Le lacrime del gladiatore
Silvia Serena Fornarelli1



Portiamo avanti con la storia raccontata da Silvia Serena Fornarelli la sezione dedicata alla migliore delle storie cliniche preparate per l’esame di fine training dagli allievi del Centro Studi. Un gruppo di didatti ha verificato, in un lavoro precedente pubblicato su “Ecologia della mente”, la validità terapeutica di questi interventi.


With the story by Silvia Serena Fornarelli we continue the section devoted to the best clinical case prepared for the final examination by the students of the Centre. A group of teachers has verified, in a previous work published in “Ecologia della mente”, the validity of these interventions.


En esta sección dedicada a la mejor de las historias clínicas estudiadas para el examen de final de training de los alumnos del Centro Estudios, presentamos la historia escrita por Silvia Serena Fornarelli. Un grupo de didactas evalúan la efica­cia y validez de estas acciones terapéuticas ya publicadas anteriormente en “Ecologia della mente”.

PREMESSA
Il lavoro qui presentato concerne la storia di una famiglia in difficoltà nel fronteggiare quel delicato momento, intriso di vulnerabilità e di incertezza, della fase adolescenziale di una figlia. È il racconto della fatica di un padre nell’accettare l’idea che la sua bambina stesse pian piano abbandonando i panni scelti da lui sino a quel momento, per indossare quelli da lei desiderati ma non sempre approvati dai severi occhi paterni. È la storia di una madre dalla voce troppo flebile per farsi ascoltare dai suoi familiari, poiché aveva imparato a parlare per mezzo di quella altrui. È parallelamente il racconto di un figlio primogenito dalla spalle troppo minute, per portare il peso delle responsabilità a lui attribuite dai suoi genitori, e di una figlia ultimogenita investita degli sguardi rigidi e iperprotettivi dei suoi familiari, da cui aveva imparato a difendersi con altrettanta rigidità e durezza.
La loro storia si è intrecciata alla mia e insieme abbiamo scritto una nuova narrazione: dapprima abbiamo sviluppato a più mani l’introduzione, poi le loro mani hanno preferito segnare un punto e proseguire da sole al nuovo capoverso. Successivamente, quelle mani sono tornate per riprendere dal punto in cui ci eravamo lasciati e comporre il corpo centrale del nostro testo. È così che vi è stato il tempo dell’intuizione, della riflessione, del blocco dello scrittore, quello delle titubanze e della condivisione reciproca. È seguito il tempo delle scoperte e dei progressi, delle paure e delle incertezze fino a giungere all’epilogo del nostro racconto.
Contemporaneamente io trascrivevo un’altra narrazione, cui cercavo da tempo di dare una forma: la storia del mio riavvicinamento a mio padre, resa possibile dalle riflessioni che l’incontro con questa famiglia mi ha permesso di realizzare.
Questa è la storia parallela della riconciliazione tra un padre e una figlia adolescente, e tra una donna ormai adulta e suo padre. È la storia di un incontro di vite che insieme hanno coltivato con pazienza, dedizione e impegno la piantina del cambiamento possibile.
L’INVIO E IL PRIMO CONTATTO
L’invio della famiglia avviene tramite mio padre, in quanto Massimo è un suo collega di lavoro a cui aveva riferito di alcune difficoltà con sua figlia. Mio padre gli aveva indicato in quale momento contattarmi e, il fatto che fosse stato lui a fornirgli tale informazione aveva suscitato in me una forte tensione poiché pensavo che doveva sempre intromettersi in faccende che non lo riguardavano. Inoltre, ero timorosa perché non avevo ancora seguito da sola privatamente un caso in formato familiare, il cui problema riferito concerneva un’adolescente. Nella mia mente s’insinuavano una serie di dubbi: “Ne sarò capace? Chi dovrò convocare in prima seduta? Forse è meglio che li invii a qualcuno più competente di me, dato che è un collega di mio padre e forse avrà troppe aspettative nei miei confronti” .
A chiamarmi è lo stesso Massimo che manifesta sin da subito la sua grande apprensione per le difficoltà vissute a casa. È in allarme per sua figlia Fabiola che si era procurata un taglio sulla gamba con il taglierino nel bagno della scuola, motivo per cui erano stati convocati dalla docente che aveva consigliato loro di rivolgersi a uno psicologo, anche se Fabiola sosteneva di non averne bisogno. Massimo descrive sua figlia come ribelle e determinata sin da piccola. Da circa un paio d’anni sembra che la rabbia di Fabiola sia aumentata non solo verso i suoi pari ma anche a casa, così come le sue richieste di uscita, senza che lei riesca ad accettare le restrizioni dei genitori. Massimo ha preferito non riferire alla figlia del nostro contatto, desiderando vedermi prima da solo con sua moglie in modo da spiegarmi meglio la situazione. Accolgo la richiesta e convoco la coppia genitoriale per la prima seduta. Durante il contatto telefonico avevo percepito la profonda pena di Massimo rispetto alla situazione riportata, che mi aveva anche trasmesso l’idea di una certa gravità, come di fronte a un fiume i cui argini stanno per cedere. “E io come potrò arginare questo fiume? Le mie braccia saranno abbastanza resistenti? La mia testa sarà abbastanza lucida? E la mia pancia, come reagirà? E se non sarò capace di incanalare il fiume nella giusta direzione, cosa penserà di me, mio padre?”.
ANIMA GRANDE
La famiglia e il controtransfert
«Padre,
se anche tu non fossi il mio padre,
se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini
già tanto pel tuo cuore fanciullo
t’amerei».
Camillo Sbarbaro, Padre se anche tu non fossi il mio

