Disegni di famiglia e video-replay:
un metodo per l’impiego di compiti grafici
nella consultazione familiare per il bambino

Alessandra Melosi1


Particolarmente dedicato agli psicoterapeuti, l’articolo collocato in questa rubrica risponde all’esigenza di una sottolineatura: caratterizzando in modo diverso forme diverse di psicoterapia, non stiamo perdendo il senso dell’unità possi­bile intorno al concetto di psicoterapia?


Particulary addressed to psychotherapists, the article in this section answers to the need of focusing on the following consideration: by characterizing psychotherapy in different ways aren’t we loosing the sense of unity involved in the concept of psychotherapy?


Este artículo está dedicado a los psicoterapeutas, en él se trata de responder a la cuestión: definiendo de distintas maneras la psicoterapia, non se corre el riesgo de perder la unidad del concepto de psicoterapia?



«Quando s’iniziò a considerare il bambino nel suo contesto familiare,
si schiusero molteplici potenzialità. Introdurre la famiglia nella terapia
è come accendere la luce in una stanza buia:
alcune cose appaiono improvvisamente evidenti» 
Salvador Minuchin [1]


Riassunto. In questo lavoro l’autrice presenta un metodo di consultazione familiare, nell’ambito dei disturbi infantili, che prevede l’impiego di compiti di disegno e della tecnica del video-replay. I compiti congiunti di disegno, combinando i vantaggi di una tecnica proiettiva con quelli dell’attivazione di transazioni familiari, permettono, in tempi brevi, di svelare dinamiche significative del sistema familiare e di accedere alla sfera delle rappresentazioni soggettive dell’esperienza relazionale. Questi vantaggi vengono potenziati dal l’introduzione della tecnica del video-replay nella seduta successiva a quella dell’ese­cuzione dei disegni. La revisione delle sequenze relative allo svolgimento del compito, condotta seguendo determinati criteri di osservazione e di intervento, è volta a rendere visibile e plausibile la connessione dei problemi del bambino con le dinamiche familiari.

Parole chiave. Disturbi infantili, metodo di consultazione familiare, compiti di disegno, video-replay, linee-guida, restituzione.


Summary. Drawings of family and video-replay: a method for the use of graphic tasks in family consultation for children.
In this work the author presents a method of family consultation in the context of childhood disorders, which involves the use of drawing tasks and the video-replay technique. The joint drawing tasks, which combine the advantages of a projective technique with those of the activation of family transactions, allow to uncover significant dynamics of the family system in a short period of time and to access relational representations of subjective experience. These advantages are enhanced through the introduction of the video-replay technique in the second session after the session of the drawings. The revision of the sequences related to the performance of the task, carried out according to a series of observation and intervention-related criteria, is designed to make visible and plausible the connection between the child’s issues and the family dynamics.

Key words. Childhood disorders, consultation method with family, drawing tasks, video-replay, guidelines, restitution.


Resumen. Dibujos de la familia y video-replay: un método para el empleo de tareas gráficas en la terapia familiar con niños.
En este trabajo la autora presenta un método de consulta familiar en el ámbito de los trastornos infantiles, que implica el uso de tareas de dibujo y de la técnica del video-replay. Las tareas conjuntas de dibujo, teniendo las ventajas de una técnica proyectiva y las de la activación de transacciones familiares, permiten, en tiempos breves, de revelar la dinamicas significativas del sistema familiar y de acceder a la esfera de las representaciones subjectivas de la experiencia relacional. Estas ventajas vienen a ser potenciados por la introducciόn de la técnica del video- replay en la sesiόn siguiente a la de la ejecuciόn de los dibujos. La revisiόn de las sequencias relativas a la ejecuciόn de la tarea, conducta siguiendo criterios ciertos de observaciόn y de interveciόn, sirve para render visible y plausible la connectiόn entre los problemas del niño y las dinamicas familiares.

Palabras clave. Trastornos infantiles, método de consulta familiar, tareas de dibujo, video-replay, restitución.


PREMESSA

In un precedente articolo [2] sottolineavo che il lavoro congiunto con il bambino e la sua famiglia richiede al terapeuta di dotarsi di strumenti specifici per facilitare la partecipazione attiva del bambino alla seduta, per entrare in contatto con lui e meglio comprendere il significato individuale e relazionale del suo disagio. L’impiego di strumenti come il gioco e il disegno contribuisce a costruire un contesto in cui il bambino può esprimersi con il suo linguaggio preferenziale che è di tipo analogico anche quando possiede un vocabolario ricco [3].
Se poi utilizziamo questi strumenti sotto forma di compiti che coinvolgono bambini e genitori si giunge, in breve tempo, a svelare dinamiche cruciali del sistema familiare e ad accedere alle rappresentazioni cognitive e affettive dell’esperienza relazionale di ciascun membro.
Nel presente lavoro descrivo un metodo di consultazione diagnostica familiare in cui vengono impiegati compiti congiunti di disegno e la tecnica del video-replay. La stessa procedura viene seguita anche nei casi in cui, o per l’età del bambino (inferiore ai cinque anni) o perché l’esecuzione dei disegni non sembra fornire materiale sufficiente per un’accurata valutazione, si decida di ricorrere a compiti di gioco.
Ad oggi il metodo è stato applicato nell’ambito di problematiche infantili che, dal punto di vista della diagnosi individuale [4,5], si riferiscono prevalentemente a disturbi del comportamento, disturbi d’ansia e somatizzazioni.


