La dimensione dell’intersoggettività
nella psicoterapia sistemico-relazionale


Luigi Onnis1



Particolarmente dedicato agli psicoterapeuti, l’articolo collocato in questa rubrica risponde all’esigenza di una sottolineatura: caratterizzando in modo diverso forme diverse di psicoterapia, non stiamo perdendo il senso dell’unità possi­bile intorno al concetto di psicoterapia?


Particulary addressed to psychotherapists, the article in this section answers to the need of focusing on the following consideration: by characterizing psychotherapy in different ways aren’t we loosing the sense of unity involved in the concept of psychotherapy?


Este artículo está dedicado a los psicoterapeutas, en él se trata de responder a la cuestión: definiendo de distintas maneras la psicoterapia, non se corre el riesgo de perder la unidad del concepto de psicoterapia?



Riassunto. L’Autore sottolinea l’importanza del concetto di intersoggettività, così come è stato elaborato da Daniel Stern, per la psicoterapia sistemica. Mette in evidenza dapprima i punti di convergenza fra l’idea di intersoggettività proposta da Stern e il pensiero sistemico: una concezione relazionale della mente (vedi Bateson), la valorizzazione dei linguaggi impliciti (la “conoscenza relazionale implicita”) come matrice intersoggettiva della dinamica relazionale, l’importanza degli aspetti empatici come base intersoggettiva della alleanza terapeutica. L’Autore sottolinea, poi, i punti di divergenza tra il concetto di intersoggettività proposto da Stern, che è essenzialmente diadico, e il pensiero sistemico che propone invece una dimensione triadica dell’intersoggettività, così frequentemente evidenziabile sia nelle ricerche (in particolare quelle di Elisabeth Fivaz) sia nelle situazioni terapeutiche. Viene presentato, come esempio di intersoggettività triadica, un caso clinico in cui la famiglia ha lavorato col linguaggio analogico delle “Sculture del Tempo Familiare”.
Infine l’Autore mette in evidenza l’importanza interdisciplinare del concetto di intersoggettività che ha permesso utili punti di connessione tra vari territori, quali la psicoanalisi, la teoria dell’attaccamento, le neuroscienze.

Parole chiave. Intersoggettività, Daniel Stern, psicoterapia sistemica, linguaggi impliciti, neuroscienze.
Summary. The intersubjectivity dimension in systemic-relational psychotherapy.
The Author underlines the importance of the concept of intersubjectivity, such as Daniel Stern elaborated it, for the systemic psychotherapy. First of all he puts in evidence the convergent points between the Stern’s idea of intersubjectivity and the systemic thinking: a relational conception of mind (see Bateson); the great value of the implicit languages (the “Implicit Relational Knowing”) as an essential matrix of intersubjectivity in the relational dynamics, the importance of the empathic aspects as intersubjective base of the therapeutic alliance. The Author, then, underlines the divergent points between the intersubjectivity concept proposed by Stern, which is essentially dyadic, and the systemic thinking, which, on the contrary, proposes a triadic dimension of intersubjectivity, so frequently showed by clinical researches (particularly the Elisabeth Fivaz’s ones) as well as by the therapeutic situations. As an example of triadic intersubjectivity a clinical case is presented in which the family worked with the analogical language of the “Sculptures of Family Time”. Finally the Author puts in evidence the interdisciplinary importance of the intersubjectivity concepts which allowed the creation of useful bridges and connections among different fields such as psychoanalysis, attachment theory, neurosciences.

Key words. Intersubjectivity, Daniel Stern, systemic psychotherapy, implicit languages, neurosciences.


Resumen. La dimensión de la intersubjetivitad en la psicoterapia sistémico-relacional.
El Autor enfatiza la importancia de la conceptión de intersubjetivitad, así como la elaboró Daniel Stern, para la psicoterapia sistémica. En primer lugar, pone en evidencia, lon puntos de convergencia entre el concepto de intersubjetivitad, introducida por Stern, y el pensamiento sistémico: una concepción relacional de la mente (véase Bateson), la revalorización del linguaje implicito (el “conocimiento relacional implícito”), como matriz intersubjetiva de la dinámica relacional, la importancia de los elementos empaticos como base intersubjetiva de la alianza terapéutica. Posteriormente, el Autor acentúa los puntos de divergencia entre el concepto de intersubjetivitad propuesto por Stern, que es diádico, y el pensamiento sistémico, que propone una dimensión triadica de la intersubjetivitad, frequentemente evidenciada en la intestigación (especialmente las de Elisabeth Fivaz) y en la práctica clínica. Se presenta un caso clínico, como ejemplo de intersubjetivitad triádica, en el cual la familia trajó con el linguaje analógico de las “Esculturas del Tiempo Familiar”. Finalmente el Autor evidencia la importancia interdisciplinar del concepto de intersubjetivitad que consentió puntos de conexión entre distintos territorios, como el psicoanálisis, la teoria del apego, las neurociencias.

