Lo spacciatore di cocaina entra in classe:
la promozione della salute nelle scuole rispetto ai comportamenti temerari e onnipotenti in adolescenza

Lamberto Scali1



Riassunto. L’articolo descrive l’intervento di promozione della salute rispetto ai comportamenti temerari ed onnipotenti in adolescenza, facendo particolare riferimento al consumo di bevande alcoliche e all’uso di sostanze stupefacenti. L’intervento è rivolto a studenti del 4°/5° anno delle scuole medie superiori ed è strutturato in quattro unità didattiche che si prefiggono i seguenti obiettivi: 1) conoscere gli studenti e far emergere le rappresentazioni sociali legate al consumo di alcolici e sostanze stupefacenti; 2) produrre una dissonanza cognitiva rispetto al criterio di “uso-abuso” e i relativi comportamenti di consumo delle sostanze psicoattive; 3) confrontarsi con la realtà delle persone portatrici di problematiche alcol-droga correlate; 4) riflettere sul consumo di sostanze e sulle problematiche legate alla guida. A conclusione dell’intervento, viene chiesto ai ragazzi di farsi promotori di iniziative di promozione della salute nelle diverse comunità di residenza, circoli culturali, oratori, case del popolo, da effettuarsi la sera dalle ore 21 alle 23.

Parole chiave. Sensibilizzazione, comportamenti temerari, rappresentazioni sociali, criteri di salvaguardia della salute, dissonanza cognitiva, falsa coscienza, meccanismi di difesa, uso, abuso, patologie alcol-droga correlate, tempo di reazione, promozione della salute.

Summary. Cocaine pusher comes into the classroom: health promotion in schools regarding rash and omnipotent behaviours during adolescence.
The article describes the health-promotion intervention regarding reckless and omnipotent behaviours during adolescence, particularly referring to alcoholic-beverage consumption and drug usage. The intervention is aimed at students of 4th/5th year of high schools and is structured into four learning units which aim to achieve the following objectives: 1) know the students and bring out the social behaviours related to the consumption of alcohol and drugs; 2) using an against-paradoxical provocation to produce a cognitive dissonance with the idea of “use-abuse” and the behaviours inducted by psychoactive substances consumption; 3) to compare with people who have problems related to alcohol and drug consumption; 4) exlpaining the problems associated to driving and drug/alcohol consumption; at the end of the session, students are asked to be promoters of initiatives to support health in their residential community, local associations, youth centres, district clubs. These meetings will be held in the evening from 21:00 to 23:00 h.
Key words. Awareness, reckless behaviours, social performance, health safeguard criteria, dissonance of knowledge, false coscience, defence devices, use, abuse, alcohol and drug pathologies, reaction time, health promotion.

Resumen. El traficante de cocaína entra en aula: la promoción de la salud en las escuelas para contrastar conductas temerarias y omnipotentes típicas en la adolescencia.
En el artículo se analiza una intervención de promoción de la salud hecha con los adolescentes, para contrastar conductas temerarias y omnipotentes, como por ejemplo el consumo de bebidas alcohólicas y el uso de droga. La intervención se dirige a estudiantes del año de escuela secundaria y bachillerato y se divide en cuatro unidades didácticas, cada una con objetivos diferentes: 1) conocer a los estudiantes y descubrir representaciones sociales que implican el consumo de bibidas alcohólicas y narcóticos; 2) provocar una disonancia cognitiva, a través una provocación paradojica, hacia el criterio de “uso y abuso” y las conductas relacionadas al consumo de sustancias estupefacientes; 3) conocer y confrontarse con la realidad de drogadictos y alcohólicos; 4) consumo de substancias y problemas relacionados al conducir en estado de ebriedad. Terminada la intervención, se solicitan los estudiantes a tomar iniciativas de promoción de la salud, como, por ejemplo, actividades nocturnas (de 21 a 23) en los centros civicos, culturales y recreativos de sus comunidades.

Palabras clave. Sensibilización, conductas temerarias, representaciones sociales, criterios de salvaguardia de la salud, disonacia cognoscitiva, falsa conciencia, mecanismo de defensa, uso, abuso, enfermedaes relacionadas a droga y alcohol, tiempo de reacción, promoción de la salud.
INTRODUZIONE
Il professionista o il volontario che lavora nell’ambito delle relazioni d’aiuto, o una qualsiasi altra figura che, per i motivi più svariati, si appresti ad affrontare le problematiche giovanili non troverà risposte facili o preconfezionate, anche perché credo non esistano, ma ciò che troverà e che sicuramente esiste è la “ricerca” che negli ultimi anni ha prodotto risposte parziali, forse inadeguate o addirittura controproducenti, ma che nel corso degli anni ha portato anche alla realizzazione di buone pratiche.
Uno degli aspetti significativi di questa problematica non credo sia riconducibile a problematiche specifiche dell’universo giovanile, quanto piuttosto alla difficoltà della nostra generazione, la generazione degli adulti, a mantenere un dialogo, un confronto costruttivo con le nuove generazioni. Troppo spesso le persone adulte si avvicinano al mondo giovanile con le rappresentazioni sociali [1] che fanno riferimento alla loro giovinezza, con un assunto epistemologico che in parte è condivisibile, ma che rischia di essere profondamente fuorviante e che considera il passaggio dalla giovinezza alla fase adulta strutturato su costanti psicologiche, tipiche del periodo adolescenziale.
È indubbio che delle costanti esistano, perché tutti i giovani, di qualsiasi generazione e cultura, debbono fare i conti con le modificazioni corporee, con la differenza di genere, con la possibilità di essere liberi e più o meno responsabili delle proprie scelte che comportano una ridefinizione dei rapporti intergenerazionali e intragenerazionali, ma credo appaia evidente agli occhi di tutti la notevole differenza che emerge dal vivere queste problematiche negli anni Cinquanta, negli anni Settanta e, a maggior ragione, nel nuovo millennio.
Le persone adulte, quando rivolgono la loro attenzione alle problematiche giovanili, o perché, gioco forza, i propri figli crescono, o perché il lavoro o l’attività di volontariato li porta a doversi interessare di queste tematiche, non possono permettersi il lusso di decontestualizzare e tanto meno destoricizzare il mondo giovanile. Uno spaccato molto stimolante di cosa significhi essere giovani oggi credo emerga da alcuni film, quali quelli di Luchetti [2,3], Muccino [4], Ozpetek [5,6], Virzì [7,8], De Matteo [9].
Spesso, mi è capitato di incontrare adulti che non hanno la minima concezione di quale sia il rapporto fra i giovani e l’uso di sostanze psicoattive legali ed illegali. Più semplicemente, alcuni adulti non hanno il senso della realtà in cui vivono, e non avere il senso della realtà condivisa non favorisce certo la crescita di un dialogo, di un confronto fra generazioni e tantomeno consente la possibilità di ricercare risposte ai problemi emergenti, non tanto per cattiva volontà, quanto piuttosto per un limite di comprensione, un limite di senso.
Le modalità di intervento per la promozione della salute, che adottiamo nei nostri incontri con i ragazzi delle scuole medie superiori di Prato, non sono cose nuove, anzi sono abbastanza datate e se appaiono nuove è solo perché la maggioranza della popolazione non conosce i presupposti teorici ed epistemologici a cui facciamo riferimento. Questa carenza di riferimenti teorici penso sia dovuta al fatto che l’interazione umana e la costruzione di relazioni emotivamente significative sia un’attività molto creativa e spesso inconsapevole. Nel tempo presente, «il ruolo pervasivo dell’intersoggettività […] costituiva in sé un sistema motivazionale di primaria importanza, essenziale alla sopravvivenza umana, al pari dell’attaccamento o del sesso» [10]; quando una persona è profondamente coinvolta in una relazione con “l’altro”, gli aspetti emotivi ed affettivi diventano centrali, mentre gli aspetti razionali e i livelli “meta” si pongono sullo sfondo e necessitano di un secondo tempo di rielaborazione.
In ogni relazione significativa, e le relazioni educative dovrebbero sempre avere questa significatività (altrimenti perdono la forza di favorire un secondo tempo autoriflessivo), veniamo continuamente sollecitati a metterci in gioco, ad attingere alle nostre risorse, ad attivare la nostra creatività e spesso la creatività è connessa a momenti di difficoltà, di empasse, di stallo o addirittura di vera e propria crisi del rapporto educativo.