LE DIVERSE FASI DELLA CONSULTAZIONE DIAGNOSTICA FAMILIARE

La consultazione diagnostica familiare è volta a cogliere il significato del sintomo del bambino e ad individuare le dinamiche relazionali che lo mantengono. Consiste in un primo colloquio preliminare con i soli genitori per poi proseguire, laddove ci siano le condizioni, con una seduta congiunta genitori-figli in cui vengono proposti compiti di disegno e una seduta successiva di visione del filmato del compito con una restituzione finale che apre al contratto terapeutico. Dalla consultazione può emergere l’indicazione a proseguire con sedute che vedono la famiglia nucleare al completo alternate a sedute con la coppia genitoriale in un processo che si sviluppa in base alle ipotesi sulla funzione del sintomo e agli obiettivi terapeutici.


Il colloquio con i genitori

Nel colloquio preliminare con i genitori vengono raccolte informazioni sul problema, su eventuali interventi precedenti, sulla famiglia nucleare e di origine, sulle interazioni intorno alle manifestazioni sintomatiche allo scopo di costruire le prime ipotesi sulla relazione fra il sintomo e le problematiche familiari. Vengono raccolte anche informazioni sulle tappe di sviluppo del bambino, sulla presenza di altri comportamenti sintomatici, sul carattere e sulle manifestazioni emotive per fare ipotesi sul modello di attaccamento e, nel caso di più figli, si indaga sul rapporto tra fratelli.
Al termine dell’incontro viene presentata e motivata una modalità di lavoro che prevede di conoscere il bambino all’interno del contesto familiare, alla presenza dei genitori e di eventuali fratelli. Ci si accorda con i genitori su come informare in modo semplice ma esplicito sia il bambino per cui hanno richiesto aiuto che gli altri figli sui motivi della convocazione, suggerendo di porre se stessi come persone che hanno bisogno di guida e consigli [6]. Si chiede di dare una spiegazione realistica ai bambini circa il motivo della convocazione familiare, ad esempio: “Siccome litighiamo tanto tutte le volte che ci mettiamo a tavola abbiamo chiesto aiuto ad una dottoressa che ci vuole conoscere tutti ...”, o “Abbiamo chiesto un aiuto per aiutarti a superare la paura di soffocare... ”.


La seduta con la famiglia e le prove grafiche

Nella prima seduta congiunta, è necessario entrare in contatto con il bambino (o i bambini quando ci sono fratelli) e verificare che le informazioni siano state date correttamente. Si chiede al bambino se conosce il motivo per cui è venuto e se la risposta è affermativa si domanda chi glielo ha comunicato e che cosa ha capito. Nel caso in cui la risposta sia negativa gli viene chiesto di indicare chi può spiegarglielo.
Nella maggior parte dei casi dopo la fase di conoscenza ed esplorazione si propone l’esecuzione dei disegni già nel primo incontro congiunto.
Le prove grafiche sono nello specifico il “Disegno a partire da uno scarabocchio” e il “Disegno Congiunto della Famiglia”.


Il “Disegno a partire da uno scarabocchio”

È una prova grafica individuale che precede l’esecuzione del Disegno Congiunto. Tale prova, mutuata dal modello di arte terapia di Kwiatkoska [7] che prevede la somministrazione di vari compiti grafici nel corso di sedute familiari, consiste nel chiedere a ciascun membro, in prima battuta, di “disegnare uno scarabocchio” e successivamente di “realizzare un disegno a partire dallo scarabocchio”, a cui dare un titolo..
Viene proposta allo scopo di creare una fase di “riscaldamento” per i membri della famiglia, in particolare gli adulti, che nella maggior parte dei casi hanno scarsa dimestichezza con il disegnare. Potrà essere utile anche ricordare loro come disegnavano da bambini e sottolineare l’utilità del disegno per lo sviluppo emotivo ed intellettivo dei propri figli. Attraverso i disegni individuali ciascun membro della famiglia comunica qualcosa di sé che in molti casi si rivela essere un elemento significativo.
Il terapeuta potrà scegliere di utilizzarne i contenuti quando i disegni o anche uno di essi sembrano offrire efficaci metafore da connettere con altri elementi emersi nel corso delle sedute e nel “Disegno Congiunto della Famiglia”.


Il “Disegno Congiunto della Famiglia”

Si deve ad Elizabeth Bing [8] l’elaborazione del “Disegno Congiunto della Famiglia”, come prova grafica da somministrare congiuntamente nella seduta familiare. Tale prova combina i vantaggi di una tecnica proiettiva con quelli di un compito che attiva transazioni familiari.
In Italia, il “Disegno Congiunto della Famiglia” è stato introdotto da Cigoli, Galimberti e Mombelli [9] che lo hanno impiegato nell’ambito della consulenza peritale. Gli autori hanno modificato la consegna prevista da Bing introducendo un aspetto cinetico che consiste nel chiedere di disegnare se stessi e gli altri “mentre stanno facendo qualcosa”, rifacendosi al Kinetic Family Drawing [10].
Il compito si può applicare a partire dai cinque anni, età in cui il bambino è capace di completare la figura umana, mentre con bambini di età inferiore è più indicata una situazione di gioco.
Ai membri della famiglia viene proposto di fare un disegno tutti insieme. L’istruzione utilizzata è la seguente: “Oggi vi chiediamo di fare un disegno assieme, di rappresentare come vi vedete ora, come famiglia, mentre state facendo qualcosa. Potete disegnare le persone in qualsiasi posizione sul foglio. Ognuno di voi può disegnare se stesso o gli altri, come preferisce, in qualunque modo pensiate di poter meglio rappresentare la vostra famiglia. Adesso ognuno di voi prende un pennarello per disegnare e tiene lo stesso colore fino alla fine del disegno” [2].
L’indicazione di mantenere lo stesso colore ha lo scopo di facilitare nell’analisi successiva del disegno l’individuazione di ciò che ciascuno ha disegnato. L’ambiguità dell’istruzione “ognuno può disegnare se stesso o gli altri” favorisce una variabilità di risposte nell’esecuzione e nella strutturazione del compito.
Il “Disegno Congiunto della Famiglia” può essere analizzato sia dal punto di vista del processo di produzione del disegno sia dal punto di vista del contenuto [8,9].
L’analisi del processo di produzione è volta a rilevare le dinamiche e le strategie della presa di decisione nel gruppo familiare, il clima emotivo, il prevalere di modalità tendenzialmente connesse o tendenzialmente separate nell’esecuzione del disegno. Quali decisioni vengono prese e come siano eseguite sono indici importanti di valutazione che rivelano il funzionamento della famiglia.
L’analisi del contenuto si riferisce sia al disegno di ciascun membro che al disegno complessivo, e alla relazione tra il disegno e i commenti verbali.