Palabras clave. Intersubjetivitad, Daniel Stern, psicoterapia sistémica, linguajes implicitos, neurosciencias.
iNTRODUZIONE
Il Convegno “Le forme dell’intersoggettività nello sviluppo e nella Clinica” si propone di ricordare Daniel Stern, a cui tanti di noi erano legati non solo da comuni interessi scientifici, ma anche da condivisione di amicizia e di affetti. Vorrei, perciò, iniziare con un ricordo personale.
Era la prima volta, ormai molti anni fa, che invitavamo Stern per un seminario nel nostro Istituto, IEFCOS, di formazione alla psicoterapia sistemica.
Eravamo molto onorati ed emozionati dall’incontro con Stern ed avevamo cercato di preparare il seminario nella maniera migliore: in particolare gli avevamo proposto di supervisionare una situazione clinica videoregistrata; si trattava della terapia con una famiglia di quattro persone, due genitori e due figli di età infantile, di cui uno, una bambina di 4-5 anni, presentava (se non ricordo male) disturbi del comportamento. La terapeuta, dopo una breve introduzione sulla terapia che era agli esordi, aveva scelto di mostrare a Stern una sequenza video e si affannava a tentare di tradurre gli scambi verbali tra i membri della famiglia. Dopo pochissimi minuti, Stern chiese di sospendere la traduzione e di spegnere l’audio e continuò ad osservare la sequenza su un piano puramente non verbale. Poi arrestò il video e fece una descrizione accurata della dinamica relazionale che aveva osservato nella famiglia, formulando ipotesi sul ruolo del comportamento della bambina e mostrando una particolare attenzione anche all’atteggiamento che la terapeuta pareva avere nell’incontro con la famiglia. Rimanemmo a bocca aperta, perché nessun terapeuta sistemico avrebbe potuto e saputo far meglio!
Perché ho ricordato questo episodio? Perché mi pare che esso contenga molti degli aspetti che vorrei discutere con voi:
– la sintonia di Stern col pensiero sistemico;
– la valorizzazione della matrice intersoggettiva e, in particolare, degli aspetti impliciti, non verbali, della dinamica relazionale;
– l’attenzione alla relazione terapeutica come veicolo intersoggettivo di circolazione emozionale.

Vorrei approfondire meglio questi aspetti che mi sembrano terreni di convergenza tra le concezioni di Stern, in particolare quella dell’intersoggettività nelle sue declinazioni, e il pensiero sistemico.
INTERSOGGETTIVITÀ E PENSIERO SISTEMICO: CONVERGENZE POSSIBILI
la matrice intersoggettiva del funzionamento mentale
L’intersoggettività, come Daniel Stern la concepisce e la elabora, propone il superamento dell’idea classica di una psicologia monopersonale, a favore di una psicologia bipersonale, sulla scia degli studi compiuti nell’ambito della “infant-research”, da cui emergeva che la costruzione del mondo psichico del bambino, più che da istanze pulsionali, secondo l’originaria concezione freudiana, è influenzata dalle interazioni concretamente e continuamente esperite con la figura materna.
«La nostra vita mentale – scrive Stern – è frutto di una co-creazione, di un dialogo continuo con le menti degli altri che io chiamo “matrice intersoggettiva”» [1, p. 65].
Essa appare a Stern come il «crogiolo imprescindibile da cui evolve la mente dell’individuo».
Queste considerazioni hanno, ovviamente, una straordinaria portata innovativa nel campo della psicologia dello sviluppo e della psicoanalisi perché «il centro di gravità si sposta dall’intrapsichico all’intersoggettivo».
«Non esiste la mente umana da sola – scrive ancora Stern –: la mente umana è creata grazie all’interazione con i desideri, pensieri, azioni o credenze degli altri. Senza di ciò non c’è linguaggio, né morale, né coscienza. Sappiamo qualcosa della mente umana solo quando interagiamo, perché essa non esiste se non interagiamo» [2, p. 31].