Il pomeriggio dell’appuntamento con la famiglia Spartaco ero piuttosto tesa rispetto alla possibile evoluzione della seduta e all’eventuale gravità della situazione di sofferenza riferita. Massimo e Cecilia giungono puntuali: lui è un uomo alto e possente dalle mani grandi e ruvide, segnate dalla pesantezza del lavoro in campagna, svolto sin da quando era un ragazzo; lei è una bella donna dai lineamenti morbidi e delicati, ben curata e profumata, è una casalinga anche se di tanto in tanto le piace aiutare suo marito in campagna. Si conoscono dal ’95. Riportano la presenza di difficoltà familiari da circa due anni per via della gelosia provata da Cecilia verso una bracciante che lavora presso Massimo, motivo per cui sono sorte delle discussioni anche dinnanzi ai figli, per renderli partecipi. In tali occasioni Massimo chiede il sostegno di Claudio, mentre Fabiola piange di fronte alle minacce di Cecilia di andare via da casa.
A proposito di Fabiola, narrano che sin dal periodo della Scuola dell’Infanzia era emarginata e considerata dalle maestre come la bambina cattiva poiché testarda, mentre durante la Scuola Primaria era la pecora nera per via delle sue difficoltà di apprendimento, accertate in seguito con una diagnosi di dislessia di grado lieve. Il passaggio alla Scuola Secondaria di I grado è stato più favorevole, poiché Fabiola ha trovato delle docenti che tengono molto a lei e in alcune materie segue un programma di studio differenziato, anche se il suo rendimento scolastico è altalenante in quanto si concentra poco ed è spesso fuori dalla classe. La ragazza ha motivato l’atto autolesivo come il frutto di un’emulazione di una compagna che si era tagliata giorni prima per sbollire la rabbia. Anche lei era arrabbiata con la scuola e la sua famiglia, dopo una lite avvenuta giorni prima poiché Claudio – destinatario del mandato paterno di controllare Fabiola sui social network e sul cellulare – aveva letto di una parolaccia che aveva scritto a una sua amica in chat e l’aveva riferito al padre il quale l’aveva punita, impedendole di andare a una festa, di uscire e di usare il cellulare: «Così come tu mi fai crepare, io faccio crepare te», e Fabiola: «Più tu fai il cattivo, più io faccio la cattiva con te». A seguito del taglio sulla gamba, decidono di chiedere aiuto poiché non sanno più come comportarsi. Inoltre, la ragazza riferisce spesso di sentirsi inferiore rispetto a Claudio che è il figlio preferito e lo stesso Massimo spiega: «Claudio, non ha mai dato i problemi di Fabiola». Per Massimo l’educazione dei suoi figli deve avvenire tramite la severità (anche fisica) poiché gli hanno insegnato a non mostrarsi debole. Secondo la coppia il problema è dato dal buonismo di Cecilia, di cui i figli si approfittano. Dai nostri incontri Massimo si aspetta di comprendere come comportarsi con i ragazzi, mentre Cecilia vorrebbe che si raggiungesse maggiore benessere a casa. Non hanno riferito ai figli del nostro incontro per timore di una reazione negativa di Fabiola.
Al termine della seduta valorizzo il coraggio nell’aver chiesto aiuto, segno della grande attenzione verso la famiglia in cui sembra esserci una sofferenza diffusa seppur Fabiola sembri portarne la bandiera, compiendo un gesto carico di un significato da comprendere. Aggiungo di riferire ai figli della loro preoccupazione circa la mancata armonia familiare, motivo per cui hanno chiesto aiuto, e di proporre loro di venire in prossima seduta o quando lo avessero ritenuto opportuno.
Sia durante l’incontro che al suo termine, provavo tenerezza per la dolcezza di Cecilia e il suo timore di esprimersi dinnanzi a Massimo, molto più risoluto e sicuro di sé, con la sua prolissità e fermezza nell’esposizione dei contenuti. Massimo mi ricordava qualcuno: “È tale e quale a mio padre!”. Difatti, oltre a essere entrambi dei self-made men, condividevano la severità, la presunzione e la poca presenza a casa per l’eccesso di lavoro. Per tali vissuti avevo provato un certo fastidio nei suoi riguardi e per i modi poco gentili adottati verso Cecilia e anche nei miei confronti, poiché spesso mi aveva interrotto durante il colloquio. Tuttavia, a differenza di quanto non avesse fatto mio padre in un periodo molto sofferente della nostra vita familiare, Massimo si era attivato per la sua famiglia e per questo i miei occhi gli concedevano una maggiore benevolenza.
Inaspettatamente, al secondo incontro giungono anche i figli: Claudio alto e magro con gli occhi grandi e profondi sembra essere fin da subito a suo agio; Fabiola – più timorosa – ha i lineamenti chiari e delicati come sua madre, sulle sue spalle magre non poggiano soltanto i lunghissimi capelli color oro, ma anche gli sguardi pesanti di coloro che la circondano. Con l’intento di rendere il clima della seduta più leggero – dato anche il timore scorto nello sguardo di Fabiola – introduco il gioco dei pregi e dei difetti, motivandolo come il desiderio di conoscerli meglio: ciascuno avrebbe indicato tre pregi e tre difetti di ognuno. Gli aggettivi ridondanti utilizzati dai componenti della famiglia per descrivere Massimo sono buono e aggressivo; quelli per descrivere Cecilia sono affettuosa e superficiale, mentre quelli per descrivere Claudio sono buono e disordinato, infine, Fabiola è rappresentata come protettiva e aggressiva. Ringraziando i ragazzi per la loro presenza, rimando la preoccupazione dei genitori per il benessere familiare, motivo per cui hanno chiesto aiuto e, in tal modo, definiamo il contratto terapeutico in cui, con incontri familiari, di coppia e individuali avremmo lavorato per ritrovare ordine e serenità a casa.
Nella seduta successiva i ragazzi fissano l’origine delle problematiche familiari a due anni prima, quando la nonna paterna aveva riferito a Cecilia di stare attenta ai comportamenti del figlio verso una bracciante. Durante le liti coniugali che seguono, Claudio si sente il giudice che deve sentenziare chi abbia ragione, oltre a sentirsi in dovere di intervenire per evitare che suo padre possa aggredire fisicamente la madre, mentre Fabiola si sente più vicina alla donna in quanto fragile. Inoltre, da due anni Claudio controlla Fabiola poiché sta crescendo e sente di dover agire tale responsabilità per l’assenza paterna e la debolezza materna, anche se ciò infastidisce molto Fabiola e per questo motivo sono soliti discutere. La ragazza riporta di essersi sentita in colpa a seguito del gesto compiuto con il taglierino, comprendendone l’inutilità, anche se motivato da vissuti di rabbia e solitudine. Riconosco a Fabiola la sua sofferenza, proponendole di riflettere insieme su modalità più funzionali con cui esprimere i propri sentimenti. Inoltre, riconosco il peso delle responsabilità sulle gracili spalle di Claudio e il rischio, per lui, di non adempiere ai propri compiti di sviluppo, e perciò avremmo potuto ragionare su come alleggerirsi. Claudio concorda: “Se dall’alto stanno bene, anche in basso staremo bene”.
Sembra che in questa famiglia, tutto sia andato bene fino a quando [1,2] sono sorti i vissuti di trascuratezza e gelosia di Cecilia, sfociati in liti coniugali, parallelamente al momento d’ingresso della famiglia nella fase di ciclo vitale di individuazione della seconda figlia adolescente. I vissuti di Cecilia hanno determinato le sue minacce di fuga e si sono intrecciati con le risposte di negazione e aggressività di Massimo e le discussioni a livello del sottosistema coniugale, con la triangolazione dei figli [3]. A ciò ha fatto seguito l’invischiamento e la confusione dei confini familiari, l’assunzione del ruolo di parental-child di Claudio e la difficoltà del sistema familiare nel riconoscere la crescita di Fabiola. Una difficoltà agita con risposte di iperprotettività, rigidità e controllo che procuravano la rabbia e i comportamenti di sfida di Fabiola. Ad ogni modo, la sua emergenza soggettiva [1] ha permesso alla famiglia di giungere in terapia. Pertanto, la mia idea circa il prosieguo terapeutico era quella di adottare interventi di tipo sistemico-strutturale [3] per affrontare i nodi coniugali fonte di malessere, comprendere la sofferenza espressa da Fabiola, favorire la definizione più chiara dei confini e delle gerarchie familiari, in modo da restituire a ogni membro il proprio ruolo, permettere a ciascuno di rispondere ai propri compiti, ricostruire l’alleanza fraterna e la coesione genitoriale. Il mio intento era altresì volto a favorire una più efficace comunicazione interna del sistema familiare e una relazione più equilibrata e funzionale tra i membri. Per questo, in tale fase avevo avviato un’iniziale sfida all’invischiamento familiare tramite la convocazione disgiunta della fratria, cui avrebbe fatto seguito l’incontro con la coppia genitoriale. Tale passaggio voleva essere un’occasione di sperimentazione della separazione e dell’evitamento di intrusioni, permettendo una demarcazione più chiara dei confini tra i sottosistemi [4]. Difatti, l’intervento strutturale è volto a modificare l’organizzazione interna della famiglia nel presente, considerando i presupposti concernenti l’organizzazione delle dinamiche familiari e il modo in cui esse si collegano [5].