A tale proposito, vorrei raccontare un’esperienza, che mi è capitata diversi anni fa, quando ero educatore presso LANFaS di Firenze. Eravamo in vacanza e nel gruppo affidatomi c’era Daniele, un ragazzo affetto da una grave insufficienza mentale, che quando si trovava in difficoltà iniziava a mordersi le mani in maniera talmente violenta da staccarsi pezzi di carne. Un giorno, Daniele stava sull’altalena e quando lo chiamai per andare a pranzo faceva finta di non sentire; così, dopo averlo chiamato diverse volte, perduta la pazienza e in modo brusco, bloccando l’altalena, lo invitai a scendere per andare a tavola. A questo punto, Daniele iniziò ad irrigidirsi ed a mordersi le mani con violenza: ciò mi spaventò e feci istintivamente il gesto di fermargli le braccia aggravando ulteriormente la situazione; il sangue iniziò a sgorgare dall’indice della mano destra, la bocca era tutta insanguinata e Daniele sputò addirittura un pezzo di pelle, continuando ad emettere gemiti ed urla. Mi sentii in uno stato di totale impotenza, avrei voluto sprofondare sottoterra e nascondere a me stesso e agli altri il pasticcio che avevo combinato; chiesi aiuto, ma nel giardino erano rimasti pochi ragazzi; soltanto un altro educatore, che aveva assistito alla scena, corse in infermeria a chiamare qualcuno, forse nella speranza di un intervento farmacologico sedativo. Saranno stati l’impotenza, il sentirmi responsabile, oppure la disperazione e il senso di colpa, che all’improvviso presi atto dell’impossibilità di trattenere le mani di Daniele e istintivamente iniziai a parlargli, dicendogli con tono di sfida: «Cosa credi di fare!? Cosa credi di fare!? Anch’io so mordermi!!!» ed iniziai a mordere le mie mani con violenza, con forza, imitando il suo comportamento. A questo punto Daniele si fermò come stupito e iniziò a gridare: «Nooo! Noooo!», tentando, in modo impacciato, di bloccare le mie mani. Visto l’effetto ottenuto, amplificai per alcuni momenti il mio comportamento, fino a quando la tensione diminuì e la crisi si risolse senza la necessità di somministrare alcun farmaco. Uscii da questa esperienza visibilmente scosso, ma anche soddisfatto, con la convinzione che fare il verso, imitare i comportamenti sintomatici poteva facilitare la risoluzione di una crisi. Solo diversi anni più tardi, quando mi accinsi alla lettura di Bateson e del gruppo di Palo Alto, capii che inconsapevolmente avevo fatto un intervento paradossale. L’intervento descritto potrebbe apparire come suggerito da una certa creatività, ma nella realtà era stato motivato solo dalla forza della disperazione e dal profondo senso di impotenza e inadeguatezza che avevo provato in quei terribili momenti.
Gli studi relativi al nostro modo di interagire e di gestire la comunicazione oggi ci dicono che, fra le molteplici possibilità che abbiamo, c’è anche l’uso del paradosso e che la comunicazione paradossale è particolarmente potente nel determinare delle risposte pragmatiche e autoriflessive. Queste ricerche di metacomunicazione ci rendono più consapevoli e forse anche più competenti rispetto a ciò che facciamo, ma credo non si debba dimenticare il fatto che l’uomo ha sempre usato i paradossi anche quando non era in grado di nominarli e studiarli come tali; questo mi è utile per dire, con Bateson, che comunicazione, relazione, apprendimento sono sinonimi e che non può esserci apprendimento senza la possibilità di comunicare e strutturare una relazione.
Precedentemente, ho affermato che queste modalità di intervento per la promozione della salute, non sono poi così nuove, anzi sono abbastanza datate; infatti, nell’intervento che effettuiamo ci rifacciamo alle riflessioni elaborate da Bateson in un saggio [11] scritto nel 1964, pubblicato nel ’68 e rielaborato nel ’71, per cui, le modalità di intervento che noi portiamo risalgono a circa cinquant’anni fa. Oltre a ciò, bisogna aggiungere che nel saggio sopracitato Bateson fa riferimento, in particolare, alla teoria dei tipi logici elaborata da Whitehead e Russell nel 1910 [12] ed al Tractatus logico filosofico di Wittgenstein del 1921 [13]: come possiamo constatare, tutti riferimenti molto attuali, recenti e nuovi di oltre novant’anni.
LE CATEGORIE LOGICHE DELL’APPRENDIMENTO
Partendo dalla premessa che il linguaggio è strutturato gerarchicamente, Bateson evidenzia nel suo saggio che anche i processi di apprendimento sono strutturati secondo una gerarchia di quattro livelli di complessità, che vanno dal livello zero al tre.
Le premesse o proposizioni di livello zero corrispondono al processo di denominazione del mondo: «1.1 Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose. […] 2.1 Noi ci facciamo immagini dei fatti. […] 3.144 Le situazioni si possono descrivere, non denominare. […] 3.221 Gli oggetti io li posso solo nominare» [13, pp. 25-35].
Il livello uno corrisponde al concetto di contesto: «3.221 […] Una proposizione può dire solo come una cosa è, non che cosa essa è. […] 3.3 Solo la proposizione ha senso; solo nel contesto della proposizione un nome ha significato» [13, p. 36].
Il livello due corrisponde alle proposizioni finalistiche, cioè: «6.211 […] Ma a quale fine usiamo quella parola, quella proposizione? […] Il pensiero è la proposizione munita di senso» e visto che nel mondo «6.4 le proposizioni sono di pari valore. 6.41 Il senso del mondo dev’essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene, non v’è in esso alcun valore. […] Se un valore che abbia valore v’è, […] dev’essere fuori del mondo. […] 6.421 È chiaro che l’etica [come l’estetica] non può formularsi. L’etica è trascendentale (etica ed estetica sono tutt’uno)» [13, pp. 36-106].
Le premesse o proposizioni di livello zero e uno sono immagini della realtà, sono modelli interpretativi che continuamente confrontano la realtà con la proposizione, per stabilire se la proposizione in quanto immagine della realtà risulti essere vera o falsa.
Mentre la realtà può mostrare la verità o falsità di una premessa di livello zero e uno, «il modo di segmentare gli eventi non è né vero né falso; non c’è nulla nelle preposizioni di livello due che possa essere verificato per mezzo della realtà. È come una figura vista in una macchia di inchiostro: non è né giusta né sbagliata, è solo un modo di vedere la macchia (un modo di vedere la realtà). Il fatto è che le premesse “finalistiche” non sono dello stesso tipo logico dei fatti materiali della vita e pertanto non possono essere facilmente contraddette da questi ultimi. L’apprendista stregone non rinuncia alla sua visione magica degli eventi quando l’incantesimo non funziona. In realtà le proposizioni che governano la segmentazione hanno la caratteristica di auto convalidarsi. […] Questa caratteristica di autoconvalidarsi propria del contenuto dell’apprendimento due (o deutero apprendimento, cioè capacità di imparare ad imparare) ha l’effetto di rendere tale apprendimento quasi inestirpabile» [11, pp. 328-329].
«Ma è comunque indubbio che si possa strutturare una relazione significativa fra due o più persone orientata alla revisione delle premesse acquisite e che esistano varie modalità relazionali che possano favorire un tale processo di revisione:
a) Si può favorire un confronto fra le varie premesse.
b) Si può far agire le persone in base alle premesse dichiarate per favorire un processo autoriflessivo.
c) Si possono mostrare le contraddizioni presenti fra le varie premesse.
d) Si può favorire l’espressione di forme esagerate, umoristiche o caricaturali attinenti alle premesse dichiarate.
e) Si possono creare ingiunzioni paradossali attinenti all’uso di determinate premesse» [11, p. 331].
f) Si può favorire una «gerarchia di ordini di ricorsività» [14, p. 266], un atteggiamento riflessivo e autoriflessivo.
g) Si può favorire una modalità interattiva empatica che prediliga gli aspetti analogici ed evocativi tipici della comunicazione metaforica in modo da far emergere le «ragioni del cuore che la ragione non conosce» [11, p. 172] e che non corrispondono ai criteri della logica formale del Tractatus di Wittgenstein.

