenti del rituale che suscita più perplessità e in cui alcuni partecipanti fanno resistenza. Di nuovo il terapeuta fermamente deve insistere perché lo facciano.

Quando finisce gli dico: “Queste forti emozioni che avete provato tenetele vive dentro di voi nei prossimi giorni. Non archiviatele subito e ci vediamo fra un mese”. Un po’ stupiti per non poter commentare quanto avvenuto, mi salutano e se ne vanno. Un mese dopo, poche ore prima dell’incontro, Renata mi manda un whatsapp dicendo: “Questa volta mi ha stufato e ho detto basta per sempre. Ci siamo separati definitivamente. La ringrazio molto per il suo aiuto e naturalmente questa sera non ci vediamo”. Il follow-up dopo un anno e mezzo ha confermato che dal giorno del whatsapp la relazione non è continuata e Renata si mostrava molto soddisfatta per l’unico incontro, dato che “quelle cose non le avevamo mai dette”.

2° CASO CLINICO.

Ci sono casi in cui il suggerimento viene da entrambi gli avvocati, disperati perché non sanno più cosa fare, come nel caso di Francesca, di 40 anni, cameriera in un ristorante, e Salvatore, 43 anni, autista di autobus. Sono stati sposati per 13 anni e hanno due figli, Graziella di 12 anni e Giovanni di 10. Due anni fa si sono separati legalmente ed entrambi hanno nuovi partner. Il problema insormontabile per gli avvocati è che Francesca non accetta che la nuova compagna di Salvatore gestisca gli orari dei suoi figli. Insiste perché Salvatore organizzi i suoi orari in modo che sia lui a venirli a prendere i giorni in cui devono stare con il padre. Ora stanno con la madre venerdì, sabato e domenica pomeriggio per una settimana. La settimana successiva stanno mercoledì, giovedì e venerdì con Salvatore.

Discutono animatamente, gridando, soprattutto Francesca che dice: “I bambini fanno i compiti con me e devi essere tu a venirli a prendere. Manuela (la nuova compagna di Salvatore) mi vuole scavalcare, critica i nostri figli ed è invidiosa”. Salvatore dice: “La relazione si è rotta”. Gli chiedo di sedersi uno di fronte all’altro e Francesca mi guarda scandalizzata: “Ma come ci chiede questo?”. Pacatamente le dico: “Lo faccia”. Lei ubbidisce e si prendono per mano. Decidono che a cominciare sia Francesca, che dice: “Ti ringrazio per avermi dato due figli.

Ti ringrazio per i bei momenti che ci sono stati.

Ti ringrazio per quando ci siamo conosciuti e capiti.

Ti ringrazio per il viaggio al mare.

Ti ringrazio perché a volte mi capivi.

Ti ringrazio per i momenti in cui mi sei stato vicino”.

Quando tocca a Salvatore, emozionato dice: “Ti ringrazio per i figli che mi hai dato.

Ti ringrazio perché mi ero perso e mi hai salvato (e piange).

Ti ringrazio per i bei momenti che abbiamo trascorso insieme.

Ti ringrazio per la crociera nel Mediterraneo.

Ti ringrazio per i piatti che mi hai cucinato.

Ti ringrazio per esserci incontrati”.

Quando gli chiedo di abbracciarsi per il tempo necessario è di nuovo Francesca che mi guarda perplessa. Ripeto con fermezza che lo facciano e si stringono in un lungo abbraccio, molto emozionati. Li saluto e fisso un appuntamento per il mese successivo. Quando arrivano, visibilmente tranquilli, Salvatore dice: “Il problema sono i bambini. Lei dice che con me stanno male”. Francesca risponde: “Per il mantenimento economico ho accettato il parere degli avvocati. Solo che i bambini non stanno bene perché devono stare con la sua nuova compagna e non con me. Lei non è normale”. Salvatore dice: “Quando è intervenuto tuo padre ha rovinato il nostro matrimonio”.