Questa suggestiva concezione relazionale e intersoggettiva della mente proposta da Stern, mi pare converga, apportandovi, di certo, ulteriori e originali contributi, con uno degli assunti di base dell’orientamento sistemico: l’importanza e la funzione insostituibile della relazione. Essa non solo è livello essenziale di ogni atto comunicativo, ma è anche matrice contestuale per ogni attribuzione di significato e per ogni processo mentale.
Gregory Bateson [3] che, come è ben noto, è uno dei padri fondatori della psicoterapia sistemica, propone una concezione della mente che, da un lato, la radica nel corpo come principio organizzatore di tutte le funzioni del sistema organismo, dall’altro la connette, attraverso reti relazionali complesse, agli altri soggetti e all’ambiente, con i quali i nessi circolari sono così imprescindibili che, per Bateson, contro le concezioni tradizionali, l’unità di sopravvivenza non è l’organismo, ma l’organismo nel suo ambiente .
In tutta la sua opera principale – che non a caso porta il titolo “Verso un’ecologia della mente” [3] – Bateson sostiene, in modo non dissimile da Stern, che non esiste una mente isolata perché «una mente presuppone altre menti».
La matrice relazionale dell’apprendimento e, più in generale dei processi conoscitivi, che non possono prescindere da un contesto intersoggettivo, sono altri concetti di fondo dell’orientamento sistemico.
È per questi motivi, io credo, che la dimensione dell’intersoggettività ha ricevuto ampio favore nell’ambito della psicoterapia sistemica, derivandone, ovviamente, non solo conferme, ma stimoli e contributi significativi.
la conoscenza relazionale implicita come fondamento dell’intersoggettività
Ma, come accennavo all’inizio, esistono altri aspetti su cui penso sia possibile trovare convergenze tra la concezione dell’intersoggettività e l’orientamento sistemico.
Uno di questi aspetti riguarda il fatto che le interazioni intersoggettive che attivano i processi mentali e che, come si è visto, ne sono lo stimolo e il nutrimento, non si svolgono solo entro il registro della coscienza, ma abbracciano quell’ampia area di esperienze e di apprendimenti – che potremmo definire “inconsapevoli” – che Stern chiama “conoscenza relazionale implicita”.
È quest’area, in cui prevale la dimensione emozionale e affettiva, prima ancora che quella cognitiva, che, per Stern, è uno dei fondamenti dell’intersoggettività.
«Noi siamo in grado “leggere” le intenzioni degli altri – scrive Stern – e di sentire nel nostro corpo le loro stesse sensazioni ed emozioni. E ciò non in qualche forma mistica, ma osservandone il volto, i movimenti e la postura, ascoltandone il tono della voce e rilevando il contesto presente del loro comportamento” [1, p. 63].
Per quanto riguarda l’orientamento sistemico, la dimensione implicita attraversa, in generale, tutta la relazionalità, perché è proprio di questo approccio distinguere, in ogni atto comunicativo, un livello di contenuto che è dichiarativo ed esplicito, e un livello di relazione che si definisce prevalentemente col linguaggio implicito, non verbale, emozionale.
La conoscenza relazionale implicita è l’unica possibile per il bambino nell’età pre-verbale, ma essa non scompare con l’avvento del linguaggio.
I dati di apprendimento implicito, che corrispondono essenzialmente a ricordi emozionali e affettivi, sono immagazzinati in quella che i neurofisiologi chiamano “memoria implicita”: in tal modo, la conoscenza relazionale implicita si sviluppa in parallelo con la conoscenza esplicita e, insieme, crescono su binari autonomi per tutto il resto della vita.
«Ora abbiamo realizzato – scrive Stern – che la conoscenza implicita è una delle più vaste aree di conoscenza che abbiamo e include tutto ciò che di importante avviene, sia emozionalmente che socialmente, tra le persone. Noi la consideravamo una conoscenza più primitiva rispetto alla conoscenza esplicita; ora pensiamo che sia una conoscenza ugualmente, ma diversamente ricca» [2].
Questa concezione proietta, inoltre, nuova luce sul concetto di “inconscio”, proponendo l’esistenza di un “inconscio non rimosso”, in cui si depositano emozioni, esperienze, ricordi, semplicemente perché non hanno potuto accedere alla elaborazione della coscienza.