Quando realizziamo il nostro intervento nelle scuole cerchiamo di far emergere le premesse dei giovani d’oggi e quella che emerge più frequentemente può essere così riassunta: “Nella vita si è liberi e si deve provare qualsiasi esperienza, rinunciare ad effettuare un’esperienza è segno di pavidità, di atteggiamento rinunciatario, se abbiamo la testa sulle spalle possiamo fare tutto”. Una premessa che amplifica enormemente gli aspetti razionali ed intellettivi, che amplifica gli aspetti prometeici nel senso di colui che ragiona prima, sa prevedere il futuro e sa controllare con la ragione le aree emotivo-affettive dell’esperienza. «Si è definita la vita come un intrinseco adattamento […]. Ma viene disconosciuta, in tal modo, l’essenza della vita, la sua volontà di potenza» [15, p. 68]. La vita dei giovani d’oggi si trova intrisa della “volontà di potenza” da una parte e, dall’altra, questa si esprime in un contesto rigidamente determinato, privo di utopie trasformative e progettuali, per cui i giovani si trovano continuamente ad oscillare nella polarità: “onnipotenza/impotenza”.
La nostra premessa come operatori della salute può essere così riassunta: «Qualsiasi relazione pedagogica deve consentire il massimo di libertà di espressione delle “differenze” e per risultare significativa deve essere orientata a una “profonda ridefinizione dell’Io”» [16].
Per sensibilizzare i ragazzi rispetto alle problematiche alcol-droga correlate ed ai comportamenti onnipotenti e temerari, cerchiamo, per quanto ci è possibile e per quanto rientra nelle nostre capacità, di attivare tutto il ventaglio delle modalità relazionali descritte da Bateson.
LE EMOZIONI CONSAPEVOLI E INCONSAPEVOLI
Il nostro obiettivo principale è creare una perturbazione che favorisca un eventuale cambiamento delle premesse di secondo ordine e, per farlo, dobbiamo costruire con i ragazzi, nell’arco di poche ore di lezione, una situazione di alto coinvolgimento cognitivo, ma sopratutto emotivo. A tale proposito crediamo che le ricerche di Daniel Goleman sull’intelligenza emotiva possano esserci di grande aiuto: «A tutti gli effetti abbiamo due menti, una che pensa, l’altra che sente. Queste due modalità di conoscenza, così fondamentalmente diverse, interagiscono per costruire la nostra vita mentale. La mente razionale è la modalità di comprensione della quale siamo solitamente coscienti: dominante nella consapevolezza e nella riflessione, capace di ponderare e di riflettere. Ma accanto ad essa c’è un altro sistema di conoscenza – impulsiva e potente, anche se a volte illogica –, c’è la mente emozionale.  […] Il rapporto fra razionale ed emozionale nel controllo della mente varia lungo un gradiente continuo; quanto più intenso è il sentimento, tanto più dominante è la mente emozionale – e più inefficace quella razionale. […] Nella maggior parte dei casi, queste due menti, l’emozionale e la razionale, operano in grande armonia e le loro modalità di conoscenza, così diverse, si integrano reciprocamente per guidarci nella realtà. […] Tuttavia, la mente emozionale e quella razionale sono facoltà semi-indipendenti: ciascuna di esse riflette il funzionamento di circuiti cerebrali distinti sebbene interconnessi» [17, pp. 27-28].
Come accennato in precedenza, il nostro lavoro è orientato ad attivare non solo la mente razionale, ma soprattutto la mente emozionale, perché la logica dei comportamenti e dei relativi stili di vita è refrattaria al cambiamento. «La persuasione è, certo, notevolmente efficace per modificare le idee che qualcuno può avere sulla tale o tal’altra questione ma, contrariamente alla forza o all’autorità, lo è di meno nel condurlo a cambiare i suoi comportamenti. Non è, ad esempio, grazie al fatto che siamo riusciti a convincere qualcuno dell’utilità della cintura di sicurezza che egli d’ora in poi la utilizzerà, oppure poiché siamo riusciti a convincerlo dei danni del fumo che smetterà di fumare, o ancora perché siamo riusciti a convincerlo dell’utilità del preservativo che se ne servirà. La logica degli atti non è necessariamente quella delle idee, anche la persuasione ha i suoi limiti» [18]. Altrimenti, come si spiegherebbe il fallimento totale di tutte le politiche intraprese da vari governi italiani per contrastare il fenomeno dell’uso di sostanze psicoattive da parte della popolazione giovanile? Negli anni Sessanta-Settanta le conoscenze sui meccanismi neurofisiologici delle dipendenze da sostanze erano molto scarse e le pratiche di cura e trattamento delle tossicomanie erano agli albori. In tutto il mondo occidentale si sperimentavano trattamenti farmacologici e psicoterapeutici individuali, familiari e di gruppo; in quel periodo, da una parte nascevano spontaneamente (grazie alla mobilitazione dei familiari, dei tossicodipendenti, dei volontari) le Comunità Terapeutiche e, dall’altra il Sistema Sanitario Nazionale istituiva i Servizi specifici per il trattamento delle tossicodipendenze (CMAS, oggi SERT). Il Ministero della Sanità, sia che fosse gestito da un governo di centrodestra o di centrosinistra, non ha mai fatto mancare risorse economiche in questo ambito ed ha promosso campagne di prevenzione primaria con grandi investimenti di risorse. Oggi, abbiamo Servizi Pubblici, estesi sul territorio nazionale, di buon livello, comunità terapeutiche accreditate e sistemi di intervento multicontestuale molto efficaci, ma nonostante tutto questo, il fenomeno delle dipendenze da sostanze legali ed illegali è in continua espansione. Possiamo addirittura affermare che l’uso di sostanze psicoattive non è più un fenomeno che riguarda una minoranza di giovani, ma al contrario è ormai diventato un fenomeno di massa, che coinvolge ogni strato sociale della popolazione giovanile e adulta. Probabilmente, tutto ciò è dovuto al fatto che le società avanzate hanno sviluppato un tipo di cultura consumistica che promuove valori e favorisce stili di vita più inclini al consumo di sostanze psicoattive che comportamenti orientati alla sobrietà. Oggi un giovane, ma credo anche un adulto, si percepisce “normale” (nel senso etimologico del termine, cioè di colui che ha comportamenti conformi alla norma) se fa un uso “moderato” di canne, alcol, pasticche e coca e, invece, si sente diverso se afferma la propria sobrietà. Anche se tutti sanno, dal punto di vista razionale, che è pericoloso fare uso di sostanze psicotrope, ha più significato la realtà del consumare, del concedersi un piacere, che quella del rinunciare allo stesso. Con il nostro intervento vorremmo lavorare sulle “rappresentazioni sociali” [1] dell’universo giovanile rispetto al consumo di sostanze.
«Quando parlo di rappresentazione sociale faccio riferimento ad un sistema cognitivo e affettivo attraverso il quale la soggettività dell’Io esprime la sua specificità individuale. La rappresentazione sociale è, secondo Serge Moscovici [1], il prodotto delle nostre azioni e delle nostre relazioni. Serve a dare significato alla realtà, ma anche a costruire un’immagine interiore di sé. È la guida per il comportamento, un’istanza organizzativa in parte consapevole e volontaria ed in parte inconsapevole che comprende un insieme di valori, idee, modi di procedere. La ricchezza e l’articolazione delle rappresentazioni si correla allo sviluppo cognitivo» [19]. Nelle forme più complesse di interazione umana, giocano un ruolo rilevantissimo le rappresentazioni sociali, che ogni membro della danza relazionale mette in gioco per confermare il proprio punto di vista ed influenzare l’altro, chiedendo più o meno esplicitamente un cambiamento: «Non si è mai influenzati senza contemporaneamente influenzare, non si imita senza essere imitati» [20].
Quando entriamo in una scuola, per incontrarci con un gruppo che varia dai quaranta ai sessanta studenti e circa quattro o cinque professori, incontriamo questa complessità e siamo portatori di questa complessità, che ci avvolge, che cerchiamo di cogliere e che a volte sfugge di mano. In questi incontri, cerchiamo lo “scambio”; ci interessa ciò che gli studenti si scambiano tra loro e ciò che sono disponibili a scambiare con noi: «Vogliamo operare comparazioni tra le loro culture e le loro storie [consuetudini, linguaggi, credenze, miti]. E proprio questo “tra” che è intrigante perché spinge a definire il mentale come qualcosa che non coincide con l’individuo, ma è piuttosto presente e operante nello scambio tra gli uomini e prende forma e senso nei loro prodotti. Oggi diremo che i campi interattivi e relazionali influiscono sulle menti individuali sia in senso propositivo e costruttivo, sia in senso limitativo (cioè come risorse e vincoli) e che hanno loro stessi determinate proprietà psichiche» [21].