Nonostante queste riflessioni, dicono di essersi messi d’accordo su tutti i punti conflittuali e manca solo che i bambini accettino quanto deciso. Programmiamo allora la terza e ultima riunione alla presenza dei figli. Graziella, giudiziosa e serena, descrive la situazione con ricchezza di particolari, come fosse una terapeuta familiare. Giovanni ascolta e acconsente a quanto dice sua sorella. Sono d’accordo con quanto deciso e allora redigiamo l’accordo firmato dai quattro e siglato da me da mandare agli avvocati (i quali, sollevati, non finiscono mai di ringraziare per quanto fatto).

Questi sono esempi tipici e l’effetto paradossale di questa tecnica è che rompe il circolo vizioso di rimproveri e controrimproveri che mantengono il grumo emotivo della rabbia di aver perso un pezzo di vita e per non poter accettare che tutto il valore di questa unione si sia sprecato. Semplicemente è che loro si rendono conto che non è stato tempo sprecato, che non è stato tutto una schifezza e che i valori nei quali credevano perdurano. Questo, paradossalmente, permette la separazione.

Il meccanismo potrebbe essere questo: quelle identificazioni proiettive depositate nel partner per sopperire le carenze della propria famiglia d’origine hanno fatto probabilmente scoppiare il rapporto. Utilizzando la metafora del circuito elettrico potremmo dire che queste identificazioni proiettive lo abbiano sovraccaricato mandandolo in cortocircuito. Talvolta questo blackout viene evitato scaricando la tensione su un figlio, come vedremo più avanti, o su un legame extraconiugale, per proteggere l’intera istallazione. Però, riconoscendo le cose positive ricevute dall’altro si rivendica un aspetto positivo del legame che permette probabilmente di sciogliere il grumo emotivo. Comunque quello che succede a volte è che si preferisce divorziare da questo partner per proteggere gli oggetti primari con cui si hanno problemi irrisolti poi proiettati sul partner. O si preferisce eventualmente cercare un nuovo partner su cui continuare a depositare le identificazioni proiettive. Questo è stato il prezzo da pagare per questo spostamento. Occorre ora descrivere un aspetto importante del rituale quando lo si applica come TEST; nelle situazioni in cui l’ambivalenza manifestata non consente al terapeuta di sapere se miglioreranno con la terapia di coppia, potenziando il vincolo positivo o se iniziare una terapia di divorzio qualora fosse accettata.

3° CASO CLINICO

Mandati dall’avvocatessa di Lucia, 45 anni, cameriera, divorziata con due figli di 20 e 16 anni; Matteo ha 49 anni, rappresentante di commercio, scapolo; sono stati fidanzati 3 anni e si sono sposati 4 anni fa. Lucia dice: “A gennaio se n’è andato di casa. L’unica certezza è che siamo innamorati e sebbene abbiamo divergenze quotidiane importanti non riusciamo a separarci”. Lui dice: “Ho lasciato tutto e tutti. Il problema esisteva da tempo, da un po’ di tempo la ignoro, ma poi mi sento insoddisfatto”. Lucia dice: “Ho sofferto per la separazione. Io dico tutto quello che penso. Lui è oberato di lavoro e di responsabilità ed è abituato a comandare ed io sono sempre stata indipendente”. Matteo dice: “Abbiamo una diversa visione della vita. Io avevo un’altra compagna ma fin dal primo incontro Lucia mi ha folgorato. Mi ha dato tanto e mi faceva sentire realizzato, ma lei hai due figli e tutti sotto lo stesso tetto”. Raccontano le loro storie e fissiamo un appuntamento dopo pochi giorni.

Matteo dice: “Il problema è il dialogo. Prima ero abituato a decidere da solo. Ora devo…”.

Terapeuta: “Se poteste separarvi, lo farebbe?”.

Matteo: “La mia risposta è sì. Però appena ci vediamo ci avviciniamo e…”.

Lucia: “So di essere capace a fare a meno di lui, però non mi voglio separare. Posso stare lontana se lo decido, ma non posso separarmi. È una scelta di vita”.

Propongo allora il rituale.

Lucia dice: “Ti ringrazio per come sei entrato nella mia vita e per avermi fatto capire che non sempre posso essere forte.

Ti ringrazio per quella sera in cui mi hai detto “A te ci penso io”.