A questo punto, presento il caso in supervisione. “Cosa mi dirà il supervisore? Avrò fatto bene o avrò commesso una serie di errori? E se ho sbagliato, cosa penserà di me?”. Dubbi e domande connesse al mio ben sedimentato vissuto d’insicurezza e desiderio di non deludere l’altro. Tuttavia, il supervisore concorda con il lavoro svolto, sottolineando la necessità di restare nell’hic et nunc della situazione, al fine di comprendere le ragioni della gelosia di una donna attraente come Cecilia, anche perché sembra che per la coppia sia giunto il momento di fare il tagliando di manutenzione. Dal momento che il sistema familiare appare permeabile, il supervisore suggerisce di mostrare alla coppia che Claudio si sta occupando di loro e non può avere il controllo di Fabiola poiché ciò, oltre a sovraccaricarlo, trasmette alla figlia l’idea che Massimo non possa occuparsi di lei e alla moglie di non essere una madre capace. Inoltre, giacché Fabiola sembra funzionare come Massimo, è inutile relazionarsi a lei in modo simmetrico [6], cercando di piegarla, e va rimandato a Cecilia che le minacce di fuga spaventano o fanno ammalare i figli. Poiché entrambi faticano nel vedere la crescita di Fabiola, questa non si sente riconosciuta, avviando con loro uno scontro frontale. Infine, essendo Massimo un self-made man, ogni disfunzionalità è da lui attribuita all’altro e non a sé, motivo per cui va valorizzato il suo essersi dimostrato un padre attento e premuroso.
Insieme al gruppo e al supervisore riflettiamo sul mio controtransfert [7] nei riguardi di Massimo e su come, al momento dell’invio, mi fossi preoccupata più dell’intrusione di mio padre che del suo avermi inviato un paziente, segno che forse mi reputasse molto più capace di quanto io pensassi sino a quel momento. Mi rendevo conto di quanto, nella mia relazione con lui, attribuissi esclusivamente alle sue mancanze le ragioni della nostra distanza, data dalla sua assenza quando ero piccola poiché molto impegnato nel lavoro, dai suoi mancati gesti d’affetto, dalla sua ostentata immagine d’infallibilità, dal suo non pronunciare quasi mai un: “Brava figlia mia, sono fiero di te”. Nella mia testa e nella mia pancia era tutta colpa sua ed era per lui che – crescendo – avevo dovuto fare i conti con i miei vissuti d’insicurezza, con il mio costante timore di sbagliare e di essere giudicata, con il desiderio di fare sempre bene per dimostrare a me stessa (o a lui?) che ero brava e capace e per evitare di deluderlo; era per lui che incedevo in relazioni sentimentali con partner che ne ricalcavano i tratti di squalifica [8]. Era solo colpa sua. Tale pensiero era ormai così vivo da riconoscermi all’interno di un processo di copia di introiezione come dono d’amore [9] nei suoi confronti, al fine di richiamare una vicinanza e un amore da sempre percepito da me come troppo poco presente. Era colpa sua se anch’io faticavo a fargli gesti d’affetto, se mi sentivo costantemente sotto esame per le mie questioni lavorative e se mi sentivo costretta ad attaccarlo quando fiutavo il rischio di una sua possibile disapprovazione.
«C’è una figlia non riconosciuta o un padre non riconosciuto?». Questa la domanda posta dal supervisore che aveva risuonato nei miei timpani come qualcosa di mai udito sino a quel momento, ma che rimbombava nelle mie orecchie a frequenze elevatissime. Mi rendevo conto di come io stessa non avessi più compiuto dei passi verso mio padre, pur comprendendo che la sua rigidità e durezza fossero date dal modo in cui era stato trattato dalla sua famiglia d’origine. Inoltre, pur considerando la sua fatica di padre nel dover fronteggiare i deliri e le allucinazioni in cui si era rifugiato per lungo tempo il suo figlio primogenito, mio fratello, non ero mai riuscita a sfiorare con un minimo di calore il suo dolore tanto vivo quanto taciuto. Non vedevo come gli chiedessi esattamente ciò che io stessa non gli davo, restando fuori da ogni ragionevole idea di reciprocità [3]. Mi rendevo conto ora di come, inviandomi un paziente – un suo caro amico, oltre che collega – stesse pronunciando quel: «Brava figlia mia, sono fiero di te» che desideravo da tempo e che forse era finalmente giunto, seppur in un modo diverso rispetto a quello da me immaginato. Pensavo a quanto fossi stata ingiusta con lui che – come padre – aveva fatto il meglio che potesse e aveva sviluppato un personalissimo modo di mostrarmi il suo amore.
Con il cuore gonfio di emozioni nuove e gli occhi pieni di lacrime, tornavo a casa desiderosa di ringraziare mio padre e di stare con lui, senza la mia armatura e indossando anch’io nuove lenti. Da quel momento, dopo due settimane e diversi tentativi falliti, riuscii a pronunciare delle parole di riconoscenza, espresse in un momento in cui eravamo da soli, e che avevano destato in lui un certo stupore. “La bambina che era in me l’aveva finalmente perdonato? Sarei stata capace di continuare a procedere in questa direzione?”.
La mia grande fatica nel compiere io stessa un gesto nuovo e diverso dal passato mi portava a riflettere su quanta simile fatica possano provare i pazienti nel momento in cui chiediamo loro di agire, muoversi diversamente, seguire strade sconosciute, pronunciare parole alternative, sentire emozioni temute o sopite e quindi, di quanto umile rispetto occorra per ogni minimo passo mosso da loro, poiché frutto di sforzi veri e impegnativi.
Dunque, mi sentivo pronta ad affrontare l’incontro con i coniugi con una maggiore serenità e forte tenerezza nei confronti di Massimo. In seduta riportano una maggiore tranquillità in Fabiola e una sua maggiore apertura: un cambiamento da loro attribuito alla compiacenza adottata da Massimo che però teme futuri comportamenti minacciosi di sua figlia. Massimo riferisce un’insoddisfazione rispetto al rendimento scolastico di Claudio, e vorrebbe lavorasse in campagna poiché a scuola, così come all’Università, non combinerebbe nulla, ma per Cecilia è suo marito a svalutare troppo il figlio. Infine, poiché la coppia riporta che il giorno seguente sarebbe stato il loro anniversario di nozze che sono soliti trascorrere con la famiglia di lui – anche se Cecilia vorrebbe fare altro – li invito a festeggiare l’anniversario da soli, con l’intento di far ritagliare loro uno spazio per se stessi e definire maggiormente i confini familiari. Concordano. Rimando la fatica nel vedere crescere i figli che stanno sollevando delle richieste fisiologiche e meno drammatiche di quanto sembri, anche perché Fabiola con il suo gesto ha permesso loro di fermarsi e riflettere, mentre Claudio che si fa fin troppo carico del benessere familiare, corre il rischio di guardare poco a se stesso e di assorbire il messaggio paterno di non andare mai bene, finendo per convincersene e combinare ben poco nella sua vita. «Dobbiamo svegliarci, se Claudio ha troppi pesi è perché vede te fragile e me poco presente».
Dopo un mancato appuntamento per motivi familiari, Massimo comunica la decisione di interrompere il percorso terapeutico poiché il lavoro fatto sinora non ha portato a niente, giacché è tornata la psicosi della gelosia in sua moglie. Sorpresa e dispiaciuta sottolineo la necessità di pazientare, dato il recente avvio del percorso, e che ne avremmo potuto parlare in un’ultima seduta, ma Massimo è fermo sulla sua posizione, specificando che il problema è in sua moglie e non nel mio lavoro. Pertanto, rimando di essere a loro disposizione qualora avessero cambiato idea e Massimo mi ringrazia per l’aiuto dato alla sua famiglia. A conclusione della telefonata mi ero resa conto di non essere riuscita a indagare meglio tale decisione, forse per via delle mie risonanze emotive: come se fosse stato mio padre a dirmi che il lavoro fatto sinora era stato inutile. Il mio dispiacere era forse legato al timore di una sua delusione, o forse era connesso all’aver scorto nel comportamento di quel padre con quel figlio, ciò che avevo visto tra mio padre e mio fratello. Ma la mia storia non era la loro e ciascuno sceglie come scrivere la propria.
“Cosa è accaduto? In cosa ho sbagliato? Dopo solo quattro sedute hanno deciso di interrompere il percorso, mio padre penserà che il mio lavoro è inutile. Forse Massimo non era pronto per il cambiamento, forse ho esagerato con la prescrizione [10], forse voleva risultati immediati”.
Informo mio padre della decisione di Massimo, chiedendogli come li abbia visti nel periodo della terapia, forse per condividere qualcosa con lui o forse per sapere se mi reputasse inesperta. Mio padre riporta di aver visto Massimo più sereno nelle ultime settimane, di sapere che era andato a cena con Cecilia, trascorrendo una piacevole serata, anche se poi si era lamentato di aver speso troppo. Mio padre aggiunge di non prendermela perché secondo lui, Massimo non è avvezzo a questo genere di cose e perché vedendo che la situazione a casa stava andando meglio, forse non ha ritenuto più necessario continuare il percorso anche per questioni economiche o lavorative, consigliandomi di non rimproverarmi niente e di non pensarci più. Inoltre, mi confida di rivedersi in Massimo, tanto da dirgli spesso che sbaglia con Claudio e di non commettere i suoi stessi errori. “Non l’ho deluso e riconosce la sua fallibilità!”.
Il supervisore mi rassicura su come l’imprevisto sia parte integrante del lavoro terapeutico e come il pezzo di strada fatto insieme ai pazienti abbia avuto un senso. Inoltre, con il gruppo s’ipotizza l’azzardo della prescrizione, a seguito della quale, forse, Massimo ha subìto delle recriminazioni dalla sua famiglia. Per questo, il supervisore consiglia di confrontarsi con i pazienti prima di assegnare loro una prescrizione.
LE TUE PAROLE FANNO MALE
Schiudere nuove prospettive al problema