L’INTERVENTO DI SENSIBILIZAZIONE ALLE PROBLEMATICHE ALCOL-CORRELATE NELLE SCUOLE MEDIE SUPERIORI
L’intervento ha inizio nell’anno scolastico 1994-95 su sollecitazione dell’Ufficio di Educazione alla Salute della ASL 4 di Prato; fino ad allora ci eravamo rifiutati di lavorare nelle scuole direttamente con i ragazzi, perché eravamo rimasti molto colpiti dalle riflessioni di Battaglia e Coletti [22] nonché dalle ricerche del prof. Cottino [23] dell’Università di Torino, che evidenziavano quanto gli interventi in ambito scolastico, invece di favorire una presa di distanza dalle droghe e dal consumo di alcol, paradossalmente ottenessero l’effetto contrario amplificando la curiosità dei ragazzi verso il mondo della droga o addirittura incentivando i consumi di bevande alcoliche.
Per alcuni anni, avevamo relegato la nostra attività di Promozione della Salute a interventi di prevenzione secondaria, alcuni dei quali svolti con le famiglie di alcolisti che frequentavano il programma dei club degli alcolisti in trattamento ed altri rivolti ai ragazzi con problematiche di tossicodipendenza che si trovavano nella terza fase (reinserimento) del programma del CEIS di Prato. Avevamo effettuato anche dei corsi per insegnanti delle scuole medie inferiori orientati ad approfondire i temi relativi alle farmacodipendenze, nella convinzione che se qualcuno avesse dovuto fare un intervento di prevenzione primaria su queste tematiche sarebbe dovuto essere l’insegnante stesso, visto che era la persona più idonea a mantenere un rapporto positivo e costruttivo con i ragazzi. In questa prospettiva, lo specialista inviato dalla ASL si poneva come referente informativo degli insegnanti rispetto al tema specifico delle tossicodipendenze, nella speranza che da questa collaborazione scaturissero unità didattiche orientate alla prevenzione primaria, da effettuarsi nell’anno scolastico successivo. Quello che in realtà spesso accadeva è presto riassumibile: molti insegnanti partecipavano al corso con un livello di motivazione molto basso, perché costretti da vincoli istituzionali, altri non ritenevano i temi correlabili al programma curriculare, altri ancora risultavano bene informati (in alcuni casi sicuramente più esperti di alcuni operatori della ASL), avendo già realizzato negli anni precedenti dei seminari o delle unità didattiche con i rispettivi alunni.
Un altro problema rilevante riguardava la difficoltà a mantenere una continuità didattica pluriennale sia da parte dell’insegnante sia da parte dell’operatore della ASL. Infatti, spesso, in ambito sanitario, queste iniziative vengono ritenute un diversivo rispetto al lavoro istituzionalmente codificato, una specie di perdita di tempo rispetto ad impegni ritenuti più seri, come farsi carico dei pazienti del servizio. Per dirla in breve, sembrava impossibile far lavorare insieme il mondo della scuola con il mondo degli operatori sanitari, perché la collaborazione si riduceva solo a qualche incontro con finalità informative.
La situazione è cambiata radicalmente quando alla guida dell’ufficio di educazione alla salute è arrivato il dott. Antonio Motola, persona fortemente motivata, che, oltre al lavoro clinico in pediatria, aveva potuto verificare di persona quanto fosse stato incisivo l’intervento di prevenzione primaria rispetto all’anemia mediterranea, malattia che vedeva Prato, negli anni ’60-’70, ai primi posti come incidenza epidemiologica e che, oggi, risulta debellata. Sono state proprio le sollecitazioni del responsabile dell’educazione sanitaria, oltre ad alcuni contatti presi con il prof. A. Seppilli e la prof.ssa M.A. Modolo [24] del Centro Sperimentale per l’Educazione Sanitaria dell’Università di Perugia e con alcune realtà nazionali impegnate in programmi di prevenzione primaria, a spingerci verso l’elaborazione ed attuazione del seguente intervento.
Un grande aiuto, per formulare questa proposta, ci è pervenuto anche dalle esperienze effettuate con il prof. W. Hudolin [25] nei corsi di sensibilizzazione all’approccio ecologico sociale alle problematiche alcol-correlate e complesse.
PREMESSE DELL’INTERVENTO
L’intervento si pone l’obiettivo di aprire una riflessione sul consumo di bevande alcoliche fra i giovani che frequentano gli ultimi due anni delle scuole medie superiori e che generalmente oscillano fra i 17 e i 19 anni di età. Abbiamo scelto questa fascia di studenti perché di solito corrisponde al periodo durante il quale il giovane adolescente gode di maggiori spazi di autonomia rispetto alla famiglia d’origine e, quindi, può sperimentare con maggiore libertà le proprie scelte rispetto all’uso di alcol e sostanze psicoattive.
La grande espansione del consumo di hashish, che raggiunge, nei consumi occasionali, punte fino al 70-80% degli studenti, unita all’incremento del consumo di ecstasy e cocaina e all’incremento del consumo di birra e superalcolici, ci ha portato a ridimensionare la distinzione fra droghe legali ed illegali, giungendo alla conclusione che le droghe illegali facciano, comunque, parte dell’universo culturale dei giovani e non sono più circoscrivibili a minoranze od a realtà marginali. Oggi, risulta privo di senso credere che un ragazzo, durante il suo iter formativo, possa frequentare un istituto superiore (compresi quelli privati di élite) e possa non imbattersi in una circostanza durante la quale gli venga offerta la possibilità di consumare una sostanza illegale. Ne consegue che le prossime generazioni dovranno convivere con la presenza delle sostanze psicoattive così come le precedenti generazioni hanno convissuto con il tabacco e con l’alcol.
Per favorire questo dialogo abbiamo pensato ad un intervento strutturato su quattro unità didattiche di due ore ciascuno a cadenza settimanale, rivolti e a due classi per un massimo di 50-60 studenti; per la loro realizzazione mi avvalgo della preziosa collaborazione del prof. Carlo Battaglia, educatore professionale presso il Dipartimento di Salute Mentale della nostra ASL e docente presso la Scuola di Scienze della Salute dell’Università di Firenze.
Nel primo incontro, l’obiettivo principale è fare emergere le conoscenze dei ragazzi rispetto all’alcolismo e alle problematiche della droga. Invitiamo, inoltre, i ragazzi ad esprimere i propri criteri di salvaguardia della salute rispetto al consumo di bevande alcoliche.
L’obiettivo del secondo incontro è fare emergere le dissonanze cognitive [26] ed emotivo-affettive, fra ciò che comunemente si ritiene una droga e ciò che invece, pur essendo effettivamente una droga, non viene percepito come tale.
Nel terzo incontro, i ragazzi vengono stimolati a valutare se quanto emerso negli incontri precedenti abbia una sua congruità e possa essere verificato attraverso un confronto con i rappresentanti delle famiglie che frequentano l’attività dei Club Alcologici Territoriali.
Nel quarto incontro, invece, si affronta la realtà dei ragazzi legata al tema principale di alcol e guida.
Le finalità e gli scopi di ogni incontro emergeranno in maniera più chiara ed articolata attraverso una descrizione dettagliata dell’intervento.
1° INCONTRO: FAR EMERGERE LA CULTURA DEL BERE
Il primo incontro, come abbiamo già detto, ha lo scopo di far emergere le esperienze dei giovani rispetto all’alcol e alle droghe. Bisogna tener presente che i ragazzi spesso partecipano all’incontro con bassissimi livelli di motivazione, in alcuni casi addirittura non conoscono nemmeno l’argomento che dovrebbe essere trattato, o perché non interessa, o perché gli stessi professori non sono a conoscenza dell’intervento che sarà effettuato. L’unico professore che è al corrente dell’iniziativa è quello incaricato dal preside di seguire i programmi di educazione alla salute. L’apparente buona accettazione dell’iniziativa da parte dei ragazzi è dovuta solamente alla possibilità di evitare le interrogazioni e i compiti previsti dalle materie curricolari. Cerchiamo di superare queste premesse sfavorevoli attraverso l’apertura di un dialogo informale, spesso scherzoso, con i ragazzi chiedendo loro di raccontare di alcune circostanze nelle quali hanno incontrato una persona con problemi d’alcolismo. Generalmente, i ragazzi sembrano abbastanza imbarazzati come se parlare di alcolismo fosse parlare di alieni provenienti da un altro pianeta; per favorire la loro apertura diciamo che, tranne qualche rara occasione, l’alcolismo non è un problema giovanile, quanto piuttosto un problema degli adulti, cioè della nostra generazione, un problema che addirittura potrebbe riguardare i loro professori. Diciamo che qualora qualcuno di loro avesse un parente con questi problemi, di non parlarne o parlarne in forma impersonale e generica, per evitare di mettere in piazza aspetti della vita familiare che necessitano di una certa riservatezza.