La seduta di revisione

Tecnica del video-replay

La revisione con i membri della famiglia delle sequenze videoregistrate fa parte integrante dei protocolli di valutazione diagnostica che prevedono l’impiego, nella seduta familiare con bambini, di compiti di gioco come il Lousanne Trialogue Play clinico [11] e il Test GM [12].
Tale procedura può essere applicata anche ai compiti di disegno che attivano transazioni familiari. In particolare il Disegno Congiunto della Famiglia ben si adatta ad un lavoro di revisione con la famiglia sugli scambi relazionali emersi nel corso dell’esecuzione del compito.
La tecnica del video-replay si basa sull’osservazione di interazioni reali e l’autovalutazione della famiglia stessa. La tecnica ha una doppia valenza legata sia alla funzione di strumento – osservare e valutare la famiglia – sia alla funzione clinica della consultazione. Consiste nel riesaminare, insieme alla famiglia, le sequenze interattive sviluppatesi intorno al compito, attivando così un processo di autosservazione [11].
Lo scopo è di rilevare i punti di forza e di debolezza delle modalità interattive della famiglia e di allargare la riflessione sulle narrazioni soggettive delle relazioni.
Se la famiglia si confronta con ciò che ha prodotto e viene aiutata a capire i propri sentimenti e comportamenti sarà più disponibile ad accogliere nuove riformulazioni del problema e ad avviare un processo di cambiamento che ha come principale obiettivo il rafforzamento del “noi genitoriale” [13] allo scopo di liberare i figli da funzioni inadeguate al loro processo di crescita.
La scelta di far partecipare o meno i figli alla seduta di revisione dipende dall’età e dal comportamento. I bambini più piccoli o molto irrequieti tendono a partecipare in modo discontinuo manifestando scarso interesse verso un lavoro che ricorre prevalentemente al canale verbale. Pertanto è preferibile rivedere il video al termine della seduta dei disegni, limitandosi a sottolineare brevemente alcuni aspetti molto evidenti, e rimandare ad una seduta con i soli genitori una revisione più approfondita. Al contrario i bambini più grandi e con una buona capacità di attenzione si mostrano interessati e in grado, se opportunamente coinvolti, di partecipare attivamente all’osservazione congiunta del video.


Criteri di osservazione

Prima della seduta di revisione il terapeuta rivede la videoregistrazione per riconoscere i passaggi e i segnali utili al processo di costruzione di nuovi punti di vista e di attivazione di dinamiche relazionali non disfunzionali. Per l’individuazione delle sequenze da sottoporre all’osservazione dei membri della famiglia nella seduta di revisione sono stati messi a punto criteri che si riferiscono ad aspetti specifici delle interazioni e dei comportamenti dei singoli (Tabella 1).



Appare evidente che nella osservazione del video si è scelto di privilegiare il livello delle interazioni a partire dalle quali verrà attivato, nella seduta di revisione, un lavoro sui significati, ovvero su come ciascuno percepisce ed organizza l’esperienza. Tuttavia non viene sottovalutato il piano simbolico che si riferisce ai contenuti del prodotto grafico (Tabella 2).





Linee-guida per la conduzione della seduta

Nella seduta di revisione viene data una consegna per la visione del filmato, simile a quella utilizzata nel Test GM [12], in cui si dice che verrà riguardato insieme il video del disegno e si chiede di osservare chi dei membri della famiglia prende l’iniziativa sia a parole che con i gesti o facendo proposte. I membri della famiglia possono chiedere di fermare il video in ogni momento se c’è qualcosa che vogliono segnalare o chiedere e il terapeuta farà lo stesso. Il terapeuta sollecita le osservazioni dei membri della famiglia e dopo averne ascoltato i commenti inizia a proporre il proprio punto di vista.
La revisione si basa su un lavoro volto a stimolare un modo di connettere eventi e significati che mette in discussione visioni rigide e inefficaci di sé e dell’altro. Il terapeuta procede con interventi di esplorazione e di ridefinizione con i quali collega in maniera nuova ma plausibile gli elementi emersi [14]. Non si seguono schemi preconfezionati ma vengono utilizzate delle linee-guida (Tabella 3) che, come una bussola, orientano il terapeuta nel mantenere una competenza perturbativa, ovvero capace di promuovere cambiamenti.
Allo scopo di esemplificare il lavoro, relativamente ai punti delineati nella Tabella 3, vengono di seguito riportati frammenti di sedute di diversi casi clinici, alcuni dei quali sono stati condotti in supervisione diretta nei corsi di formazione in psicoterapia.