Ti ringrazio per avermi fatto credere che l’amore esiste veramente e che io posso essere una donna.

Ti ringrazio per tutte le volte che mi hai accarezzato la testa.

Ti ringrazio per aver amato i miei figli.

Ti ringrazio per esserci stato”.

Matteo dice: “Ti ringrazio per quello che ho provato con te e che mai più proverò.

Ti ringrazio per un sentimento che chiamo amore.

Ti ringrazio perché ti sei occupata di me e continuerai a farlo.

Ti ringrazio per tutto quello che farai per me.

Ti ringrazio perchè starai sempre con me.

Ti ringrazio per tutto quello che mi darai e per quello che mi hai dato, che è tanto tanto”.

Si stringono in un lungo e tenero abbraccio e lei lo bacia.

Non li ho più visti. L’avvocatessa di Laura mi ha detto che sono rimasti separati e che stanno perfezionando la pratica di divorzio. Nonostante tutte le affermazioni amorevoli, il terapeuta percepiva un’evidente ambivalenza e il test fu decisivo.

Ancora una volta, la conferma che non era stato tutto inutile ha permesso la separazione. Il forte impatto antiparadossale scuote intensamente i protagonisti e l’effetto sorpresa è necessario per cambiare il segno relazionale che per molto tempo ha modellato la relazione. In altri casi, invece, la coppia dopo questa manifestazione di mutuo riconoscimento sta meglio, più rassicurata nel vincolo. È come se avessero fatto un reset emotivo esplicitando esperienze di vita importanti per entrambi e diminuendo l’ambivalenza.

Questa tecnica, sebbene molto diversa da quella applicata da Mara Selvini Palazzoli alle famiglie di psicotici e anoressici, contiene tracce della creatività di questa grande terapeuta che scosse il mondo della terapia familiare negli anni Ottanta applicando concetti della paradossalità umana nella psicoterapia già espressi da Victor Frankl e Paul Watzlawick, tra gli altri, applicandoli però per la prima volta al gruppo familiare intero con il controparadosso della connotazione positiva.

COPPIA GENITORIALE

A questo punto bisogna includere anche questa dimensione quando incide in modo evidente su uno dei figli impedendogli di differenziarsi correttamente; affinché questo processo si realizzi in modo adeguato entrambi i genitori devono dare nutrizione emotiva e la conferma di se stesso a ogni figlio o figlia (vedi la tecnica dello Zaino in Canevaro [4,5]).

Alberto di 21 anni mi è stato mandato da un neurologo per una grave sindrome ossessivo-compulsiva. Il neurologo lo cura con psicofarmaci e mi chiede di iniziare con lui una psicoterapia. Faccio così e dopo poche sedute individuali per creare il necessario clima di fiducia reciproca lo vedo separatamente con entrambi i genitori, divorziati da 8 anni, da quando Alberto ne aveva 13. Il padre se ne va di casa dopo un lungo periodo di intense liti tra i genitori, causate in gran parte dall’infedeltà del padre. Quando Alberto finisce il liceo con ottimi risultati, con la votazione di 96/100, non vuole continuare a studiare, nonostante il volere dei genitori, e comincia lavorare in un’azienda come incaricato del deposito dei prodotti. I suoi sintomi sono un’intensa ansia, ruminazione ossessiva, indecisione permanente, cambia di opinione continuamente su qualsiasi cosa. Vuole entrare nell’esercito, le uniformi lo hanno sempre appassionato, subito dopo vuole unirsi a un gruppo di amici per organizzare una serata in discoteca, fuma marihuana quando esce con gli amici e non riesce a crearsi una relazione affettiva con nessuna ragazza. Poco a poco comincia a cambiare; nell’incontro con la madre quest’ultima dice di aver sofferto molto per il matrimonio e di aver avuto una forte depressione, con 10 giorni di ricovero, quando Alberto aveva 5 anni. “Lui capiva tutto” dice la madre e racconta che ha dormito con lei fino a 12 anni. Alla mia domanda di come si sentirebbe di fronte a un’eventuale uscita di casa di Alberto risponde molto angosciata: “Mi sentirei tremendamente sola”.