I ragazzi, dopo questa fase interlocutoria, si sbloccano ed iniziano a raccontare le loro storie riguardanti vicini di casa, personaggi conosciuti del quartiere e in alcuni casi si riesce ad avere anche la storia di familiari, zii, nonni, ecc. L’operatore nel prendere nota di queste storie tende a marcare le differenze tipiche di ogni storia, sottolineando come in un caso sono descritte malattie gravi, in un altro problemi di aggressività, in altri situazioni legate a sofferenze affettive, oppure a lutti, in altri ancora problemi legati al mondo del lavoro. L’operatore, comunque, si preoccupa di favorire il confronto fra le varie opinioni espresse dai ragazzi ed evita di dare risposte dirette in merito; qualora gli studenti pongano una serie di domande specifiche, viene detto loro che le risposte le troveremo o sicuramente le daremo nel corso degli incontri successivi. Gli obiettivi della presente lezione sono:
a) avere un quadro dei problemi alcol-correlati e alcol/droga-correlati attraverso le conoscenze dirette dei ragazzi;
b) far sentire gli studenti soggetti di un sapere diffuso, esperienziale, che acquista una maggiore attendibilità quando viene socializzato e posto a confronto critico.

Nei pochi casi in cui i ragazzi non abbiano storie da raccontare relativamente alle problematiche alcol-correlate (nella nostra esperienza è accaduto solo pochissime volte), chiediamo se hanno maggiori conoscenze del mondo della droga. Quando apriamo la riflessione a quest’area, per aggirare le loro resistenze diciamo che quando noi parliamo di droga ci riferiamo alla droga seria ed in particolare all’eroina ed alla cocaina; nel fare questo ci rivolgiamo ai ragazzi in maniera diretta e provocatoria usando frasi come: “Delle vostre canne non ci frega niente, tanto sappiamo che il settanta per cento di voi ne fa uso, ma a noi questo non interessa!!!”. Questa provocazione, sia quando viene accettata sia quando viene rifiutata, ottiene generalmente una mobilitazione dei ragazzi favorendo un rapporto interattivo più intenso. Molto significativa e da ricordare la reazione di una ragazza, che si alzò in piedi dicendo che non era vero che la maggioranza di loro faceva uso di canne: lei, per esempio, non ne aveva mai fatto uso. La cosa divenne particolarmente divertente quando immediatamente dopo il suo intervento un compagno di classe si alzò e chiamandola per cognome le disse: “Ma cosa dici? Durante l’ultima gita ti sei rullata insieme a noi una canna!”. La ragazza di rimando rispose: “Ma questo non è fare uso di hashish perché io non l’ho mai comprato!”: ne seguì una grande risata generale. Ho citato questo aneddoto, per sottolineare come all’interno dello stesso uso di sostanze psicoattive, le rappresentazioni sociali che i ragazzi hanno rispetto ai loro comportamenti differiscono rispetto ad una miriade di sfumature. L’aspetto curioso è come ognuno tenda a vedere il proprio consumo di sostanze come corretto e giustificabile, facendolo rientrare nella sfera del normale, del lecito, o tanto tanto nella sfera della trasgressione innocente priva di pericolo perché comunque controllabile. “Come uso io le canne è sicuramente la forma giusta, come lo fanno gli altri può essere rischioso”. Lo spaziare sul mondo del consumo di droghe illegali vede generalmente i ragazzi più attivi e loro stessi si proclamano più competenti, perché percepiscono il mondo della droga più vicino; non è mai successo, infatti, che si rifiutassero di raccontare storie di conoscenti finiti nel vortice dell’eroina e di tante altre sostanze ed in alcuni casi si parla di vicende molto vicine relative ad amici e familiari. Alcune storie mostrano aspetti di grande sofferenza e tragicità fino a giungere ai racconti relativi a decessi per overdose o, in altri casi, emergono anche percorsi di cura, intrapresi dai ragazzi e dalle loro famiglie, che hanno dato buoni risultati.
Dopo questa carrellata sul mondo dell’alcol e delle droghe proponiamo ai ragazzi di parlare del loro rapporto soggettivo con le bevande alcoliche, invitando ognuno dei presenti a definirsi rispetto all’essere astemio, astinente, bevitore saltuario, bevitore sociale o forte bevitore. Riscontriamo spesso una certa confusione rispetto all’essere astemi; molti, infatti, si definiscono astemi anche nel caso in cui il loro consumo avvenga nelle feste comandate, tipo l’ultimo dell’anno o in occasioni particolari di feste come i matrimoni, i compleanni, i battesimi, ecc. Alcuni si ritengono astemi perché bevono solo qualche dito di spumante; comunque la maggior parte, circa il 70% si riconosce come consumatore sociale, cioè come persona che segue le consuetudini culturali del proprio ambito di socializzazione. L’assunzione di bevande alcoliche fra i giovani avviene in due momenti preferenziali: il primo è quello immediatamente prima della cena e si concretizza nel farsi una o due birre con gli amici per chiudere la giornata, il secondo invece avviene con l’uscita di casa dopo cena ed è strettamente correlato all’età dei ragazzi, perché molti di loro, almeno fino al secondo anno di scuola superiore, non godono di molti spazi di autonomia e libertà rispetto alla possibilità di uscire dopo cena, mentre per i ragazzi del 3°-4°-5° anno di scuola superiore questi limiti non si pongono ed è lasciata alla loro discrezione la possibilità di uscire. Comunque, la maggior parte degli studenti tende a sfruttare le sere del fine settimana per bere liberamente, concedendosi il sabato sera la possibilità dello “sballo”.
Durante la lezione definiamo il “forte bevitore” come colui che, pur bevendo una quantità di alcol consistente, non dà segni di ebbrezza; di solito nessun ragazzo si riconosce in questa definizione, per la verità in questi anni di lavoro solo pochi ragazzi e ragazze hanno raccontato di forti consumi protratti nel tempo. I forti bevitori, nella fascia di età che oscilla fra i 16 e i 19 anni, sono una esigua minoranza rispetto ai consumi generali del gruppo di giovani in quella fascia di età e non deve meravigliare la loro assenza, anche se alcuni di loro preferiscono non esporsi, rimandando, eventualmente, la possibilità di esplicitare i loro consumi alla fine del corso, solo dopo che si è creato un minimo di rapporto di fiducia con gli operatori che effettuano l’intervento in classe. La discussione sui forti bevitori si accompagna in parallelo al tema delle sbronze e delle varie ubriacature ( binge drinking). Quando chiediamo ai ragazzi: “Chi si è ubriacato almeno una volta?”, l’80% alza la mano mentre il rimanente 20% dice di non sapere cosa sia una sbronza. Per aumentare la provocazione e favorire una riduzione delle difese invitiamo i ragazzi ad ubriacarsi almeno una volta prima della fine degli incontri programmati. Siamo consapevoli di dare un messaggio scorretto, ma lo facciamo proprio per rompere le aspettative dei ragazzi rispetto alle lezioni di educazione sanitaria che frequentemente si concretizzano in una sequela di buone norme che invitano a fare una vita morigerata, non tenendo in debito conto che i giovani sono in una fase di trasformazione, caratterizzata dal desiderio di “andare oltre”, trascendere loro stessi, la realtà che li circonda e non sono più disposti ad accettare acriticamente quello che viene loro proposto. Trovare degli adulti, che vengono a fare una serie di incontri sui problemi alcol-correlati e che invitano i ragazzi a fare, almeno una volta, l’esperienza dell’ubriacatura, crea una situazione paradossale. Un paio di volte, precisamente in un liceo scientifico e in un istituto commerciale, siamo stati anche contestati da alcuni ragazzi, che ci hanno detto: “Voi non potete invitare i ragazzi ad ubriacarsi! Che razza di operatori siete!?!”. Abbiamo risposto che le loro perplessità erano legittime e che se non volevano fare l’esperienza erano liberissimi, ma che credevamo impossibile influenzare i loro comportamenti con le nostre opinioni. Di fronte all’invito alla trasgressione, più frequentemente, i ragazzi si divertono, in alcuni casi ridono o addirittura applaudono, allora noi proiettiamo il lucido della Figura 1 ripreso dalle lezioni del prof. Hudolin [25].



Spieghiamo che qualsiasi paziente che si rivolga o si sia rivolto al nostro servizio (UO Psicologia e Dipartimento di Salute Mentale) risulta essere una persona che nella vita è stata per un certo periodo astemia, astinente, bevitore saltuario, bevitore sociale, forte bevitore e solo nell’ultimo periodo si è ritrovato in uno stato definito di alcolismo o di gravissimi problemi alcol-correlati.