«Quando la tempesta sarà finita,
probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo.
Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero».
Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia

Quattro mesi dopo l’interruzione della terapia, Massimo chiede di riprendere il percorso per nuove difficoltà – non specificate – con Fabiola. Non mi aspettavo tale nuovo contatto, forse perché balenava ancora sottilmente nella mia mente – troppo spesso poco indulgente – l’idea di un mio errore nell’ultima seduta con loro. Tuttavia, consideravo come, evidentemente, si fosse creata una buona alleanza terapeutica e qualcosa di buono era già accaduto, motivo per cui Massimo aveva potuto nuovamente cercarmi. Ero contenta per la sua fiducia riversata, e desiderosa di sapere come avessero percorso la loro strada da soli, dopo il nostro breve lavoro.
Quattro mesi in cui avevo compiuto dei cambiamenti nella mia, di famiglia. Abbandonando pian piano la spada con cui ero solita rivolgermi a mio padre, avevo cominciato a mostrarmi più disponibile nei suoi confronti e la bambina che era in me cominciava a perdonarlo. Ciò aveva avuto anche delle influenze sulla mia vita sentimentale, poiché ero finalmente riuscita a sganciarmi da frequentazioni con uomini squalificanti, permettendomi finalmente di avvicinarmi a un uomo capace di amare, di amarmi e verso cui io stessa provo un amore che ci ha portato poi alla convivenza e alla condivisione di un progetto futuro di vita insieme. Questo grande cambiamento mi ha permesso di riflettere su quanto potente e necessaria sia la riconciliazione con le figure significative interiorizzate [11], su quanto queste incidano nei diversi contesti della quotidianità e su come io stessa ritrovavo pian piano il mio Sé di Diritto [9], non solo perché mi ero legata a un partner diverso dai precedenti, ma anche perché mi sentivo lontana dal vecchio timore del giudizio paterno, cominciando a guardarmi con nuovi occhi, riconoscendomi un valore sino a quel momento offuscato dal modo errato in cui credevo di essere stata guardata.
Massimo e Cecilia riportano che, dal periodo estivo, Fabiola ha minacciato il suicidio, è aggressiva con sua madre, pretende senza accontentarsi, lamenta una preferenza dei genitori verso Claudio, mangia poco, frequenta un coetaneo poco perbene – Kevin – motivo per cui Cecilia la segue e Massimo ha incaricato anche suo nipote (amico di comitiva) di controllarla. Secondo Massimo ciò è dovuto alla debolezza della moglie, che non è riuscita a instaurare con la figlia un buon rapporto come lui ha fatto con Claudio; secondo Cecilia, ciò è dato sia dalla sua inadeguatezza di madre, sia da un regalo promesso da lei a Fabiola per il suo compleanno che però non arriverà poiché Massimo disapprova. Cecilia è preoccupata per le minacce suicidarie di Fabiola, a differenza di Massimo che in un’occasione, prendendola per un braccio e portandola vicino alla finestra, le ha intimato di buttarsi. In un altro episodio le ha addirittura stretto una cintura attorno al collo, perché non sa più cosa fare visto che ormai Fabiola ha il potere in casa ed è costretto ad aumentare la forza, come gli hanno insegnato in famiglia. Cecilia vorrebbe sentirsi meno fragile, Massimo vorrebbe che sua moglie fosse più forte e che migliorasse il rapporto tra lei e sua figlia. Infine, raccontano come successivamente all’interruzione del percorso, Fabiola chiedesse di tornare da me e la stessa Cecilia riconosce come in quel periodo sua figlia fosse più serena. Rimando il loro apparire due genitori distanti, poiché da un lato c’è la parte debole con il rischio di sopraffazione e dall’altro c’è la parte forte che, entrando in sfida con una ragazzina di 13 anni, è predisposta alla sconfitta poiché Fabiola risponde con il malessere.
Nella seduta familiare seguente, Fabiola riferisce di essere il problema da più di un mese per la sua aggressività e per le sue richieste, ma il padre le dice che il problema è della famiglia. Massimo racconta di essere andato via da casa per una giornata intera in quanto aveva scoperto da Claudio che sua moglie aveva comprato a sua insaputa il regalo a Fabiola, sentendosi tradito. Durante l’assenza del padre, Fabiola voleva uscire con i suoi amici, nonostante la contrarietà materna e, per questo, è sorta una lite tra le due, interrotta da Claudio che aveva spinto la sorella contro la finestra, sentendosi legittimato a ciò dalla debolezza materna e dall’assenza paterna. Fabiola voleva scappare, buttandosi dalla finestra: una minaccia cui non crede nemmeno Claudio. Restituisco come sembrino degli isolotti piuttosto che un’unica terra con le proprie individualità, dove ognuno fa fatica a comunicare, entrando in contatto con l’altro tramite il controllo o la forte aggressività – aperta o celata. Definiamo di lavorare per aiutare i genitori a favorire la crescita di Fabiola, liberare Claudio e fare squadra insieme, affinché Claudio si senta più fratello che padre e marito, affinché Fabiola possa trovare modalità alternative con cui esprimersi e tutti possano scoprire nuove forme di comunicazione. Massimo pensa di essere il colpevole, nonostante io lo rassicurassi del fatto che non esistono colpe, solo responsabilità.
Sembrava che le cose stessero andando meglio [1,2], fino a quando Fabiola ha mosso le richieste fisiologiche del periodo adolescenziale, provocando risposte di negazione e di rigida regolamentazione da parte dei genitori, avviando un circolo di aggressività, controllo e malessere diffuso, oltre alla persistenza della confusione dei sottosistemi e dell’assenza di una reale unione genitoriale. Nell’adolescenza di un figlio, spesso i genitori manifestano reazioni sbilanciate di negazione o autoritarismo, mostrandosi incapaci di disattivare le relazioni di dominio verticale che continuano ad avere sui figli, ostacolando, in tal modo, la riorganizzazione dei modelli di regolazione delle distanze entro il sistema familiare e la definizione chiara dei confini tra i sottosistemi generazionali [12]. La storia narrata dalla famiglia vede in Fabiola la paziente designata [3] da curare in quanto è ancora una bambina che crea problemi. È subito evidente come la famiglia abbia difficoltà nell’affrontare l’evento critico proprio della fase di ciclo vitale in cui si trova, dato che l’adolescenza non appartiene solo al singolo che cresce, ma coinvolge tutto il sistema familiare cui sono posti nuovi e non facili compiti evolutivi fase-specifici [13]. Difatti, tale fase pone una serie di sfide all’intera famiglia poiché da un lato il giovane comincia ad avvertire le spinte verso l’autonomia e l’indipendenza, imparando pian piano a rispondere di sé sul piano affettivo e cognitivo, dall’altro lato ai genitori viene richiesto di comprendere la necessità di un cambiamento nei propri ruoli, attraverso un’utile rinegoziazione della relazione con il figlio e una maggiore flessibilità di confini familiari. La transizione all’età adulta propone un’impresa evolutiva congiunta in cui si assiste alla metamorfosi dei legami precedenti, con la modificazione della partecipazione all’extra e all’intra-familiare [14].
Secondo la griglia di lettura proposta dalla SASB [9], Massimo adotta atteggiamenti di accusa e biasimo verso Cecilia, cui se da un lato sembra delegarle la cura di Fabiola – forse per non attribuire a se stesso le responsabilità del suo malessere – dall’altro lato, ricorre alle punizioni e al controllo diretto e indiretto su Fabiola tramite la rabbia; inoltre sembra trincerarsi entro i propri vissuti di preoccupazione, tristezza e paura. D’altra parte Cecilia, se da un lato sembra assumere una posizione di autobiasimo, di ritiro, di difesa e di sottomissione verso Massimo, dall’altro lo esclude o lo inganna e adotta lei stessa il controllo su Fabiola. A ciò ci associa l’iperprotettività agita dalla famiglia su Fabiola che dimostra l’alto grado d’interesse che ogni membro nutre per il benessere dell’altro, pur rischiando di contribuire a un ritardo nello sviluppo dell’autonomia della figlia, della sua capacità e degli interessi che si realizzano al di fuori del contesto sicuro della famiglia, ostacolandone il processo di differenziazione del sé e dell’altro [15]. Emerge nuovamente il ruolo di parental-child di Claudio, mentre Fabiola sembra non essere vista per i suoi bisogni fisiologici di adolescente e adotta – come suo padre – la minaccia e il controllo verso l’altro, trincerandosi o sfidando. “Che sia in atto un processo di copia di identificazione al fine di sentire il padre più vicino e chiamare il suo amore?”.
Scevra dai timori antecedenti la prima supervisione, nella seconda emerge la necessità di mostrare a Massimo come i ragazzi stiano divenendo la sua copia, poiché sta insegnando loro la durezza cui è stato abituato. Dovrebbe imparare a trattarli come vorrebbe essere trattato lui stesso, giacché l’uso della forza li indurisce ulteriormente e non piegherà Fabiola, come nessuno di quelli che ci hanno provato ha piegato lui. Inoltre, va restituita la pericolosità nel considerare superficialmente le idee suicidarie, poiché qualora Fabiola dovesse essere arrabbiata con il padre, potrà agirle per mostrare la sua capacità. Infine, concordando sulla prossima convocazione familiare al fine di ragionare sulle modalità con cui venir fuori dalla situazione descritta, il supervisore suggerisce l’uso delle Sculture del Tempo Familiare [16,17]. Al fine di proseguire positivamente il lavoro terapeutico e dato che Massimo sembra essersi affidato a me, il messaggio da trasmettergli è: “Se devo aiutarti, dobbiamo provare a fare quello che ti propongo, e devi ascoltarmi”.
A MANO A MANO
Le Sculture del Tempo Familiare