Costruire un collegamento tra l’esperienza della seduta e la vita quotidiana

A partire da un commento su una sequenza osservata si passa all’esplorazione su ciò che accade a casa orientando i membri della famiglia a confrontarsi sulle proprie percezioni relative alla sequenza evidenziata [12].

Esempio clinico 1: bambina di nove anni che manifesta “paura di non riuscire a dormire” con conseguente difficoltà ad addormentarsi da sola e restare nel proprio letto. La famiglia è costituita dai genitori e due figli, la bambina e un fratello di sei anni. La richiesta di aiuto è per la figlia maggiore ma emergerà che i genitori si trovano spesso in difficoltà anche con il figlio più piccolo che manifesta comportamenti di tipo oppositivo.
Appena terminata la consegna del compito la madre assume un ruolo di leadership nell’esecuzione del disegno e la figlia si unisce rapidamente a lei. La terapeuta commenta che madre e figlia sembrano muoversi come una squadra. Il padre si pone in una iniziale posizione di attesa per poi adeguarsi alle scelte della “squadra delle femmine” e orientarsi verso una collaborazione con il figlio più piccolo che come lui si mostra incerto su cosa fare. L’organizzazione in squadre si riflette anche nella scelta dei personaggi disegnati: ciascun figlio disegna il genitore di sesso opposto e viceversa. La terapeuta chiede se accade anche a casa che si costituiscano due squadre così composte. La madre dice che non ci sono vere e proprie squadre ma avendo lei un “occhio di riguardo” per il figlio finisce per “farsi fregare da lui” e accade la stessa cosa tra il padre e la figlia. Il padre aggiunge che ciascun bambino mostra più attaccamento verso il genitore che non si fa “fregare”. Succede pertanto che ciascun genitore tenda ad essere più esigente e normativo con il figlio dello stesso sesso. I genitori, con queste osservazioni, se da un lato ampliano le informazioni sulle relazioni familiari in termini di alleanze preferenziali e stile educativo, dall’altro segnalano la presenza di difficoltà nel fare squadra tra loro.

Esempio clinico 2: bambino di nove anni con “paura di soffocare nell’inghiottire cibo solido” e ansia da separazione nei confronti della madre. La famiglia è composta dai genitori e due figli, il bambino e una sorellina di cinque anni.
La sorellina durante il disegno è stata molto attiva, iniziando per prima a disegnare e dando disposizione agli altri. Ha deciso di disegnare la madre e preteso che la madre la disegnasse. Ha inoltre impedito al fratello di intervenire sul proprio disegno mentre lei è intervenuta nei disegni degli altri membri della famiglia. La terapeuta commenta che la bambina sembra piuttosto determinata tanto da riuscire ad imporsi su tutti, genitori e fratello. “Anche a casa detta legge? In qual caso cosa fanno babbo e mamma, la lasciano fare come è avvenuto in seduta? E il fratello come reagisce di fronte a tanta determinazione, anche lui lascia fare?”. I genitori confermano che la bambina, anche a casa, tende ad imporsi sia con loro che con il fratello. La madre riconosce di non riuscire ad arginare la figlia per timore di farla soffrire e il padre rivela di aver rinunciato ad intervenire perché la moglie giudica come troppo duro il suo modo di porsi con i bambini.
Il processo di osservazione sulle sequenze e il confronto sulle diverse percezioni consentono di mettere a fuoco dinamiche rilevanti nella esperienza quotidiana della vita familiare.


Connettere il contenuto del disegno con sequenze significative

Attraverso il disegno il bambino esprime, meglio di quanto non riesca a farlo con le parole, il proprio vissuto emotivo nel rapporto con se stesso e con l’altro. Pertanto ciò che ha prodotto graficamente può essere collegato in modo congruo con sequenze interattive significative emerse nell’esecuzione del compito.

Esempio clinico 3: bambina con “paura di non riuscire a dormire” (esempio 1).
La bambina sceglie di disegnare la madre in un angolo del foglio, lontana dal tavolo di cucina intorno al quale gli altri membri hanno disegnato i personaggi, ma si mostra subito scontenta del disegno eseguito. Con un tono lamentoso dice di avere sbagliato e di non sapere come poter rimediare dal momento che il pennarello non può essere cancellato. Entrambi i genitori la rassicurano verbalmente che non è un problema ma è il babbo a proporle una possibile soluzione suggerendole di disegnarci sopra. La bambina decide di disegnare la figura della madre di nuovo, nella stessa posizione sul foglio, di piccole dimensioni rispetto ai disegni degli altri (Figura 1).
La terapeuta osserva che entrambi i genitori la rassicurano che non è un problema ma è il padre a proporle una via di uscita. “Succede anche a casa? Chi riesce di più a rassicurarla e a trovare vie di uscita?”. La madre dice che il marito è troppo accomodante con la figlia ma gli riconosce di essere più capace di lei nel rassicurarla.



La terapeuta commenta che la bambina, sia mostrandosi dispiaciuta e scoraggiata per l’errore fatto, sia nella modalità in cui disegna la mamma – la disegna di dimensione molto piccola rispetto ai disegni degli altri, nell’angolo del foglio – sembra segnalare una tensione interna, un misto di insicurezza e scontentezza di sé, ma anche la presenza di una qualche tensione nel rapporto con la mamma. Tensione che abbiamo modo di osservare “in vivo” poco dopo, in una sequenza successiva, quando la bambina chiede al padre di prestarle il pennarello. Il padre, dopo un iniziale rifiuto, cede alle insistenze della figlia mentre la madre interviene con decisione a porre un veto nel rispetto della consegna ricevuta. Tra le due si crea un conflitto in cui il padre non interviene. Questi sembra optare per un comportamento di “ritiro”, rimanendo in silenzio (non ostacola la moglie ma neppure la sostiene). Il conflitto tra la madre e la figlia si risolve con il cedimento della bambina.
L’interazione di tipo triangolare ci mostra che i genitori hanno difficoltà nel collaborare per affrontare i comportamenti della figlia. Questo dato è congruo con quanto ipotizzato precedentemente a proposito del funzionamento della squadra genitoriale.