Diciamo che per fare questo percorso, generalmente, una persona impiega mediamente dai dieci ai venti anni ed è per questo motivo, che risulta abbastanza raro trovare un giovane con problemi di alcolismo, mentre è più facile trovare giovani che presentano problematiche alcol-correlate o una poli-tossicodipendenza, all’interno della quale l’alcol svolge una funzione sostitutiva e amplificatrice delle droghe illegali, secondo la filosofia che quando manca la “roba” c’è sempre l’amica “bottiglia”. Siccome diamo per scontato che nessuno voglia ritrovarsi a 45-50 anni e scoprirsi alcolista, chiediamo ai ragazzi in base a quali criteri di salvaguardia della salute pensano che i loro consumi non siano pericolosi o che, comunque, non comportino gravi problemi e tantomeno contemplino la possibilità di poter diventare nel loro futuro dei possibili alcolisti. Dobbiamo spesso specificare che questi criteri sono degli indicatori di rischio, delle istanze organizzative che orientano i comportamenti, correlabili a dei coefficienti di probabilità rispetto alla possibilità di incontrare o evitare un determinato problema. L’obiettivo della nostra richiesta è fare emergere le rappresentazioni sociali degli studenti, relative alla salvaguardia della salute rispetto al consumo di bevande alcoliche.
I ragazzi interagiscono con una certa facilità ed i criteri espressi con maggiore frequenza sono i seguenti: autocontrollo, senso del limite, forza di carattere, saltuarietà, bere in amicizia e non per evadere dai problemi, bere poco, avere una situazione familiare soddisfacente, avere una situazione affettiva soddisfacente, non ricercare lo sballo, scegliere fra le bevande, senso di responsabilità, non provare piacere nel perdere il controllo, avere una vita piena di interessi, conoscere le conseguenze del bere, praticare un’attività sportiva.
Chiediamo ad un paio di studenti di aiutarci nella raccolta dei criteri e di trascriverli su di un lucido, che rimanga come un report da proiettare nella successiva lezione.
2° INCONTRO: CRITERI DI SALVAGUARDIA DELLA SALUTE E FALSA COSCIENZA
Dopo aver riassunto quanto è emerso nel primo incontro, vengono proiettati i criteri di salvaguardia della salute espressi dagli studenti e questi vengono invitati ad individuare quale possa essere il criterio o i criteri che consentano una maggiore generalizzazione e, quindi, con la possibile caratteristica di essere definiti come criteri guida (Figura 2).



Le discussioni spesso si fanno interessanti, perché i ragazzi evidenziano come alcuni dei criteri espressi siano difficilmente verificabili, visto che ognuno li interpreta in maniera diversa. Bere con consapevolezza, avere il senso del limite sono criteri che rischiano una tale genericità da risultare inefficaci. Amplifichiamo la discussione perché questo ci consente di evidenziare quanto sia difficile e complesso dare indicazioni valide, per la maggioranza della popolazione, tese a promuovere e salvaguardare la salute. Diciamo che tale complessità e problematicità coinvolge anche il mondo scientifico; infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) fino al primo novembre del 1994 dava come criterio la “quantità”, indicata in 60 grammi di alcol pro die per l’uomo e 40 grammi per la donna, ma sottolineando come questo criterio, oggettivamente rilevabile, abbia subìto proprio da parte dell’OMS dei continui aggiornamenti che hanno portato ad una riduzione progressiva della quantità di alcol ritenuta non dannosa per la salute. Per il momento non approfondiamo ulteriormente la spiegazione, perché riteniamo prioritario cercare di chiarire se l’alcol sia da considerarsi una droga oppure no; rispondere al quesito: “L’alcol è una droga?”, genera un dibattito serrato fra i ragazzi e spesso dobbiamo intervenire per permettere a ciascuno di parlare ed esprimere il proprio pensiero. In alcune classi c’è una certa capacità di dialogare e confrontarsi, mentre in altre, sembra scattare la necessità di dire il proprio pensiero indipendentemente da quanto affermano gli altri compagni, come se fosse più importante esprimere la propria idea che ascoltare le idee degli altri. Noi marchiamo molto l’importanza di questo modo di interagire e sottolineiamo come per noi sia importante fare emergere i loro modi di vedere l’alcol e cosa sia l’alcol come sostanza.
Alcune volte incontriamo dei gruppi classe che negli anni precedenti hanno fatto, con i rispettivi professori, studi al riguardo e sanno che l’alcol è una droga al pari delle droghe illegali; in questo caso facciamo notare che affermare che l’alcol sia una droga equivale a riconoscere come drogata la persona che ne fa uso. Domandiamo quanto bevono e se quando bevono le loro birre o i loro cocktail pensano di essere delle persone che assumono droga. Queste semplici domande consentono di far emergere le discrepanze che intercorrono fra il messaggio razionale: “L’alcol è una droga!” ed i vissuti emotivo-affettivi rispetto al consumo di bevande alcoliche degli studenti. Il sottolineare le discrepanze porta ad un ulteriore approfondimento che sfocia nel 90% dei casi alle seguenti conclusioni: “L’alcol è un alimento o una sostanza voluttuaria, l’abuso lo rende simile alle droghe illegali”. Tradotto in parole povere ed un po’ brutali, l’alcol che noi beviamo e che viene bevuto nelle nostre famiglie non è una droga, ma è l’abuso che fa diventare l’alcol una droga, infatti gli alcolisti sono simili ai drogati.
Durante l’intervento, frequentemente vengono fatti riferimenti ai disturbi alimentari, obesità, bulimia, anoressia come conseguenze di comportamenti d’abuso: si crea così una convergenza di opinioni, che porta l’enfasi del discorso sui comportamenti, perché in fondo la sostanza alcol di per se stessa ha anche degli effetti benefici e qualcuno sottolinea come la birra o il vino non abbiano niente a che vedere con il mondo dei superalcolici. L’ideologia di fondo che si sviluppa in questa discussione è espressa bene nell’adagio: in medio stat virtus!
L’INTERVENTO DI PROVOCAZIONE CONTROPARADOSSALE
A questo punto uno degli operatori, generalmente quello che ha condotto la lezione, inizia l’intervento di provocazione controparadossale. L’operatore racconta di fare uso di cocaina da circa dieci anni, facendosi una pista quasi tutti i fine settimana e chiede ai ragazzi se loro pensano che lui sia un drogato, un cocainomane, oppure uno che si gestisce la sostanza. Di fronte a questa provocazione i livelli di attenzione dei ragazzi diventano altissimi, ed i ragazzi dopo aver definito l’operatore un cocainomane lo bombardano di domande nella speranza di evidenziare che l’operatore è asservito alla sostanza, non può farne a meno e che di lì a poco farà una brutta fine. L’operatore risponde alle domande dei ragazzi utilizzando i criteri di salvaguardia della salute da loro espressi in relazione al consumo di bevande alcoliche (che, nel frattempo, sono rimasti proiettati sullo schermo della lavagna luminosa). L’operatore ostenta una spavalda sicurezza dicendo che ha una certa consapevolezza sul fatto di utilizzare una sostanza psicoattiva, ma, come per tutte le sostanze, l’importante è saperle usare senza farne abuso, avere in pratica la percezione del proprio limite, non farne uso per fuggire dai problemi della vita, ecc. L’operatore, sempre avendo ben presente i criteri di salvaguardia della salute espressi dai ragazzi, risponde sicuro amplificando gli aspetti onnipotenti: “Ormai sono dieci anni che pippo, questo mi dà una certa sicurezza! Sì, voi sostenete che qualcuno dalla cocaina è passato all’eroina e si è rovinato, ma queste sono persone fragili che avevano delle problematiche psicologiche o delle difficoltà di rapporto nelle rispettive famiglie d’origine. Io, grazie a Dio, sto bene e mi faccio solo per provare piacere!”. Alcuni ragazzi rimangono perplessi e si domandano: “Ma che razza di operatori manda la ASL?”