Ad essa, e alla dimensione intersoggettiva di cui è il fondamento, fanno riferimento, per citare solo qualche esempio, i “modelli operativi interni” dell’attaccamento di Bowlby [4], le “trame relazionali” di Threvarten [5], gli “schemi dell’essere con” di cui parla Stern [6].
Per quanto riguarda la psicoterapia sistemica, questa prospettiva permette, forse, nuove ipotesi interpretative su quegli aspetti latenti e profondi della vita affettiva familiare (sorta di “inconscio familiare condiviso”) che va sotto il nome di livello dei “miti familiari” [7]. A questo livello mitico, cemento emotivo profondo della famiglia, oggi, viene dato crescente rilievo, alla luce degli sviluppi epistemologici del pensiero sistemico [8,9]. La valorizzazione delle valenze implicite della dimensione dell’intersoggettività ha dato certamente un contributo a tali svilluppi.
Ma l’importanza dell’“implicito” nella dimensione intersoggettiva ha un altro specifico terreno di riferimento: quello dell’incontro e del cambiamento terapeutico, su cui ora vorrei brevemente soffermarmi perché mi pare un ulteriore punto di convergenza tra la concezione dell’intersoggettività e l’orientamento sistemico.
l’intersoggettività nella relazione e nel cambiamento terapeutico
Uno degli aspetti su cui, specie nell’ultimo decennio, si è particolarmente orientato il lavoro di riflessione e di ricerca di Stern riguarda l’area della relazione terapeutica e di come questa potesse diventare veicolo di cambiamento.
Data l’inevitabile bidirezionalità o circolarità della relazione terapeutica, quali sono le qualità essenziali che possono consolidarla e farne un’alleanza terapeutica aperta a potenzialità trasformative?
La risposta, per Stern, non consiste soltanto nella correttezza delle tecniche terapeutiche utilizzate o nella validità delle interpretazioni o nell’adeguatezza degli atteggiamenti del paziente, ma in quel “qualcosa in più” (il “something more”) che consiste nel contatto emotivo tra terapeuta e paziente, in ciò che potremmo definire empatia [1,10].
Emerge l’importanza della dimensione intersoggettiva, della quale, però, anche qui viene valorizzata, in particolare, la componente implicita perché sono i linguaggi relazionali impliciti che fanno più facilmente circolare messaggi affettivi.
«Il livello profondo degli accadimenti psicodinamici – afferma Stern – è il livello delle piccole interazioni tra le persone, ciò che esse fanno con i loro corpi, col tono delle parole, con la faccia; e qualsiasi interpretazione e narrazione della vita delle persone non può prescindere da questi aspetti» [2, p. 33].
Perché la relazione terapeutica diventi fattore di cambiamento è necessario, per Stern, che si apra a componenti empatiche, emozionali, affettive che vengono, allora, prevalentemente mediate da linguaggi impliciti.
Stern chiama questo tipo di relazione – che diventa “luogo” di cambiamento – “relazione emotiva implicita” in cui ciò che ha reale efficacia trasformativa va al di là delle tecniche (anche se non prescinde dalle tecniche) e concerne la capacità emozionale di “stare con” l’altro nel “momento presente” della relazione.
Anche nella psicoterapia sistemica la valorizzazione degli aspetti empatici della relazione tra terapeuta e sistema familiare si lega all’esperienza dell’utilità di linguaggi analogici che, da un lato, veicolano flussi emozionali attraverso la relazione terapeutica, dall’altro, attivano la creatività della famiglia nella ricerca condivisa di soluzioni di cambiamento.
Tornerò più avanti su questi aspetti, attraverso un’esemplificazione clinica, ma vorrei cominciare a porre qui un problema.
L’incontro con la famiglia pone il terapeuta in una situazione particolare, sia per l’intreccio complesso delle relazioni tra i membri della famiglia, sia per le stesse molteplici relazioni che il terapeuta deve tenere con loro e con la famiglia nel suo insieme.
È qui che la concezione dell’intersoggettività, di cui abbiamo visto finora i punti di convergenza con l’orientamento sistemico, trova, nella specificità del setting sistemico, inevitabili ostacoli limitativi. Almeno finché mantiene una dimensione diadica!
La domanda che si pone a questo punto è allora la seguente: “È ipotizzabile una dimensione triadica dell’intersoggettività?”.