Esempio clinico 4: bambino di otto anni, figlio unico, con comportamenti aggressivi e frequente minzione diurna. I genitori sono separati da circa due anni.
Nell’esecuzione del compito il bambino si pone al centro tra i due genitori. Questi non hanno scambi diretti tra loro ma solo con il figlio. Disegnano ai lati opposti del foglio una situazione in cui ciascuno fa qualcosa con il bambino. Il padre raffigura se stesso insieme al figlio mentre stanno giocando all’aperto e la madre se stessa insieme al figlio impegnata ad aiutarlo nel fare i compiti scolastici. Il bambino disegna se stesso da solo, in bicicletta di notte, espandendo il proprio disegno su entrambi i lati del foglio in modo tale che alla fine risulta avvolgere come in un abbraccio i disegni dei genitori, distinti e lontani (Figura 2). La terapeuta fa notare ai genitori che non ci sono scambi comunicativi tra loro e che comunicano solo con il figlio che, a sua volta, è molto attivo nel comunicare con entrambi. Nel proprio disegno, oltre che con il comportamento “il bambino sembra segnalare di essere impegnato nel tentativo faticoso di tenere insieme due realtà separate e molto diverse tra loro”. Il contenuto del disegno si presta ad essere una metafora efficace per una riformulazione della funzione relazionale del comportamento sintomatico.

Esempio clinico 5: bambino di dieci anni con disturbo di attenzione che interferisce con l’apprendimento. La famiglia è costituita da due genitori e tre figli, il bambino e due fratelli rispettivamente di otto e due anni.
In questo caso il bambino rappresenta nel proprio disegno una dinamica relazionale significativa. Disegna se stesso mentre sta giocando di nascosto ad un video gioco, nella propria camera e gli altri membri della famiglia, genitori e fratelli, nell’atto di sbirciarlo dalla porta socchiusa (Figura 3). La terapeuta commenta che il bambino sembra percepire di avere gli sguardi dei familiari puntati su di sé e gli chiede “nel disegno come sono gli sguardi dei tuoi genitori e dei fratelli, divertiti, preoccupati, di rimprovero?”. Poiché il bambino non riesce a definire gli sguardi dei familiari la terapeuta coinvolge i genitori chiedendo loro: “come mai vostro figlio si è messo in testa di avere gli occhi puntati addosso? Vi riconoscete nella rappresentazione che ha fatto di voi?”. Tutti e due i genitori concordano nel riconoscere di avere un’attenzione costante verso la lentezza con cui il figlio affronta i compiti scolastici e altre attività della vita quotidiana. I loro sguardi sono dunque carichi di preoccupazione e rimprovero. In special modo quelli del padre che rivede nel figlio difficoltà e comportamenti simili a quelli che lui stesso, sin da piccolo, ha avuto rispetto all’impegno scolastico.





Cogliere le discrepanze tra comportamenti e rappresentazioni soggettive

I processi di rappresentazione mentale sono basati e costruiti a partire dall’esperienza dell’interazione, più precisamente dall’esperienza soggettiva di “essere con” l’altra persona [15].
Un genitore è in contatto non solo con il figlio reale ma anche con ciò che il proprio figlio gli rammenta rispetto alla propria storia e alle figure per lui significative, e questa rappresentazione di una relazione influenza il decorso degli scambi e fa parte del contesto. Questo processo deve essere inteso come circolare, ossia visto anche dalla parte del figlio [16].
Cogliere discrepanze tra comportamenti e rappresentazioni consente di mettere in discussione punti di vista rigidi e atteggiamenti disfunzionali.

Esempio clinico 6: bambina di nove anni che manifesta ansia verso le prove scolastiche con conseguente basso rendimento, figlia unica in famiglia normocostituita.
La bambina si mette subito a disegnare mostrandosi competente e sicura nell’esecuzione del compito. I genitori non sembrano cogliere questo comportamento e interagiscono con lei come se si mostrasse incerta. La madre le chiede ripetutamente se è sicura di ciò che vuole disegnare, il padre le spiega la consegna e le dà consigli nonostante la figlia non abbia chiesto aiuto. La rappresentazione negativa che hanno della figlia sembra oscurarne la vista. La terapeuta rileva che la bambina sta affrontando il compito in modo sicuro e autonomo, ma babbo e mamma sembrano non vederlo. “Siete genitori molto attenti e protettivi anche quando non sembra necessario. Che cosa contribuisce ad offuscarvi la vista?”. Emerge che entrambi i genitori si ritengono persone insicure con esperienze scolastiche frustranti che pesano in modo significativo sulle aspettative ansiose che nutrono verso la figlia. La bambina a sua volta sembra essersi adattata alle rappresentazioni dei genitori mostrandosi fragile ed insicura in contesti come quello scolastico e amicale in cui si misura senza la loro protezione.


Evidenziare le interazioni che fanno persistere il problema

Il terapeuta relazionale è interessato ad evidenziare le interazioni che fanno persistere il problema. Si esplora il modello familiare introducendo l’idea della complementarietà, ovvero in che modo ciascuno contribuisce, inconsapevolmente, al persistere del comportamento sintomatico [17].