Nell’incontro col padre, egli dice che pensa di averlo fatto soffrire molto per via della separazione e che non ha mai potuto chiedergli perdono. Si prendono per mano e il padre lo fa in questo momento e Alberto, sorridendo, lo perdona. In entrambe le situazioni ho adottato il rituale dello zaino con i genitori, separatamente.

Successivamente a questi incontri comincia a migliorare, incontra una ragazza con la quale inizia una relazione e nel periodo in cui la madre comincia a lavorare presso una famiglia come governante, tornando a casa solo il sabato, Alberto si organizza più che bene nel cucinare e pulire la casa. È questo il periodo migliore dei cambiamenti, che si interrompe quando la madre decide di tornare a casa a dormire tutte le sere (nell’incontro congiunto col padre dirà che è tornata perché aveva visto che Alberto si stava rendendo troppo autonomo). Sentendosi meglio Alberto smette di prendere medicine e prende l’importante decisione di lasciare il lavoro e prepararsi per l’accesso all’università per studiare Gestione di impresa, continuando la sua relazione con la ragazza e uscendo i fine settimana con i suoi amici.

A fronte di questi cambiamenti positivi e in coincidenza con il ritorno della madre inspiegabilmente peggiora e si sente pervaso da una grande ansia e piange, pensando che non potrà fare fronte a questi cambiamenti. La madre mi chiama per telefono molto preoccupata e accusa l’ex marito di sabotare la cura e pensa che bisognerebbe far ricoverare Alberto perché lei non sa più cosa fare, per cui decido di convocarli tutti in una seduta congiunta nella quale spiego che dobbiamo lavorare uniti in gruppo, in modo che Alberto possa ricevere il supporto necessario per superare senza ricovero i suoi problemi. Nell’incontro i genitori non finiscono mai di criticarsi l’un l’altro con toni accesi, Sara accusandolo di sabotare la terapia e Lorenzo dicendo che lei drammatizza sempre tornando a dormire a casa, preoccupata per la crescente emancipazione di Alberto.

In questo momento di accesa discussione, chiedo ad Alberto di allontanare la sua sedia dai genitori (era in mezzo a loro) e di sedersi accanto a me di fronte a loro e chiedo ai genitori di sedersi uno di fronte all’altro prendendosi per mano e dicendo loro che come genitori non potranno mai separarsi per completare il lavoro di aiutare nella crescita Alberto e la sua crescente differenziazione.

Lorenzo comincia col dire: “Ti ringrazio per la famiglia che abbiamo costruito.

Ti ringrazio per il figlio che mi hai dato.

Ti ringrazio per il tuo comportamento nei confronti dei miei errori.

Ti ringrazio per le cose buone che mi hai dato.

Ti ringrazio per come trattavi me e la casa”.

Quando arriva il momento di Sara, lei dice che non ha nulla di cui ringraziarlo, al che le dico che è impossibile che non trovi niente di positivo nel comportamento di Lorenzo, che rifletta.

Lei a denti stretti dice: “Ti ringrazio per il seme che mi hai dato per procreare Alberto.

Ti ringrazio per avermi tirato fuori dalla mia famiglia nella quale stavo molto male”.

Quindi si ferma e dice che non hai più niente di cui ringraziarlo. Insisto che non è possibile che non trovi niente di cui ringraziarlo e che è il rancore a bloccarla imbronciata. In quel momento Alberto dice: “Mi sento male…”. Lo tranquilizzo dicendo che passerà e torno a lavorare con la madre che rimane in silenzio, chiusa in se stessa, senza rispondere per 3-4 minuti fino a che di fronte alla mia insistenza dice: “Ti ringrazio per i gesti di affetto dei primissimi anni di matrimonio.

Ti ringrazio per quando, seduti sul divano, mi accarezzavi i piedi.

Ti ringrazio per quando mi facevi scegliere i film da vedere e la musica da ascoltare.

Ti ringrazio per quando mi trovavi bella dopo il parto che mi aveva fatto ingrassare parecchio.

Ti ringrazio per quando mi facevi ridere”.