L’INTERSOGGETTIVITÀ IN UNA DIMENSIONE TRIADICA
La risposta è affermativa e va al di là delle ipotesi perché si basa su dati molto ben documentati di rigorose ricerche cliniche. In particolare, quelle di Elisabeth Fivaz, che a lungo ha collaborato con Stern, e che, nelle sue osservazioni nella infant research, ha potuto evidenziare che, fin da età molto precoci (3-4 mesi), il bambino è capace di interagire simultaneamente con la madre e col padre. Non a caso Elisabeth Fivaz parla di “triangolo primario” [11], a sottolineare come esista una capacità di intersoggettività primaria, cioè legata alle primissime fasi dello sviluppo infantile, che assume un’articolazione triadica, coinvolgendo nello stesso momento entrambe le figure dei genitori.
Perché questi dati di ricerca sono particolarmente importanti per l’orientamento sistemico? Perché essi documentano con rigore scientifico uno degli assunti di base di questo approccio: la struttura fondamentalmente triadica delle relazioni umane.
La Fivaz ha descritto nel cosiddetto Lausanne Trilogue Play Paradigm (LTP) quattro configurazioni attraverso cui può estrinsecarsi l’intersoggettività triadica di cui il bambino di pochi mesi è capace.
Sono configurazioni, o scenari, che variano a seconda che il bambino si diverta a interagire contemporaneamente con entrambi i genitori, oppure tenti di coinvolgere chi dei due appare più distante o esterno nell’interazione già iniziata con l’altro.
Ma ciò che è interessante è che queste configurazioni interattive triadiche (e altre ancora) noi terapeuti sistemici – che, oltre che con gli individui e con le coppie, lavoriamo molto frequentemente con le famiglie – le vediamo costantemente in terapia, siamo testimoni di questi eventi di intersoggettività triadica.
Sono processi che chiamiamo “triangolazioni”, molto spesso attivati con l’intenzionalità di ridurre distanze, di colmare vuoti emotivi, di riconfermare bisogni condivisi di coesione.
E quasi sempre questi processi intersoggettivi utilizzano come canale privilegiato il linguaggio implicito, che si esprime quindi attraverso il veicolo corporeo, sia che questo linguaggio sia spontaneamente proposto dalla famiglia o attivato dal terapeuta.
Vorrei ora presentare una situazione clinica esemplificativa di queste considerazioni.
UN ESEMPIO DI INTERSOGGETTIVITÀ TRIADICA IN TERAPIA FAMILIARE
maurizio e la sua famiglia
Maurizio è un bambino di 7 anni e soffre di crisi d’asma da quando ne aveva 3. Nonostante le terapie farmacologiche e vacciniche, non si sono ottenuti stabili miglioramenti.
I colleghi della Clinica Pediatrica ce lo inviano per una terapia familiare ipotizzando l’esistenza di influenze psico-emozionali.
La famiglia è composta da 4 persone: padre: Luciano di 35 anni, contabile in una industria privata; madre: Maria di 33 anni, maestra elementare; figlio 1: Maurizio di 7 anni, studente di 2ª elementare; figlio 2: Stefano di 6 anni, studente di 1ª elementare.
le interazioni familiari
Le interazioni familiari sono quelle tipiche delle famiglie con disturbi psicosomatici, dominate da invischiamento ed evitamento del conflitto.
La madre è il personaggio centrale della famiglia; è lei che descrive con competenza i sintomi di Maurizio e le cure finora praticate.
Il padre è più periferico, seduto distante dalla moglie, a cui sembra delegare la gestione dei figli.
I bambini, in realtà occupano continuamente lo spazio tra i genitori, sono molto vivaci e la loro irrequietezza, in particolare quella di Maurizio, sembra aumentare alla minima avvisaglia di tensione tra i genitori, che paiono non riuscire a contenerli.
Si nota un forte coinvolgimento tra Maurizio e la madre, che ha chiesto alla scuola di non insegnare il pomeriggio perché “Maurizio non sopportava di stare troppo a lungo lontano da lei”.
la storia dei genitori e la relazione coniugale
Le storie dei due genitori sono entrambe segnate da eventi traumatici. Esse si accompagnano inevitabilmente a vissuti di perdita e a difficoltà di individuazione che, se non elaborati, rappresentano l’eredità profonda che ognuno porta con sé e che influenza l’incontro e la relazione col partner, perché ognuno proietta sull’altro l’attesa irrealistica che possa diventare compenso e riparazione dei propri bisogni irrisolti.