«L’essenziale è invisibile agli occhi.
Non si vede bene che con il cuore».
Antoine de Saint-Exupery, Le petit prince

Massimo mi comunica per telefono che la docente di Fabiola aveva riferito a Cecilia il bisogno di una maggiore presenza paterna e di non credere nemmeno lei alle minacce suicidarie della ragazza. Valorizzo l’interesse della docente, rimando la difficoltà e la pazienza necessaria affinché le cose possano cambiare poiché il lavoro di semina è stato appena fatto insieme e lui sa bene quanto tempo, cura e pazienza ci vogliono affinché la piantina possa nascere e crescere. Aggiungo di non considerare superficialmente le idee suicidarie, come indicato dal supervisore, e per questo Massimo comprende, ringraziandomi. In seduta, viene riportata una maggiore presenza di Massimo nella vita di Claudio dato che finalmente ha assistito alle sue partite di calcio, rendendo il figlio molto felice; si riflette insieme su come aiutare Fabiola nell’affrontare una condizione di isolamento in classe per via della sua precedente frequentazione con Kevin, interrotta da poco tempo. Una volta definito che Fabiola farà in primis dei passi verso le compagne e ne parlerà con la docente, introduco il lavoro delle Sculture del Tempo Presente. Massimo rappresenta la rabbia di Fabiola nei suoi confronti, ponendola di fronte a lui con i pugni tesi in avanti; Claudio mette in scena l’assetto di passività materna rappresentata con lo sguardo basso, dando le spalle a Massimo; Cecilia rappresenta l’idea che la problematicità sia nel rapporto tra padre e figlia, ponendoli uno dinnanzi all’altro e, infine, Fabiola si rappresenta accanto a Claudio, facendo specchiare i genitori l’uno negli occhi dell’altro. In queste sculture gli sguardi di tutti sono rivolti verso Fabiola che, invece, è l’unica ad allontanarli da sé. Lo stesso Massimo, durante i commenti, raggiunge la consapevolezza di un eccesso di sguardi verso sua figlia che forse potrebbero contribuire all’aumento della sua percezione di paziente designata, e per questo si commuove. Esprime, inoltre, il suo vissuto di esclusione e solitudine quando Cecilia prende decisioni senza coinvolgerlo. Claudio, invece, riporta il dispiacere per la percezione di distanza di sua madre e per i vissuti del padre. Alla luce di tale intenso lavoro, la famiglia torna a casa con diversi elementi su cui riflettere ed emozioni nuove e diverse da quelle esperite sino a quel momento.
Nell’incontro successivo Fabiola racconta una maggiore serenità in classe, data dalle azioni compiute da lei stessa. Tuttavia, i genitori riferiscono di una discussione avvenuta giorni prima poiché Fabiola voleva uscire e Cecilia non glielo permetteva dato che la mattina non era andata a scuola perché non stava bene. Nel diverbio Fabiola aveva detto a sua madre di odiarla, motivo per cui Cecilia l’aveva aggredita fisicamente, mentre in serata Massimo si era premuto un cacciavite sul collo per mostrarle di non temere il suo odio o la morte nel caso in cui avesse voluto emulare gli omicidi degli adolescenti di cui leggeva sulle pagine di cronaca; successivamente Fabiola si è scusata con i genitori, dicendo loro di non odiarli ma di essersi adirata. Inoltre, Fabiola vuole interrompere il percorso terapeutico, preferendo dedicare tempo ai suoi amici e destando un grande disappunto in Massimo. Per questo, rimando come Fabiola non sia obbligata a venire alle sedute, ma che potrà farlo in futuro se lo vorrà, riconoscendo il prezioso aiuto dato sinora. Massimo si dice stanco di essere l’unico a impegnarsi nel percorso terapeutico, sentendosi appesantito e, poiché in stanza di terapia avvertivo io stessa un grande senso di pesantezza, riporto tale mia percezione, domandando loro se volessero stare diversamente in quanto la possibilità di un cambiamento era nelle loro mani, pur riconoscendo la fatica e la pazienza necessaria per attuarlo. Visto che la famiglia si dice desiderosa di stare diversamente, introduco le Sculture del Tempo Futuro. In tale lavoro le rappresentazioni assumono una nuova messa in scena in cui il filo conduttore è da un lato quello di una desiderata vicinanza tra i componenti che si rappresentano in cerchio o tenendosi per mano o abbracciandosi, dall’altro lato l’adozione di sguardi circolari che non si soffermano più solo su di un membro, ma che riscaldano tutti. Rimandando la forza evocativa di quanto rappresentato e la possibilità di agire pian piano quanto auspicato, propongo degli incontri disgiunti rispetto ai sottosistemi per ragionare su quanto emerso e sia Claudio che i genitori concordano: «Dottoressa se all’inizio ci sentivamo pesanti e arrabbiati, ora ci sentiamo più leggeri».
Non aspettandomi la grande disponibilità e partecipazione della famiglia né tantomeno i valorosi contributi di ciascuno e rimanendone felicemente sorpresa, ho potuto imparare come, attraverso l’uso delle Sculture e la loro valenza fortemente suggestiva e analogica, la famiglia abbia sperimentato concretamente il modo in cui stava e il modo in cui avrebbe voluto stare, senza ricorrere a un eccesso di parole: «Prima delle parole ci sono le azioni e i movimenti e non si può comprendere nulla di esse se non ci si muove nello spazio e nel tempo, ma se ci si muove attraverso l’uso dello spazio e del tempo allora ciò dà vita a metafore primarie che nascono dall’esperienza corporea» [18, p. 34]. Si è manifestato sia l’effetto coesivo che la scultura provoca nella famiglia – poiché ciascuno ha cominciato a pensare a se stesso in termini di unità sistemica – sia una maggiore individuazione di ciascuno, utile per avviare il superamento dell’invischiamento in cui la famiglia si era immersa. Inoltre, in quei momenti nella stanza di terapia ha avuto luogo lo stato mentale condiviso, frutto di una co-creazione del dialogo continuo con le menti degli altri che caratterizza l’intersoggettività [19] . Il contesto terapeutico così arricchito di una multidimensionalità fisica, emotiva e simbolica [20] ha favorito una migliore de-pazientificazione di Fabiola dato che soprattutto Massimo si era reso conto dell’eccesso di occhi nei suoi confronti, lasciandosi andare – finalmente – alla commozione dinnanzi alla sua famiglia. Inoltre, è stata proprio Fabiola a rappresentare nelle Sculture un cerchio che vedeva il sottosistema genitoriale e quello della fratria distinti – seppur vicini – con la messa in scena di una maggiore prossimità dei genitori e un cambiamento nell’orientamento degli sguardi.
Dopo il regalo offerto alla sua famiglia tramite il suo intuito e le sue non parole, ecco che Fabiola solleva l’intento di abbandonare la terapia, una richiesta altresì congrua rispetto al suo momento evolutivo, connessa al fisiologico bisogno di proiettarsi nel mondo esterno alla famiglia.
COSTRUIRE
Le interazioni attorno al problema e modi alternativi di relazionarsi
«Nel mezzo c’è tutto il resto
e tutto il resto è giorno dopo giorno,
e giorno dopo giorno è
silenziosamente costruire».
Niccolò Fabi, Costruire