Quando finiscono chiedo loro di abbracciarsi per il tempo necessario

L’abbraccio è molto intenso e Sara piange angosciata e Lorenzo è molto emozionato. Durante tutto il tempo dell’esperimento Alberto guardava turbato e molto commosso. Quando finiscono dico a tutti e tre che devono cercare di non allontanare dalla mente nei prossimi giorni queste emozioni che sono la loro ricchezza, tornare su di esse per accettare che ci sono state cose buone che non si sono perse e che questa è la nutrizione emozionale di cui Alberto ha bisogno per maturare e realizzare i suoi progetti di vita.

Dato che questa è una ricerca in itinere, è necessario sperimentare la tecnica con più pazienti, col follow-up necessario per avere conferma che ci siano cambiamenti duraturi. Nonostante ciò, l’intuizione clinica mi fa confidare che questa dimensione parentale così significativa per la crescita dei figli potrebbe anche trarre beneficio da questo riconoscimento aperto e intenso davanti al figlio sintomatico. Immediatamente cessano le telefonate quotidiane e le mail di Alberto, che vedo dopo una settimana.

Molto più sereno, mi racconta che la madre, dopo la seduta, ha intenzione di chiedere al padre di sostituirla a casa, venendo a stare al suo posto (dopo la separazione da una nuova compagna da alcuni mesi abita con i genitori). Sebbene questo si sia dimostrato un sondaggio manipolatorio della madre per vedere che ne pensasse Alberto, come si deduce da una telefonata durante la quale le dico che non si deve sentire forzata a farlo, questo apre un capitolo sulla necessaria identificazione di Alberto col padre per farlo crescere nella sua vita emotivo-sessuale. Alberto dal canto suo mi dice che dopo l’incontro sente il desiderio di passare più tempo col padre, ora che questi incontri li vive come uno stimolo salutare per la sua vita. Continua a uscire con la fidanzatina con la quale ha rapporti sessuali soddisfacenti per entrambi e si è iscritto all’università, pagando l’iscrizione con i suoi risparmi. Alcuni giorni dopo mi chiama Alberto per dirmi che la madre ha suggerito che lui e il padre vadano a vivere insieme, affittando un appartamento e che un giorno alla settimana non dorma in casa perché lei avrà la visita di un amico. Capendo che questa volta la proposta della madre è più chiara e definita, decido di convocare Alberto e il padre. Arrivano entrambi molto contenti e decidono di cercare un appartamento adeguato e il padre si impegna ad aiutarlo per l’acquisto dei testi universitari e per i viaggi che dovrà fare, ma che per il resto ci deve pensare Alberto, il quale assicura che lavorerà in una pizzeria i fine settimana per arrotondare le entrate.


Come possiamo vedere nell’immediato follow-up, il rituale si è rivelato utile per toglierlo dalla triangolazione e iniziare un cammino di crescente emancipazione. Il mio errore era stato non capire che la tempesta di ansia e le continue chiamate di Alberto prima degli incontri erano un grido d’aiuto di fronte alla presenza opprimente e dominante della madre. Inoltre non avevo fatto una valutazione più accurata del grande impegno psichico che lui sosteneva, poiché mi ero affrettato ad applicare il protocollo degli incontri separatamente, senza averlo preventivamente tolto dalla triangolazione di una situazione cronica di scontro tra i genitori. Come possiamo vedere nell’immediato follow-up, la tecnica utilizzata è stata utile per farlo uscire dalla triangolazione e iniziare un cammino di emancipazione crescente.