Ma si tratta inevitabilmente di aspettative illusorie che, nella delusione che le accompagna, provocano insoddisfazioni reciproche e aprono dolorosi vuoti affettivi.
la triangolazione e il mito familiare
È nelle situazioni descritte che la “triangolazione” di uno dei figli (ciò che precocemente accade a Maurizio) diventa un tentativo di colmare quei vuoti affettivi e di confermare la famiglia nel suo bisogno di coesione e di unità.
Ed è allora che acquista significato la costruzione di “miti di unità”, a cui tutti partecipano, come esigenza, spesso inconsapevole, di difendere la famiglia dal riproporsi di angosce irrisolte di separazione.
le sculture del tempo familiare
È un metodo di lavoro che abbiamo sperimentato ed elaborato, durante 20 anni di esperienza clinica, col nostro gruppo di ricerca.
Utilizza la tecnica della “Scultura Familiare”, che fu introdotta in psicoterapia da Virginia Satir negli anni ’70 e poi rielaborata da molti autori [12].
Consiste nella richiesta a ogni membro della famiglia di dare una rappresentazione visiva e spaziale dell’immagine che ha della famiglia, attraverso la disposizione dei corpi nello spazio, l’atteggiarsi delle fisionomie e delle posture, il gioco delle vicinanze e delle distanze, la direzione degli sguardi.
Ci troviamo, dunque, davanti a una rappresentazione del tutto analogica e non verbale che, solo dopo che la scultura è stata realizzata, può essere seguita da un commento dei singoli membri sulle sensazioni provate.
Nel nostro metodo di lavoro abbiamo caratterizzato le sculture come “Sculture del Tempo Familiare” chiedendo alla famiglia di rappresentarsi nelle tre fasi temporali: presente, futuro, passato [8].
L’interesse di questo metodo consiste nell’esplorare la dimensione diacronica del tempo in situazioni familiari in cui il ciclo evolutivo sembra bloccato. E la successione delle sculture permette il dipanarsi di una narrazione in cui, la famiglia racconta e svela se stessa: ma si tratta di una “narrazione” assolutamente suggestiva e sorprendente perché del tutto analogica [8,14,15].
Non è su questo che voglio soffermarmi, quanto piuttosto su una delle sculture realizzate dalla famiglia.
la scultura del presente della madre
La madre mette se stessa seduta su una sedia; poi colloca Maurizio sulle sue ginocchia e lo stringe a sé col braccio destro; mette Stefano alla sua sinistra, in piedi vicino a lei e lo abbraccia col braccio sinistro.
Finalmente colloca il padre, sul lato opposto della sedia, un poco più distante e più indietro e gli chiede di mettere la sua mano sulla spalla di Maurizio. Maurizio è voltato verso il padre e scambia con lui un sorriso.
Penso che questa scultura sia un esempio eloquente di intersoggettività triadica.
È la posizione di Maurizio il nodo cruciale della scultura: il bambino è coinvolto simultaneamente con entrambi i genitori e il coinvolgimento avviene attraverso il corpo: il contatto fisico diretto con la madre, lo scambio degli sguardi col padre. È, anzi, proprio il corpo di Maurizio che sembra rappresentare l’unico ponte di congiunzione e di contatto tra il padre e la madre, occludendo una distanza, colmando un vuoto.
Lo stato mentale condiviso che caratterizza l’intersoggettività è certamente un bisogno di coesione, un appello al “mito di unità”; ma esso si realizza emotivamente attraverso la disposizione e il contatto dei corpi. E nelle differenze singolari e individuali che, pure, sono condizione dell’intersoggettività (perché altrimenti ci sarebbe solo fusione), Maurizio, interrogato sulle proprie sensazioni dopo la scultura, può anche esprimere un personale bisogno: “sentivo un peso!”, che ancora una volta esprime una percezione corporea e allude, in modo significativo, a una situazione relazionale ed emozionale che può comprimere e spezzare il respiro.
Non so se Daniel Stern sarebbe d’accordo nel considerare come un “momento presente” questa immagine in cui qualcosa della famiglia si svela ed emerge, in cui ciò che accade nel presente è anche coagulo di storia passata, eredità trigenerazionale. Ma credo che rimanga confermato, in questa immagine familiare tutta analogica, quanto Stern ha insistentemente sostenuto: l’importanza dei linguaggi impliciti come fondamento dell’intersoggettività.