In questa fase avvengono due incontri con i genitori e uno con Claudio. Nelle sedute con i soli genitori si è potuto riflettere sulla necessità di un loro maggiore lavoro di squadra fatto di condivisione e collaborazione, oltre che sulle connessioni esistenti tra il proprio modo di relazionarsi agli altri componenti della famiglia nucleare e la propria storia nella famiglia d’origine, guardando al loro genogramma. È emerso come Massimo provenisse da una famiglia rigida e severa in cui era considerato da suo padre come il figlio gladiatore e speciale a differenza di quanto non accadesse con suo fratello minore, che ha avuto meno successo di lui nel lavoro. Riflettiamo sul possibile nesso tra i mancati sguardi di approvazione paterna verso suo fratello e la sua inadeguatezza nel lavoro, un nesso che conduce Massimo a una migliore sintonizzazione con i vissuti di Fabiola rispetto alla sua percezione di essere la figlia di second’ordine. Riflettiamo su come Massimo possa avvicinarsi a Fabiola – sua copia – nel modo in cui vorrebbe essere trattato dagli altri, ovvero con morbidezza . Ed ecco che nuovamente, e inaspettatamente, l’armatura del gladiatore viene bagnata dalle sue lacrime di commozione. Per ciò che concerne la storia familiare di Cecilia, si è compreso come fosse stata a lungo iperprotetta come in una campana di vetro, condizione che ha fatto nascere in lei l’idea di non potercela fare da sola nella vita e nella gestione dei figli. A seguito di tali consapevolezze, rimando come le richieste di Fabiola siano legate al delicato momento di crescita che sta attraversando e che sono fisiologiche, pur riconoscendo la loro fatica di genitori nel guardare la propria figlia abbandonare lentamente le vesti di bambina. Infatti, la coppia riflette su come abbia considerato problematiche le sue richieste poiché diverse da quelle sollevate a suo tempo da Claudio e entrambi riconoscono che, per via del mandato affidatogli, questo si intrometta eccessivamente nelle discussioni tra sorella e madre. Ragioniamo su come sia rischioso guardare i figli con lo stesso paio di lenti in quanto ogni figlio è, in fondo, un figlio unico e riflettiamo sulla necessità di licenziare Claudio. “Ha ragione Dottoressa!”.
Nell’incontro individuale Claudio racconta una maggiore presenza paterna e una migliore determinazione materna nella relazione con Fabiola. Ragioniamo su come il suo sostituirsi alla madre possa aumentarne il senso d’inadeguatezza, e pensa di non intromettersi più nelle discussioni che non lo riguardano, chiudendo la porta della sua camera. Inoltre, si rende conto di come il suo essere secondo marito e secondo padre sia un lavoro full-time che toglie tempo a se stesso e rovina il rapporto con Fabiola, che può continuare a proteggere, non ricorrendo al controllo ma rapportandosi a lei da pari, poiché sono entrambi fratelli e devono potersi fidare dei loro genitori dato il loro impegno e la loro attenzione.
Rispetto a tali incontri mi sentivo sorprendentemente entusiasta dei contenuti emersi, delle consapevolezze che via via la famiglia riportava e dei passi che cominciava ad agire fuori dalla stanza di terapia, a casa, nelle relazioni con gli altri. In particolare, non mi aspettavo le lunghe lacrime di commozione di Massimo che celavano la sua profonda tenerezza ed emotività, a lungo nascosta e protetta dalla solida armatura da gladiatore, forse indossata per continuare a mantenere su di sé quello sguardo paterno di approvazione e ammirazione, e per non tradire l’immagine di se stesso costruita nel tempo. Massimo che doveva mostrarsi forte e severo agli occhi degli altri, era sì un vigoroso gladiatore ma dal cuore tenero. Inoltre, pur non partecipando più Fabiola alle sedute, l’azione flessibile degli altri componenti della famiglia, frutto delle nuove consapevolezze, aveva condotto a una danza più armoniosa dell’intero sistema familiare.
Il supervisore suggerisce di rallentare il lavoro fatto finora che va riconosciuto e valorizzato tramite un accompagnamento della famiglia nel suo percorso di vita, riportando i miglioramenti e gli eventuali peggioramenti alla codificazione di base già condivisa. Infine, dato il forte legame con i pazienti e la loro aderenza ai contenuti, il supervisore suggerisce un assetto di sereno incoraggiamento nei loro riguardi.
CAMBIARE
La messa in atto del cambiamento

«(...) Ma su un punto non c’è dubbio.
Ed è che tu,
uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato».
Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia

Prima della pausa natalizia la coppia racconta una migliore condivisione della quotidianità, una maggiore serenità in Fabiola e la capacità di aver trovato dei compromessi circa le sue richieste; Cecilia si sente più sicura di sé e la coppia fa più squadra, infine, vi è una maggiore complicità nella fratria. Attribuiscono il cambiamento ai nostri incontri, alla comprensione del fatto che le richieste di Fabiola siano in linea con il suo essere un’adolescente e che essere morbidi non vuol dire essere fragili, ma anzi è segno di vicinanza all’altro. Suggerisco a Massimo di fare un bel regalo di Natale a sua figlia, ovvero dirle che è orgoglioso di lei e che si rispecchia in lei. Il gladiatore piange. Prospetto che dopo le vacanze natalizie avremmo potuto diradare gli incontri se la situazione sarebbe stata serena. Sulla soglia della porta, dopo lo scambio di auguri, Massimo mi stringe nuovamente forte la mano e guardandomi negli occhi mi ringrazia, commuovendosi, mentre io gli porgo una pacca sulla spalla, mentre pensavo: “Grazie a lei Massimo che si è fidato di me, pur non essendo lei affatto un tipo facile!”; e i miei occhi cercavano di comunicargli la bellezza di quel momento così prezioso per me, per noi.
Dopo un mese dall’ultimo incontro giunge in seduta l’intera famiglia che riporta alti e bassi: Fabiola ha avuto buoni voti a scuola, Claudio gioca in prima squadra per cui riceve un piccolo compenso e suo padre ne è orgoglioso tanto da recarsi alle sue partite di calcio quando possibile. Massimo è stato particolarmente nervoso per problemi lavorativi ma è riuscito a controllare la sua rabbia, adottando strategie che gli permettessero di non adirarsi con i familiari i quali lo hanno compreso e sostenuto. Rispetto alla prospettiva di una maggiore vicinanza tra loro, ritengono di aver compiuto diversi cambiamenti in quanto sentono una maggiore armonia, Claudio si comporta più da fratello, Massimo ha meglio compreso i suoi errori e come comportarsi con i figli, riscontrando una maggiore morbidezza in Fabiola anche se continua a sollevare diverse richieste. Per questo, con l’idea che ognuno di loro possa/debba fare un passo verso l’altro, componiamo insieme “Le Regole della Famiglia Spartaco”, esito dei compromessi discussi in seduta e concernenti gli orari di uscita e di rientro di Fabiola, l’uso del cellulare fuori dai pasti, la maggiore autonomia domestica dei ragazzi e il loro maggiore impegno scolastico. Infine, chiedo alla famiglia quando rivederci visti i progressi mostrati.
Nella seduta seguente con Cecilia e Fabiola, in cui si registrano e si consolidano i diversi movimenti evolutivi in corso da parte di ciascuno, propongo a Fabiola un passaggio individuale sulle questioni più importanti per lei. Fabiola racconta che la sera del nostro precedente incontro aveva confidato alla madre di avere nuovamente una storia con Kevin e di non averlo detto prima per timore della loro reazione. Sua madre lo aveva confidato al padre che non si era adirato, contrariamente a quanto lei temeva, ma si era raccomandato di agire con responsabilità. Fabiola non riesce a spiegarsi il loro cambiamento, pur essendone contenta e sentendosi felice. Con gli amici va molto meglio poiché lei stessa ha mosso dei passi verso di loro, inoltre, racconta come non sappia nemmeno lei cosa la attragga di Kevin e affrontiamo insieme il tema della sessualità considerandone gli eventuali rischi e pericoli. Le rimando la delicatezza del momento che sta vivendo, la fretta nel voler crescere pur non essendo ancora grande, le novità che sta scoprendo e quelle verso cui deve poter avere la giusta pazienza. Aggiungo che se da un lato i suoi genitori sono preoccupati per lei, dall’altro si stanno impegnando tanto, motivo per cui è giunto il momento che anche lei compia dei passi verso di loro, svolgendo a pieno i suoi compiti di sviluppo in modo da guadagnare una maggiore fiducia e disponibilità nei suoi confronti. «Sì è vero, hanno fatto tanto e ora devo impegnarmi anche io».
Alla seduta successiva giunge la coppia, questa volta impegnata in un bel gioco delle parti, in cui Massimo drammatizza qualche comportamento della figlia e Cecilia lo riporta affettuosamente a una visione più tranquilla. Restituisco la differente visione della situazione, il grande impegno mostrato sinora, la loro bravura, i progressi di Fabiola e la naturalezza delle sue richieste. Aggiungo che sta a loro l’impervio compito di decidere quanto stringere la presa attorno a Fabiola che deve poter rischiare e sbagliare, trovando loro stessi il giusto equilibrio affinché la presa non sia né troppo stretta né troppo larga. Rimando il rischio di continuare a vedere sempre tutto nero senza riconoscere le luci presenti nella loro vita e come Massimo debba poter dire ai suoi figli che sono bravi e che è fiero di loro, poiché altrimenti penseranno di averlo deluso. L’ armatura torna a bagnarsi. A questo punto scelgo di assecondare la mia esigenza avvertita in quel momento: svelare come anch’io temessi mio padre e il suo giudizio, poiché non mi aveva mai detto “Brava”, e come avessi portato dentro di me un vissuto di inadeguatezza e il timore di deluderlo, di cui sono riuscita a liberarmi con fatica dopo molto tempo. Per smentirmi, Massimo mi ricorda i miei traguardi raggiunti, il suo sapere quanto mio padre sia orgoglioso di me, e che anche lui non aveva mai ricevuto complimenti da suo padre ma è andato lo stesso avanti. Gli ricordo come per suo padre fosse il figlio gladiatore e speciale e quanto questo gli sia servito. Si commuove e dice che a volte vorrebbe ringraziare mio padre per l’invio a me, ma di non farlo perché altrimenti entrambi piangerebbero troppo. Concludo dicendo di avergli confidato il mio vissuto per aiutarlo a meglio comprendere quello dei suoi figli, dato che il suo modo di fare è simile a quello di mio padre. Ed ecco che in quel momento, la stanza di terapia si impregna della commozione della coppia e dei miei occhi che cercavano di controllare la forte emozione di quel momento.
Al termine dell’incontro, se da un lato temevo di aver commesso un errore nell’aver svelato il mio vissuto personale, dall’altro consideravo quella comunicazione come la cosa più semplice e immediata da fare per aiutare Massimo a guardare la sua realtà e la sua famiglia con occhi più benevoli. Avevo condiviso qualcosa che sentivo come prezioso non solo per loro, ma anche per me e per noi in quell’istante. Inoltre, riflettevo su come Cecilia fosse finalmente riuscita a esprimere le sue opinioni senza lasciarsi condizionare dal marito ma, anzi, riuscendo a riportare dei dati di realtà e ipotizzando che fosse piuttosto Massimo a drammatizzare eccessivamente. Se Massimo abbandonava pian piano e con non poca fatica la sua solida armatura, Cecilia finalmente rinforzava la sua voce con coraggio e determinazione. Nel successivo confronto con il supervisore, egli sostiene l’utilità e la bellezza della mia non premeditata self-disclosure [21], poiché avvenuta nei giusti tempi e nel giusto modo, data la mia sintonizzazione emotiva con i pazienti.
RAINBOW
Il congedo