Il grande contributo di Esteban Laso allo studio dei processi emozionali della famiglia e l’impegno terapeutico necessario possono aiutarci nella comprensione di questo processo (Figura 1) [6]. Laso dice: «L’esperienza emozionale umana spazia in una dimensione che va dal superficiale, dall’immediato, dal fluttuante, e occasionale (il foco) al profondo, sottile e costante (lo sfondo) nel quale possiamo distinguere tre fenomeni: a monte, l’emozione propriamente detta, a metà strada, gli stati d’animo e avvicinandoci al nucleo dell’essere, la “sensazione di sé stesso”» [7]. Quest’ultima è cruciale per l’impegno terapeutico, soprattutto in casi complessi: come regola generale, tanto più grave è il disturbo, tanto più è compromessa questa sensazione di sé. A differenza dell’emozione, la sensazione di sé non risponde direttamente alla situazione attuale, ma all’amalgama di esperienze emozionali precedenti (in particolare le relazioni di attaccamento), la sensazione del sé è duratura e fluttua soltanto dopo esperienze di grande profondità. Più avanti, cita Johnson [8] quando dice che le terapie di coppia riuscite attraversano due fasi: la dissoluzione dei circuiti difensivi seguita, quando è percorribile, dalla ricostruzione fondata su reciproche dimostrazioni di affetto. È precisamente quello che colpisce di questa tecnica controparadossale che enfatizza esattamente il non detto abitualmente, che però è necessario per bilanciare gli aspetti positivi e negativi di ogni esperienza umana, soprattutto in una relazione così speciale come quella della coppia.

ALCUNE DIFFICOLTÀ

I nuovi coniugi che sono abituati, a volte per anni, a sentire perenni lamentele e accuse che il nuovo partner rivolge al rapporto con il suo ex e anche alla sua persona. Sono inoltre testimoni, molte volte, di alcune di queste “cattiverie”. Per questo, la reazione perplessa di fronte a questa nuova posizione che non li ha inclusi può essere di ostacolo al risultato. È chiaro che l’effetto curativo dell’intervento terapeutico contribuirà a sminuire le lamentele dell’ex-coniuge e pertanto aiuta alla distensione di tutto il sistema. A questo punto della ricerca clinica è un tema irrisolto, che però potrebbe teoricamente essere seguito dall’inclusione di questi ex-coniugi se esiste un processo terapeutico e continuarlo in una divorce-therapy.

Gli avvocati, soprattutto quelli che insistono nella erronea strategia di cercare la colpa per cui sono stati addestrati durante tutta la carriera. Cercare la colpa in una relazione circolare e autodeterminante come la coppia contribuisce a continuare per una strada senza uscita. Questi avvocati, di fronte a un cambiamento copernicano del cliente, possono continuare in una guerra senza quartiere. In questo caso potrebbe essere utile una riunione terapeutica che preveda la presenza degli avvocati delle due parti con i clienti se possibile. È chiaro che l’effetto sorpresa del controparadosso è l’aspetto più importante della tecnica. Per questo, il terapeuta deve saper amministrare saggiamente il timing dell’incontro (di solito lo faccio già nella prima seduta o al massimo nella seconda), essere determinato e sapere che è l’unica cartuccia di cui dispone. Non la può sprecare. Chiudere l’incontro subito dopo il rituale, senza metacomunicare su tale processo, è altresì importante per lasciare sedimentare l’esperienza emozionale senza interferire con la critica logica.


I casi in cui entrambi erano divorziati da anni e avevano intrapreso delle nuove relazioni con altri partner continuano con l’assetto attuale più sollevati. È importante in questi casi organizzare la relazione nel quadro di una famiglia ricostituita che ha le proprie leggi e non più quelle della famiglia nucleare che è stata e che non lo sarà più. Quando è possibile continuare con il processo terapeutico della coppia, le strade sono due: o scelgono di continuare la psicoterapia investendo sul rapporto o si devono incanalare le cose verso una terapia del divorzio che mantenga esplicita l’ambivalenza di ogni interazione umana e facendo il bilancio di questa relazione importante che molte volte deve essere sugellata da un accordo genitoriale. Questo rituale può essere utile nelle mediazioni e inoltre dovrebbe essere incluso nelle ultime fasi di una terapia di divorzio, come preventivo per evitare problemi e per seguire il cammino della convivenza pacifica. Occorrerà continuare con la ricerca clinica disponendo di una nuova arma terapeutica per il difficile compito di passare da una separazione impossibile a una separazione parziale, meno dannosa soprattutto per i figli.



* Relazione presentata al XVI Congresso di RELATES, Asunción del Paraguay, giugno 2020. Traduzione di Marcello Rohr.


bIBLIOGRAFIA

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