C’è una frase di Stern che sembra davvero un commento a questa scultura: «Prima delle parole – dice Stern – ci sono le azioni e i movimenti. Noi non possiamo comprendere niente delle parole se non ci muoviamo nello spazio e nel tempo, ma quando ci muoviamo nel mondo attraverso il tempo e lo spazio questo crea metafore primarie che emergono dall’esperienza corporea» [2, p. 34].
L’INTERSOGGETTIVITÀ COME CONCETTO INTERDISCIPLINARE
Vorrei ora sottolineare un ultimo aspetto: le grandi potenzialità dell’intersoggettività come concetto interdisciplinare che attraversa diversi indirizzi psicoterapeutici e diversi domini scientifici, producendovi feconde influenze e stabilendo con essi connessioni: con la psicoanalisi che è sollecitata a superare una visione esclusivamente intrapsichica a favore di una interpsichica e intersoggettiva (non a caso si sviluppa una psicoanalisi relazionale e intersoggettiva): con la teoria dell’attaccamento che è indotta a considerare un altro sistema motivazionale, quello dell’intersoggettività, finalizzato, come Stern ha sempre sostenuto [16] alla sopravvivenza e alla cooperazione; e, in particolare con un settore che ha un rilievo specifico: le neuroscienze.
Dalle neuroscienze arriva la “Bomba!”.
L’espressione non è mia: è quella usata da Daniel Stern in un memorabile dialogo con Gallese organizzato a Cagliari, nel 2011 da uno dei nostri Istituti, l’IEFCoSTRe.
In realtà la scoperta dei “neuroni specchio” da parte del gruppo di Parma di Rizzolatti e Gallese [13,17] apre prospettive di straordinaria importanza: essa sembra dare l’evidenza scientifica di una predisposizione neurobiologica della mente umana all’intersoggettività.
Ma questo allora significa che quella mente relazionale di cui abbiamo parlato all’inizio si ricongiunge al corpo in una ritrovata unità e che è il corpo, attraverso quei fenomeni imitativi di rispecchiamento che così efficacemente Gallese [18] chiama “simulazione incarnata”, che diventa il veicolo di fenomeni psicologici e relazionali di grande importanza, come l’empatia, l’immedesimazione emotiva con l’altro, la sintonizzazione affettiva [19].
Questi fenomeni nascono innanzitutto da una percezione corporea, come pre-condizione per ogni successiva elaborazione riflessiva [17].
In questa prospettiva, si riscoprono le intuizioni anticipatrici della filosofia fenomenologica.
Scrive Merleau Ponty [20]: «Il corpo è quello strano oggetto che usa le proprie parti come un sistema generale di simboli nel mondo; è attraverso questi simboli che noi in quel mondo possiamo essere a casa, comprenderlo, trovarvi il significato» Era la Fenomenologia della percezione del 1945.
Oggi le scoperte scientifiche mostrano la profonda validità di quelle intuizioni.
Daniel Stern ha avuto il grande merito di comprendere e valorizzare l’importanza dei linguaggi impliciti, analogici, metaforici, che, in qualche modo, passano attraverso il corpo, proponendoli come elementi fondanti della dimensione dell’intersoggettività, facendone ponte di connessione tra diversi territori disciplinari.
Ecco perché lo sentiamo così vicino al pensiero sistemico.
CONCLUSIONI
Vorrei concludere con una sua frase che mi piace citare spesso, perché mi pare l’espressione chiara non solo del suo modo di pensare, ma anche del suo sentire:
«La natura ha avuto la saggezza di non iniziare i bambini all’uso del linguaggio verbale prima di un anno e mezzo di età, per dar loro il tempo di apprendere come funziona veramente il mondo umano, senza la distrazione e la complicazione delle parole, ma solo con l’aiuto della musica del linguaggio» [1].
Daniel Stern ci ha insegnato ad ascoltare questa musica; e a permettere ai nostri pazienti e alle loro famiglie di ascoltarla con noi, perché è la musica delle emozioni e degli affetti, che risuona nelle corde profonde dei rapporti intersoggettivi e della stessa relazione terapeutica.
Questa è la lezione che Stern ci lascia.
Ma la sua musica personale, quella che lo rendeva capace di immedesimarsi nei bambini che osservava, quella che gli dava un entusiasmo e una curiosità quasi infantile verso ogni forma vitale, quella che gli consentiva di trasmettere calore, con immediatezza e semplicità in ogni relazione interpersonale, questa, che era la musica intersoggettiva di Dan, ci mancherà.
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