«E se il sole può donare al cielo il suo arcobaleno più bello
solo dopo un temporale,
anche la vita, forse,
ci maltratta un po’ per poterci offrire qualcosa di prezioso».
Laura Tangorra, Solo una parentesi
Il giorno dell’appuntamento successivo con la famiglia, dopo circa un mese, ero molto curiosa di conoscere come fosse trascorso quel tempo, con la sottesa speranza che fosse andato tutto bene. Appaiono sorridenti e contenti di vedermi. Massimo ha perso 6 kg per via della dieta, e si dice molto contento poiché quando comincia una cosa, la porta a termine. Cecilia di tanto in tanto lo aiuta in campagna; Claudio gioca ancora a calcio in prima squadra, sotto gli occhi orgogliosi del padre e Fabiola riporta una situazione molto serena in classe, ha ormai dimenticato Kevin poiché presa da un altro ragazzino di comitiva (perbene), con l’approvazione materna. Inoltre, si sente entusiasta poiché la sua docente le ha consigliato una scuola di formazione da frequentare nel pomeriggio per diventare fotomodella e suo padre le ha detto che vi si sarebbero recati per acquisire migliori informazioni. «Quando papà mi ha detto che saremmo andati a parlare con la proprietaria della scuola, non ci credevo, ero così felice che ho pianto». Poiché Fabiola non era ancora riuscita a ringraziare il padre per il suo gesto, le chiedo di farlo in quel momento. Entrambi sorridono e il gladiatore si commuove.
Rimando la mia contentezza nel sentire come siano riusciti ad affrontare la quotidianità in un modo nuovo rispetto al passato e chiedo: «Cosa ha fatto ognuno di voi per stare nel modo in cui state oggi?». Il primo a rispondere è Massimo: «Ho capito che i miei figli non sono uguali, che sono distinti da me e che i tempi sono cambiati. Le sono grato per questo»; segue Claudio: «Ho imparato a comportarmi da fratello»; poi Cecilia: «Ho cominciato ad ascoltare di più mio marito e a coinvolgerlo maggiormente»; infine, Fabiola: «Mi sono calmata e sono meno aggressiva nei loro confronti, anche se mi fanno arrabbiare!».
Chiedo alla famiglia di indicare metaforicamente un oggetto inanimato che potesse rappresentare il cambiamento tra il loro modo di stare un anno fa e il presente. Massimo indica una linea che inizialmente era nera e piena di dossi vorticosi mentre ora è dritta, bianca e di tanto in tanto intervallata da curve meno rigide e più morbide; Cecilia, invece, descrive una piantina del suo salotto, inizialmente dalle foglie secche e gialle che però ora è più rigogliosa poiché è sbocciato un fiore bianco. Fabiola indica un arcobaleno in montagna, dapprima nero con lo sfondo di un cielo nuvoloso e tempestoso, avvolto dal freddo, mentre ora è pieno di colori e circondato da un cielo limpido e caldo. Infine, Claudio pensa a un grafico su un foglio cartesiano con un’inziale linea nera con punte tendenti verso il basso, mentre ora è una linea dritta con più picchi verso l’alto e di colore verde: «Senza il suo aiuto non saremmo risaliti!».
Ringraziandoli per le preziose immagini donate e dicendomi contenta del loro grandissimo impegno e del cammino faticoso compiuto da ciascuno, che li ha portati in cima a quella montagna per godersi l’arcobaleno, fisso loro un appuntamento telefonico a distanza di due mesi per aggiornarci, e ci salutiamo calorosamente.