. Qualcuno ha bisogno di esplicitare che stiamo scherzando e che è tutto un gioco. Per quanto ci riguarda, valutiamo il livello di tensione che si può essere creato nel gruppo classe ed in alcuni casi procediamo senza troppe preoccupazioni, mentre in altri verbalizziamo che si tratta di un gioco, ma un gioco molto serio, che serve a far pensare e riflettere. Alcuni ragazzi sostengono che è vero quello che noi diciamo, perché anche loro conoscono persone che fanno uso di cocaina da tantissimi anni senza particolari problemi. Questo ci consente di amplificare il discorso includendovi l’hashish e la marijuana, evidenziando che quando arrivarono queste sostanze a scuola circa quarant’anni fa, tutti reagirono come stanno reagendo loro ed i ragazzi che facevano uso di queste sostanze erano una ristrettissima minoranza, mentre oggi, nonostante l’hashish sia illegale, siamo arrivati a consumi di massa, che toccano l’80-90% dei giovani. La provocazione controparadossale viene portata avanti ancora tirando fuori una bustina di carta, come se questa contenesse cocaina, e la proponiamo ai ragazzi invitandoli a consumare. L’imbarazzo diventa molto alto, qualcuno non riesce nemmeno a trovare le parole per rispondere e questo ci spinge ad insistere incalzando particolarmente quei ragazzi che hanno l’aria di essere i più tranquilli, i meno trasgressivi: “Se mi dici ‘sì’, mi devi spiegare perché sei disponibile a provare! Invece, se mi dici ‘no’, mi devi spiegare perché ti neghi questo piacere!”. Le risposte dei ragazzi sono di una varietà enorme e noi cerchiamo proprio di interagire con gli studenti che tendono a rimanere in disparte ed evitare il confronto; la provocazione prosegue fino a quando non incontriamo un ragazzo od una ragazza che esprime il rifiuto legandolo alla paura e spesso la risposta è: “Ho paura che la cocaina mi piaccia ed in un prossimo futuro non so come reagirei!”. Quando emerge la “paura”, interrompiamo la provocazione, perché la paura è un’emozione profonda che va rispettata. «Quando parliamo della paura che per natura fa parte della responsabilità, non intendiamo la paura che dissuade dall’azione, ma quella che esorta a compierla; intendiamo la paura per l’oggetto della responsabilità […] che cosa capiterà a quell’essere [a me stesso], se io non mi prendo cura […]? Quanto più oscura risulta la risposta, tanto più nitidamente delineata è la responsabilità». [27]. Nella nostra cultura la persona che esprime timore e paura viene spesso squalificata; veniamo, fin da piccoli, sollecitati a dissimulare la paura, a negarla ed in genere a non esprimere le emozioni che risultano sgradevoli; nella nostra società è un “valore” essere temerari e spavaldi piuttosto che essere timorosi e riservati. La cultura odierna tende a dare molto valore alla competitività, al rischio, all’azzardo, alla disponibilità rispetto al provare forti emozioni o al provare qualsiasi cosa nuova appaia sul mercato delle cose e dei sogni. A questo punto agganciamo la paura, il timore di subire un danno alla possibilità di rivedere i nostri comportamenti a rischio, durante i quali può essere messa a rischio la nostra salute e torniamo, quindi, al problema se l’alcol sia o non sia una droga. Sicuramente la provocazione ha creato una corrispondenza fra la possibilità di far uso razionale di cocaina e le implicazioni emotive che questo comporta. La reazione alla provocazione ha sicuramente attivato la sfera dell’emotività e ci preme ribadire ai ragazzi che quello che facciamo può sembrare un gioco, ma comunque è un gioco che potrebbe trasformarsi in realtà. Infatti, in alcuni istituti abbiamo trovato ragazzi che hanno detto apertamente di trovarsi spesso in situazioni analoghe. Chiediamo allora ai ragazzi in base a quali criteri alcune sostanze sono classificate e considerate droghe, sostanze stupefacenti, mentre altre non lo sono. Gli studenti nel giro di pochi minuti individuano subito i criteri di valutazione, che nello specifico risultano essere: l’effetto psicoattivo della sostanza, il fenomeno della tolleranza, la dipendenza fisica e psichica. A questi criteri base aggiungiamo altre tre variabili: la dipendenza sociale, i fenomeni dispercettivi in astinenza ed in overdose. Proiettiamo, a questo punto, lo schema comparato delle sostanze (Tabella 1) [28,29] ed analizziamo insieme ai ragazzi tutte le sostanze evidenziate, dai farmaci come l’aspirina alle bevande come il caffè; logicamente, la nostra attenzione si concentra maggiormente sull’eroina, sulla coca e sull’alcol.



Ciò che risalta subito all’attenzione degli studenti è che l’alcol si presenta come l’unica sostanza con tutti i valori positivi rispetto ai criteri evidenziati, per cui dal punto di vista scientifico risulta essere la sostanza più pericolosa, ma per quanto concerne la nostra cultura è sicuramente la sostanza più consumata e rispetto alla quale si manifesta minore preoccupazione, anzi addirittura è consentita la pubblicizzazione per incrementarne i consumi.
La lezione ha l’obiettivo di far capire ai ragazzi come il concetto di droga sia culturalmente determinato e che è impossibile poter fare un intervento preventivo se le persone non si interrogano e non percepiscono un qualche timore rispetto ai possibili pericoli nell’uso della sostanza. Questo ci consente di evidenziare la mistificazione implicita nel concetto di “uso ed abuso”, e di come questa sia legata alla necessità di giustificare i propri consumi personali di bevande alcoliche. Non solo il concetto di “uso ed abuso” risulta essere un meccanismo di difesa soggettivo, basato su un processo di “razionalizzazione” e di “negazione”, ma questo è favorito da una cultura del bere che permea lo sviluppo di tutta la società. È estremamente difficile trovare nel nostro universo una qualsiasi cultura che non abbia un rapporto con le bevande alcoliche e con le sostanze psicoattive, ma sicuramente la cultura occidentale è quella che presenta il legame più profondo con le bevande alcoliche, un legame con grosse implicazioni simboliche, religiose e con enormi interessi economici. «Nel comportamento alcolico pare particolarmente evidente l’uso conscio e inconscio del linguaggio simbolico. […] per comprendere il significato del bere e i comportamenti alcolici che differenti classi e gruppi sociali assumono, occorre saperne cogliere tutti gli aspetti, e quello simbolico è tra i più importanti. […] le grandi variazioni nei consumi di alcolici e di altre sostanze psico-attive [in particolare hashish e cocaina] costituiscono sovente il riflesso di cambiamenti nel significato culturale. […] La pubblicità, in quanto stimolante dell’azione consumistica, tende presumibilmente a proporre bisogni, valori e norme legati all’uso di bevande alcoliche facendo ricorso a simboli e a modelli di comportamento fortemente ritualizzato [vedi il rito di questi ultimi anni dell’happy hour]» [30]. Risulta, inoltre, evidente che le lobby dei produttori di bevande alcoliche e dei pubblicitari hanno tutto l’interesse ad evidenziare che a fronte di una popolazione del 67% degli italiani che fa uso frequente di bevande alcoliche, solo il 15-20 %, presenta gravi problemi alcol-correlati; di conseguenza, si potrebbe dire che c’è un bere non dannoso, adeguato e un bere smodato, quello degli abusatori, che porta seri problemi alla salute. Amplificando si potrebbe addirittura affermare, come fanno alcune trasmissioni televisive, che bere bevande alcoliche aiuta la digestione ed ha un effetto benefico sulla salute, per cui non è legittimo equiparare l’alcol alle droghe. Gli studenti colgono con una certa chiarezza le mistificazioni che si nascondono dietro a queste argomentazioni, perché durante la provocazione con la cocaina rimaneva difficile accettare la distinzione fra uso ed abuso ed hanno potuto osservare quanto i loro criteri di salvaguardia della salute rispetto al consumo di bevande alcoliche siano relativi e culturalmente determinati. Infatti, mentre erano ritenuti congrui e pertinenti in relazione alla sostanza alcol, non avveniva altrettanto se passavamo alla cocaina, che nella nostra cultura, almeno fino ad oggi, è ancora percepita come una droga. Probabilmente, fra dieci anni, con la cocaina avverrà quanto è già accaduto per l’hashish e la marijuana, che vengono considerate droghe “leggere” o addirittura sostanze voluttuarie.