Esempio clinico 7: bambino di otto anni con enuresi secondaria, figlio unico in famiglia normocostituita.
Il bambino si mostra esitante nello svolgere il compito e la madre si attiva rapidamente sostituendosi a lui, mentre il padre, pur facendo trasparire dall’espressione del volto un moto di disapprovazione, permette che questo avvenga. La terapeuta commenta che “la mamma si mostra molto attenta alle incertezze di S. ed interviene rapidamente in suo aiuto. Cosa succederebbe se la mamma provasse a dare più tempo a S. o si limitasse ad incoraggiarlo senza sostituirsi a lui? O se il babbo provasse a fermarla e ad occuparsi lui del bambino?”.
Emerge che la madre percepisce il figlio debole e insicuro e come tale da proteggere. Nella propria esperienza di figlia ha sofferto per essersi sentita trascurata dai genitori e ancor prima di diventare madre si era riproposta di essere una madre attenta e protettiva. Inoltre non tollera intrusioni nel suo rapporto con il bambino perché, a suo dire, il padre perde rapidamente la pazienza arrivando a maltrattare verbalmente il figlio. Scenari alternativi sembrano bloccati da copioni ridondanti che vedono una madre ipercoinvolta con il figlio e un padre periferico che quando entra lo fa in modo inadeguato.

Esempio clinico 8: bambino di sei anni con comportamenti oppositivi, figlio unico in famiglia normocostituita.
Tra i genitori non ci sono scambi diretti, ciascuno è concentrato solo sul bambino, la madre gli dà consigli mentre il padre lo osserva in silenzio. L’iniziativa pare tutta nelle mani del bambino. 
La terapeuta osserva che “mamma e babbo sembrano così concentrati su C. tanto che nessuno dei due prende in considerazione la possibilità di consultarsi reciprocamente e di prendere una decisione comune, magari contrattandola con vostro figlio. Succede anche a casa? Cosa contribuisce al mantenersi di questo comportamento? Cosa potrebbe succedere se tra voi ci fosse una comunicazione diretta?”.
I genitori rivelano che da qualche anno vivono da separati in casa. Dopo un periodo di forte conflittualità che li aveva portati molto vicini alla separazione, hanno deciso di rimanere comunque insieme per il bene del bambino (l’enuresi era comparsa nella fase in cui la separazione pareva imminente). Le occasioni di confronto sono rare, tra loro è in atto una sorta di “guerra fredda”.
L’osservazione guidata delle sequenze e le domande facilitano l’esplorazione della natura del conflitto tra gli adulti responsabili dell’accudimento e della cura del bambino [17,18].


Ridefinire il comportamento del bambino in relazione alle dinamiche familiari

Attraverso la ridefinizione il terapeuta propone nuove ipotesi di spiegazione del comportamento sintomatico del bambino connettendolo alle dinamiche familiari.
Un punto di vista nuovo con cui guardare al comportamento sintomatico consiste nel riformulare positivamente una situazione etichettata in modo negativo. L’attaccamento all’interno della famiglia può far maturare una grande capacità di sacrificarsi “lealmente” [19]. Ridefinire un comportamento in termini di desiderio di salvare o aiutare un altro membro, o più membri, è utile ad evitare colpevolizzazioni e ad incoraggiare l’alleanza terapeutica.
Esempio clinico 9: bambina di undici anni, obesa con comportamenti oppositivi verso le prescrizioni dietetiche. La famiglia è costituita dai due genitori, entrambi in sovrappeso, e quest’unica figlia.
Al termine della consegna i genitori si mostrano esitanti nell’affrontare il compito, si chiedono come fare ma stentano a prendere una decisione. La bambina allora si attiva assumendo la leadership, è la prima a prendere il pennarello in mano, a proporre cosa disegnare e ad iniziare il disegno. Questa sequenza viene fatta scorrere chiedendo commenti. La madre afferma di essersi sentita “persa” all’inizio e il padre che “un foglio bianco da riempire è sempre un terrore e poi è partita lei e noi gli siamo andati dietro”.
La terapeuta commenta che “un po’ di incertezza su come eseguire il compito è frequente, si tratta di una situazione nuova, insolita soprattutto per gli adulti. Talvolta succede che siano i ragazzi a favorire il superamento dell’incertezza dei grandi prendendo in mano la situazione. È proprio questo che vostra figlia, sensibile ed attenta, fa da subito: è lei che prende l’iniziativa, fa proposte, prende decisioni”.
La terapeuta comincia ad introdurre una connessione tra l’incertezza dei genitori e il comportamento della figlia per poi passare all’esplorazione su ciò che accade a casa. “Succede anche a casa che quando la bambina coglie una qualche incertezza da parte vostra finisca per prendere in mano la situazione? Su quali questioni babbo e mamma si mostrano incerti e su quali riescono a porsi in modo chiaro e fermo?”.
Emerge che le incertezze dei genitori nel mettere in atto una linea educativa coerente e condivisa si esplicitano, oltre che nell’area dell’alimentazione – area critica anche per i genitori – anche nel non riuscire ad aiutare la figlia ad essere sufficientemente autonoma al momento di coricarsi e nel fare i compiti.