«In una fredda giornata d’inverno un gruppo di porcospini si rifugia in una grotta e per
proteggersi dal freddo si stringono vicini. Ben presto però sentono le spine reciproche e
il dolore li costringe ad allontanarsi l’uno dall’altro.
Quando poi il bisogno di riscaldarsi li porta di nuovo ad avvicinarsi si pungono di nuovo.
Ripetono più volte questi tentativi, sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non
trovano quella moderata distanza reciproca che rappresenta la migliore posizione,
quella giusta distanza che consente loro di scaldarsi e nello stesso tempo di non farsi
male reciprocamente».
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena
Al termine della seduta, mi sentivo arricchita delle immagini offerte da ciascuno di loro, immagini che avevano come denominatore comune il riconoscimento del passaggio da un periodo più cupo a un presente più colorato e ricco.
Vedevo dinnanzi a me una nuova famiglia Spartaco dove nella testa di ognuno vi erano i ricordi del passato, sulle loro spalle poggiava la consapevolezza del lavoro compiuto nel nostro tragitto e nei loro occhi brillava una nuova luce, focalizzata sul presente e sul futuro con propositività e speranza. Vedevo le mie braccia che con l’aiuto del supervisore si erano dimostrate abbastanza robuste da arginare in qualche modo quell’iniziale fiume in piena, vedevo gli iniziali dubbi nella mia testa dissolti pian piano e, infine, sentivo il mio cuore pulsare vigorosamente grazie all’unicità di quell’intersezione – non casuale – di vite, avvenuta tra me, Massimo, Cecilia, Claudio e Fabiola.
CONCLUSIONI
In un momento faticoso e non poco tormentato, la famiglia Spartaco si allontana dall’arena della sua vita e decide di affacciarsi alla mia. Ecco così avviarsi l’incontro dei nostri destini.
Trascinatore del gruppo è Massimo il gladiatore, da lungo tempo impegnato a combattere con la sua famiglia nell’anfiteatro delle mura domestiche. Difatti, se spesso giungevano i colpi inflitti a tradimento da Cecilia verso Massimo, poiché non sempre fedele e pronta guaritrice delle sue ferite, da qualche tempo si palesava la battaglia con l’inesorabile incedere del tempo e della crescita dei suoi beni più pregiati, Claudio e Fabiola, non più semplici spettatori dei combattimenti paterni, ma combattenti loro stessi. Infatti, da un lato vi era Claudio come devoto aiutante, dall’altro lato Fabiola si dimostrava l’avversaria più temibile, poiché tanto desiderosa di richiamare lo sguardo paterno a lungo negato da finire lei stessa per impugnare la spada del malessere, da usare contro di lui e se stessa. Una battaglia senza esclusione di colpi che spinge il gladiatore a condurre la sua famiglia verso la terra neutra della stanza di terapia, e che lo porta a una lotta ancor più faticosa, quella con se stesso, con i propri limiti, le proprie responsabilità e le proprie fragilità.
L’incontro con Massimo mi ha portato a guardare alla mia arena e alla mia battaglia contro i fantasmi e le ombre dei ricordi e dei pensieri di quel che credevo non aver ricevuto da chi mi aveva insegnato – a sua insaputa – a lottare: mio padre. Ho visto il mio trincerarmi dietro l’ampio scudo con cui cercavo di proteggermi dal peso del suo giudizio, nascondendo il mio volto con l’elmo attraverso cui scrutavo i suoi movimenti per difendermi dai suoi probabili attacchi e impugnando – appena possibile – la pesante spada della rabbia, dei silenzi e delle recriminazioni.
Lotte parallele e distinte, ma connesse, con diversi guerrieri impegnati sul campo e, in comune, il rischio di disfatte su più fronti se solo si fosse continuato così. Pian piano però, l’atmosfera nebulosa e frastornante che avvolgeva le nostre intime arene ha cominciato a farsi più leggera ed è così che, un incontro dopo l’altro, mentre io riuscivo a sollevare anche di poco quell’elmo e a osservare con nitidezza il mio antagonista, Massimo cominciava ad avvertire la pressione della sua armatura, da cui però era per lui difficile separarsi. Se la famiglia Spartaco aveva deciso di procedere in solitaria, io sentivo dentro di me una forza nuova e ben diversa da quella usata fino a quel momento, ma molto più calda e riparatrice: il perdono. Piena di tale energia riuscivo a disfarmi lentamente del mio elmo, degli schinieri, dello scudo e della spada. Mi ritrovavo finalmente libera dalla schiavitù di temeraria gladiatrice in cui io stessa mi ero costretta poiché bloccata dalle corde delle paure e dei silenzi, riuscendo ad abbandonare la mia arena e trovando lì fuori ad aspettarmi mio padre.
Dopo un po’, Massimo – da guerriero tenace – decide di tornare in terapia, pronto questa volta a sfidare se stesso. Insieme affrontiamo la sofferenza, mettendo in discussione l’idea iniziale di dover piegare colei che si trovava al centro dell’arena delle colpe, Fabiola. Non è stata una sfida facile né per me né per ciascuno di loro, poiché i membri della famiglia Spartaco erano sia ben protetti nelle loro corazze costruite da lungo tempo e, quindi, difficili da sganciare, sia ben pronti a scagliarsi contro Fabiola, l’altra irriducibile.
Ci sono stati momenti in cui non sapevo bene come potermi avvicinare loro, altri in cui cercavo di far cedere le vecchie armi, scontrandomi con le loro resistenze; istanti di confronto serrato, con il timore che potessero nuovamente abbandonare quella terra neutra in cui avevano scelto di tornare, e momenti di sorrisi, scoperte, risate e lacrime, tante lacrime.
Via via, con pazienza e determinazione siamo riusciti ad allontanare Fabiola dal centro dei riflettori che la illuminavano di accuse e attacchi, e con l’occhio di bue della messa in discussione di ognuno, si è cercata la condivisione di altri significati e altre strategie di incontro amorevole. In tal modo, ognuno ha guardato entro se stesso: in primis Massimo con le sue lacrime del gladiatore, in grado di frantumare il metallo delle sue protezioni, si è dimostrato capace nello scoprire la delicata e potente forza del suo cuore, riconoscendosi dotato della tenerezza necessaria per riavvicinarsi a sua figlia. Parallelamente Cecilia si mostrava al suo fianco, deponendo il pugnale usato alle sue spalle e tendendogli con amorevolezza la mano. Claudio si è pian piano allontanato dal controllo di Fabiola, scegliendo di starle accanto e proteggerla con il calore di un abbraccio fraterno, incamminandosi verso la propria personale strada. Infine, Fabiola, libera dagli sguardi e dai colpi che le venivano inflitti oltre che da quelli che lei stessa si dava, ritrovava il suo luminoso sorriso, pronta a sperimentarsi nel suo cammino sotto lo sguardo rassicurante e benevolo dei genitori.
Insieme siamo così riusciti a venire fuori da quell’antico anfiteatro.
Grazie alla fiducia di mio padre, mi sono imbattuta in questo cammino con la famiglia Spartaco, così inaspettatamente ricco e prezioso. Grazie a loro e al supervisore ho compreso quanta tolleranza e amorevolezza occorrono nel momento in cui noi terapeuti ci avviciniamo alle battaglie che l’altro ci porta, con le sue sconfitte, rivincite, reticenze, paure e speranze.
Massimo mi ha insegnato a guardare oltre ciò che può celarsi dietro la severità e rigidità di un uomo cui è stata insegnata inflessibilità e durezza, permettendomi di scorgere la fatica di un padre nel vedere crescere i propri figli e di accarezzare un po’, per il tramite della sua fragilità e umanità, quella di mio padre.
Grazie a loro ho potuto fermarmi, guardare meglio entro me stessa, agire quello che desideravo fare da tempo e abbandonare la mia armatura. Sentendomi in pace e lasciandomi andare anch’io a lunghe lacrime, ho ri-scoperto l’amore di e per mio padre, poiché «ci sono anche lacrime dolci ed è bene poterle accettare come un balsamo per le ferite» [22, p. 145].

«Come una famiglia, CHANGE ha accolto noi, frutti acerbi, tra i suoi tanti e lunghi rami.
Sentendoci protetti e al sicuro tra quei rami robusti, eravamo intenti a rimanervi il più
possibile avvinghiati, tra il susseguirsi delle stagioni.
Abbiamo visto arrivare l’autunno e poi il gelido inverno, con il vento freddo della paura
dinnanzi all’ignoto, la curiosità verso i frutti a noi vicini, le scoperte fatte con i genogrammi,
mentre pian piano diventavamo un po’ più grandi.
È giunta poi la primavera, e noi, più sicuri ma sempre ben protetti dalla chioma avvolgente
del nostro albero, ci siamo lasciati sfiorare dalle storie dei pazienti in stanza di terapia.
 Qualche volta ci siamo ammaccati, altre volte avremmo voluto cascare dall’albero e
qualcuno è cascato per davvero, altre volte, invece, ci siamo stretti più forte che potevamo
a quei rami pur desiderando staccarci perché ci sentivamo un po’ più maturi.
Improvvisamente è giunta l’estate, ed eccoci essere diventati frutti da cogliere per
esplorare il mondo delle terapie da soli, nelle supervisioni indirette. All’inizio eravamo spaventati,
non sapevamo bene chi ci avrebbe colto, quali strade avremmo intrapreso ma,
accanto al timore, nasceva il desiderio e la volontà di rischiare da soli.
Ora che siamo scesi dai nostri rami, pur rimanendo vicini al nostro albero, ci sentiamo
pronti per andare, con la consapevolezza che in ognuno di noi ci sarà sempre
e per sempre una radice collegata al grande albero della famiglia CHANGE.
Perciò, vorremmo ringraziare tutti i rami e le chiome, i nostri didatti, che nel corso di questi
cinque anni ci hanno consentito di sentirci protetti nel riavvicinarci alle nostre famiglie,
prendere tutto ciò che potevamo, riflettere su ciò che noi stessi potevamo dare loro e perdonarli,
perché una famiglia perdonata è una famiglia che riusciremo ad aiutare in terapia».2
BIBLIOGRAFIA
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 2. Cancrini L. La psicoterapia, grammatica e sintassi. Roma: Carocci Editore, 2002.
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11. Benjamin LS. Diagnosi interpersonale e trattamento dei disturbi di personalità. Roma: LAS, 1999.
12. Scabini E, Cigoli V. Il famigliare. Legami, simboli e transizioni. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2000.
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