3° INCONTRO: IL CONFRONTO CON GLI ALCOLISTI E CON I LORO FAMILIARI
Nella terza lezione i ragazzi si incontrano con le famiglie dell’Associazione dei Club Alcologici Territoriali (ACAT), generalmente cerchiamo di avere una rappresentanza di famiglie che consenta di approfondire storie di alcolismo sia maschile sia femminile e, quando è possibile, avere la presenza anche dei figli. Questo tipo di incontro fu molto criticato dal prof. Hudolin [31], che durante un colloquio evidenziò come fosse grande il rischio di alienare le famiglie degli alcolisti costringendole ad essere dei testimonial delle loro difficoltà, con la possibilità di amplificare l’identità costruita intorno al consumo di bevande alcoliche lasciando in secondo piano le risorse personali e familiari, che vanno ben oltre il disagio sofferto o i percorsi intrapresi per sciogliere il legame con l’alcol. Facendo tesoro di queste critiche abbiamo circoscritto la partecipazione degli alcolisti e dei loro familiari a quelle persone che rivestono cariche pubbliche all’interno dell’ACAT. La lezione non prevede alcuna introduzione, solo una breve presentazione dei presenti e l’invito rivolto agli studenti a fare qualsiasi tipo di domanda ritengano opportuna. Il livello di attenzione dei ragazzi è altissimo ed il clima in classe spesso è scherzoso come se le lezioni precedenti avessero favorito una modalità comunicativa meno formale. Le domande fluiscono con una certa facilità e sono tutte tese a verificare due aspetti significativi ed interdipendenti. Il primo è valutare se ciò che il dott. Scali ed i suoi collaboratori hanno detto nelle precedenti lezioni sia “vero”, cioè se gli argomenti emersi e discussi insieme mantengano una significativa attendibilità. Il secondo aspetto è legato al desiderio dei ragazzi di verificare le loro rappresentazioni sociali dell’alcolismo, emerse attraverso i criteri di salvaguardia della salute da loro espressi nelle precedenti lezioni.
Diviene chiaro che se un ragazzo pensa che alla base dell’alcolismo ci siano dei problemi psicologici individuali e relazionali, sarà molto probabile che ponga domande circa le modalità del bere delle famiglie d’origine ed i contesti familiari o amicali, all’interno dei quali si esprimeva il comportamento del bere. Se, invece, lo studente vuole verificare il criterio dell’autocontrollo, del senso del limite, con molta probabilità porrà delle domande circa la storia del consumo delle bevande e di come questa storia si è trasformata nel corso degli anni; lo studente sembra teso a scoprire se in questa storia esistano dei momenti particolari o delle circostanze che rendano facilmente percepibile il momento in cui si supera il limite o si perde l’autocontrollo. Ciò che colpisce la maggior parte dei ragazzi è che gli alcolisti raccontano del loro rapporto con l’alcol e da questo racconto non emergono circostanze particolari, marcate diversità, rispetto ai consumi che i giovani hanno attualmente. Colpisce molto sentir dire da un alcolista che è stato astemio fino a quando non ha iniziato il servizio militare, o che il bere era estremamente saltuario e legato alle ricorrenze festive fino al matrimonio avvenuto all’età di ventinove anni, o che beveva come bevevano tutti i giovani della sua età, non facendo alcuna distinzione o preferenza fra le bevande alcoliche, oppure ancora, che ha sempre bevuto solo un certo tipo di bevanda alcolica perché le altre non gli sono mai piaciute. La presenza dei familiari fa sì che la discussione si allarghi ai temi del disagio, della sofferenza e delle dinamiche familiari che si strutturano intorno al consumo di bevande alcoliche. Colpisce particolarmente come il legame con la sostanza si strutturi lentamente e come gli stessi familiari manifestino grosse resistenze a riconoscerla come problema centrale. Spesso emerge che i segnali di disagio e di richiesta di aiuto manifestati dai figli vengano sottovalutati o addirittura non presi in considerazione. L’interazione fra i ragazzi e le famiglie dei club prosegue fino a quando l’interesse e le curiosità degli studenti non hanno avuto una esauriente risposta; noi operatori ci preoccupiamo solamente di ritagliare una quindicina di minuti finali per poter fare una sintesi dei temi emersi nell’incontro. Esplicitiamo che il concetto di “uso e abuso” risulta essere necessario e utile alle persone che si definiscono “bevitori moderati” e sia molto funzionale agli interessi dei produttori e anche al settore del marketing pubblicitario connesso alla promozione dei consumi di bevande alcoliche. Le persone sono libere di orientare i propri comportamenti partendo dal presupposto dell’uso-abuso, ma se questo criterio viene ritenuto valido per il consumo di alcol ne consegue che deve essere ritenuto valido anche rispetto al consumo di eroina, cocaina, anfetamine, LSD, chetamina, ecc.
4° INCONTRO: ALCOL E GUIDA
Il quarto ed ultimo incontro è incentrato su una problematica molto attuale e sentita vivamente dai giovani, alcol e guida: viene effettuato in collaborazione con il Corpo di Polizia Municipale del nostro Comune.
La lezione mette in evidenza come un guidatore abbia i tempi di reazione, rispetto ad un eventuale pericolo, fortemente influenzati dal consumo di bevande alcoliche e come il processo di evitamento del pericolo dipenda da aspetti consci e inconsci tipici della percezione umana (Figura 3).



Successivamente, viene data molta rilevanza agli aspetti normativi e sanzionatori del codice della strada; i ragazzi vengono, inoltre, invitati a sottoporsi all’etilometro ed a esprimere i propri punti di vista mettendoli a confronto.
Nelle conclusioni esplicitiamo con molta chiarezza il nostro modo di vedere la problematica del bere e affermiamo: “L’alcolismo come malattia, come sindrome, non esiste! Quelli che esistono sono i problemi alcol-correlati!”. «L’alcolismo non è una “identita” ben definita, ma un processo che in molte persone dai primi consumi di piccole quantità di alcol e in relazione ad un numero enorme di fattori interni ed esterni, produce uno specifico legame tra l’uomo e l’alcol» [32].
Diciamo anche che orientare troppo la riflessione sull’alcolismo non è di alcun aiuto, perché non porta a salvaguardare e promuovere la nostra salute; rischiamo, infatti, di parlare solo di situazioni nelle quali si è già strutturato un grave danno, mentre il nostro scopo dovrebbe essere quello di favorire stili di vita sani che prevengono tali possibilità.
A questo punto proiettiamo nuovamente il lucido dei cerchi ed evidenziamo come in questo lucido siano segnalati dei puntini rossi che vanno sempre aumentando man mano che ci spostiamo verso il centro. Diciamo che i puntini rossi esemplificano il coefficiente di rischio rispetto alla possibilità di incontrare dei problemi alcol-correlati e che questo coefficiente è sicuramente correlato ai consumi, per cui più si consuma più saranno i rischi, minore è il consumo minori saranno i rischi di avere problemi alcol-correlati. Definire i problemi alcol-correlati (PAC) come un continuum ingravescente conseguente, non dell’alcolismo, ma del comportamento del bere, ci consente di spiegare ai ragazzi come il bere sia “un comportamento a rischio”, e anche le persone che consumano saltuariamente modeste quantità di alcol possono comunque andare incontro a dei problemi alcol-correlati, anche se il livello di rischio, in questi casi, risultasse basso. A tale proposito citiamo gli incidenti stradali e gli indicatori epidemiologici che riguardano la nostra città; qualora qualcuno dei ragazzi sottolineasse che per avere un coefficiente di rischio pari a zero bisognerebbe diventare astinenti, noi invece di sottolineare la positività di questa riflessione, partiamo con un’altra provocazione controparadossale: «Perché dovreste smettere di bere?!? Noi non vi diciamo di smettere di bere!?! Anche perché la struttura presso la quale lavoriamo è stata creata per affrontare i problemi alcol-correlati, allora più voi bevete più persone avranno problemi alcol-correlati e maggiori saranno i guadagni che possono eventualmente fare gli operatori del Sistema Sanitario. Cari ragazzi siete ingenui se pensate che il Sistema Sanitario operi per promuovere la salute dei cittadini! Il Sistema Sanitario nel migliore dei casi affronta le malattie e perpetua la sua funzione di cura del danno! La promozione della salute è frutto primariamente di scelte soggettive, di scelte personali e secondariamente è un problema politico e culturale. Solo voi potete decidere cosa fare della vostra salute e cosa fare dei vostri consumi di alcol, di canne, di piste, di treep ecc. Per quanto ci riguarda, possiamo eventualmente illustrarvi gli orientamenti dell’OMS alla conferenza di Parigi del 12-14 dicembre 1995» [33]. Conseguentemente, illustriamo la Carta Europea sull’alcol e distribuiamo i dépliant informativi relativi alla presenza dei Club Alcologici Territoriali nella nostra Provincia; inoltre, ci rendiamo disponibili a ripetere l’intervento nelle comunità locali dove i ragazzi vivono. Con questa proposta, offriamo ai ragazzi la possibilità di diventare promotori e costruttori di programmi di Educazione Continua nelle loro comunità di residenza e che hanno come finalità il coinvolgimento dei genitori e della cittadinanza impegnata nel movimento associativo di base (parrocchie, case del popolo, circoli culturali e gruppi legati al mondo del volontariato).
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