Esempio clinico 10: bambino di sei anni descritto come agitato e ribelle, fratello della bambina con “paura di non riuscire a dormire” (esempio 1).
Il bambino si è comportato nel corso dell’esecuzione del compito in modo adeguato e tranquillo finché non si è creata una tensione esplicita tra la madre e la sorella e un conflitto coperto tra i due genitori. L’avere colto questa sequenza ha permesso alla terapeuta di connotare positivamente il comportamento agitato del bambino, “così sensibile e attento alle difficoltà dei familiari da mettere in atto un intervento di distrazione per sollevarvi dalla tensione che si era sviluppata...” e preparare il terreno per una responsabilizzazione degli adulti volta a sollevare il bambino da un compito che può condurlo a sviluppare e mantenere comportamenti disfunzionali.

Esplorare i rapporti con le famiglie di origine

I figli non sono mai solo i figli della coppia genitoriale ma esprimono il legame con la storia familiare [13,20]. La famiglia di origine influisce sull’essere genitore, sullo stile educativo, sulle aspettative e distorsioni nel rapporto con i figli. Il rapporto intergenerazionale rappresenta un fattore cruciale che può, a seconda delle situazioni, divenire una grande risorsa o un serio ostacolo per l’esercizio della genitorialità.
Allargare l’esplorazione al rapporto con le famiglie di origine consente di analizzare la capacità del sottosistema genitoriale di connettersi e differenziarsi da esse.

Esempio clinico 11: bambino di nove anni con comportamento oppositivo ed encopresi secondaria. La famiglia è composta dai genitori, dal bambino e una sorella di quindici anni.
Il bambino si oppone all’esecuzione del compito. La madre lo prega ripetutamente ma invano di iniziare fino a proporgli di disegnare in cambio dell’acquisto di un giocattolo. Il padre cela a stento una crescente irritazione ma non interviene.
Dopo che i genitori si sono espressi sulla sequenza la terapeuta chiede “cosa pensano i nonni del comportamento del bambino e dei genitori?”. Emerge che la nonna materna, tra i nonni la più coinvolta nell’accudimento del bambino, si mostra svalutante nei confronti della figlia che ritiene poco capace di fare la madre e succube di un marito, a suo dire, violento. Il padre rivela che ci sono stati episodi, durante il fidanzamento e nei primi anni di matrimonio, in cui lui ha perso il controllo nel corso di litigi con la moglie e questo ha molto contribuito a che si costruisse, in famiglia, un’idea di lui come violento. Da quando hanno un figlio si è molto impegnato a controllasi, al prezzo però di limitare il suo ruolo paterno lasciando, di fatto, la crescita del figlio nelle mani della moglie e della suocera. A proposito della propria famiglia di origine racconta di aver molto sofferto per l’alcolismo del padre e di essersi allontanato dalla famiglia (i contatti con il padre e i fratelli sono sporadici) dopo la morte della madre.
In questo caso, la convocazione delle rispettive famiglie di origine è stata una scelta utile al processo terapeutico volto a restituire competenza e autorevolezza alla coppia genitoriale.


Restituzione

La seduta di revisione è anche finalizzata ad elaborare una “restituzione” che chiude la fase di consultazione e prepara la messa a punto del contratto terapeutico.
Qualora si sia scelto di rivedere la videoregistrazione con i soli genitori la restituzione verrà riproposta in una seduta successiva con il bambino presente in un linguaggio adatto alla sua età.
La restituzione è il frutto di una operazione di ricombinazione degli elementi emersi e sottolineati attraverso interventi volti a contestualizzare comportamenti e narrazioni dei membri della famiglia.
Il terapeuta restituisce ciò che è emerso dal compito integrandolo con i dati raccolti nei colloqui precedenti ed evidenzia le configurazioni relazionali e le tematiche affettive su cui orientare il processo terapeutico. La restituzione, seguendo uno schema ampiamente utilizzato dai terapeuti della famiglia, prende avvio da una riformulazione del comportamento sintomatico del bambino e individua i primi passi che i genitori devono compiere per la possibile risoluzione del problema. Mi riferisco ai movimenti, propri dell’approccio strutturale e strategico, centrati sull’attivazione di cambiamenti nelle abitudini familiari o nella sequenza interattiva problematica, alle prescrizioni volte ad avvicinare un padre periferico al figlio e ad aiutare la madre a fare un passo indietro, o ad avvicinare genitori che si oppongono l’un l’altro ed aiutarli a sostenersi a vicenda.
Talvolta si opta per una riformulazione del disturbo come segnale di un conflitto nella relazione del bambino con il suo mondo interno ed esterno [21,22] per poi sostenere i genitori nel compito di aiutarlo a superare tale tensione.
Prendiamo il caso del bambino con disturbo dell’attenzione (esempio 5). Il disturbo era comparso come ritardo nell’apprendimento della scrittura e lettura ed estrema lentezza nell’esecuzione dei compiti sin dall’ingresso alla scuola elementare. Ripetute valutazioni diagnostiche avevano escluso la presenza di un disturbo specifico dell’apprendimento ma le difficoltà persistevano sotto forma di “pigrizia” e scarso rendimento. Intorno al sintomo, come accade di frequente, i genitori avevano sviluppato un’attenzione preoccupata e comportamenti all’insegna dell’esasperazione. Al termine della seduta di revisione, viene proposta la seguente lettura del comportamento sintomatico: “L. con quella che lui stesso chiama pigrizia o lentezza, sembra essersi assicurato l’attenzione costante non solo di babbo e mamma ma anche dei fratelli. Peccato che lui sembra percepire la vostra attenzione come carica di preoccupazione e disapprovazione. Un bambino che sente gli occhi puntati addosso, come lui stesso ha segnalato nel proprio disegno, non può avere la mente libera per concentrarsi sui compiti...la sua attenzione finisce per essere troppo rivolta agli altri, ai loro pensieri e comportamenti, a quello che potrebbe succedere se lui non riesce a fare un compito o se fa troppi errori o qualcosa che non si deve fare. Per aiutare L. ad avere la testa meno affollata da sguardi preoccupati sarà utile che babbo e mamma riescano a rassicurarlo che i loro sguardi su di lui non sono solo di preoccupazione e rimprovero e che faranno il possibile per interrompere quel braccio di ferro che da troppo tempo si è sviluppato con lui. Intanto, quando cominciate a sentirvi irritati di fronte alla svogliatezza di L., provate a fermarvi e a dire ci fermiamo subito così evitiamo di arrabbiarci di più...”.
In un altro caso, quello del bambino che presentava una fobia specifica, come la paura di soffocare ingerendo cibi solidi (esempio 2), il sintomo era comparso qualche mese dopo un intervento chirurgico a cui si era dovuta sottoporre la madre. Il sintomo e i comportamenti di controllo sono stati ridefiniti come segnale di uno stato di allarme attivato dall’evento traumatico –“il timore di perdere la mamma è un boccone difficile da mandar giù”– che aveva sortito l’effetto di assicurargli una maggiore attenzione e vicinanza della madre. Quest’ultima aveva reagito al disagio del bambino intensificando nei suoi confronti un atteggiamento protettivo, presente già prima dell’esordio sintomatico. Allo stesso tempo era andata aumentando la distanza tra padre e figlio. L’osservazione dell’esecuzione del compito di disegno e il lavoro condotto nella seduta di revisione hanno fatto emergere come “una mamma sovraccarica e timorosa nel mettere dei limiti alle richieste dei bambini e un babbo che se ne sta in disparte sembrano aver contribuito, involontariamente, al persistere della paura di soffocare”. La condivisione delle osservazioni con i genitori ha favorito lo sviluppo di un’alleanza collaborativa allo scopo di restituire loro la capacità di contenere e curare la paura del figlio. Si è così concretizzato un movimento strutturale di avvicinamento del padre al figlio con il consenso della madre attraverso l’attivazione di giochi in seduta e a casa “per calmare e buttar via la paura”.
In altri casi si sceglie di proporre una riformulazione in positivo del comportamento problematico.
Nel caso della bambina obesa con comportamento oppositivo verso le prescrizioni dietetiche (esempio 9), la terapeuta aveva cominciato a introdurre la riformulazione nel corso della revisione del video a cui ha partecipato anche la figlia. La restituzione viene costruita a partire dalla ridefinizione in positivo del comportamento della bambina: “Grazie a quello che abbiamo potuto osservare pensiamo di avere colto un aspetto importante. Sotto quella che appare una piccola tiranna si nasconde una bambina sensibile e attenta allo stato d’animo di babbo e mamma, prontissima a cogliere ciò che percepisce come vostre incertezze o indecisioni e altrettanto pronta nel cercare di risolverle, decidendo per sé e per voi. Lo ha fatto nei primi minuti del compito prendendo in mano la situazione e dandovi disposizioni su cosa fare, lo fa a casa, rispetto al cibo, al dormire, al fare i compiti”. La bambina sembra essersi messa in testa che c’è bisogno di risolvere quello che lei considera un problema dei genitori ed è necessario trovare un modo per convincerla che non è necessario. Comportarsi come se fosse una tiranna sembra far crescere a dismisura il suo corpo e le impedisce di crescere sul piano emotivo e comportamentale. “Pensiamo che sia necessario che voi genitori facciate il possibile per convincere vostra figlia che non deve preoccuparsi di risolvere qualcosa che lei considera una vostra difficoltà, cioè che fate fatica a superare incertezze sul da farsi con lei”. Ai genitori viene assegnato un compito a casa “quando ognuno di voi si sentirà un po’ confuso, incerto su come porsi con la bambina o non è d’accordo su come l’altro affronta la situazione, dovreste provare a ritagliarvi un po’ di tempo per parlare tra voi – senza la bambina o altri familiari – allo scopo di trovare una linea condivisa in cui ognuno può essere di supporto all’altro nel portarla avanti”.
La restituzione è proposta non come un giudizio assoluto e definitivo ma come un modo plausibile di guardare a ciò che le persone mostrano e portano in terapia. Ha l’obiettivo di cogliere il significato individuale e relazionale del sintomo e costruire una nuova cornice che dia ai genitori la possibilità concreta di riconquistare una competenza con il figlio.
CONCLUSIONI

Formulare una diagnosi e costruire un intervento terapeutico significa avviare un processo di conoscenza orientato a individuare il percorso con il quale la sfera soggettiva e la realtà relazionale si incontrano. I compiti congiunti di disegno sono strumenti che si prestano efficacemente a questo processo poiché combinano i vantaggi di una tecnica proiettiva con quelli dell’attivazione di transazioni familiari. Nella dimensione proiettiva facilitano l’accesso alla sfera delle rappresentazioni soggettive, cognitive ed affettive dell’esperienza relazionale. In quanto attività condivise dai bambini e dagli adulti permettono di evidenziare le modalità interattive della famiglia.
I compiti di disegno, favorendo lo spostamento dell’attenzione dal paziente designato alle dinamiche di funzionamento dell’intero nucleo, consentono di rendere visibile e plausibile la connessione dei problemi del bambino con quelli dei familiari.
Questo vantaggio viene potenziato dall’introduzione della tecnica del video-replay nella seduta successiva a quella dell’esecuzione del compito. La revisione delle sequenze relative allo svolgimento delle prove grafiche, condotta seguendo le linee-guida indicate, è volta a stimolare un modo nuovo di connettere eventi e significati, tale da superare interazioni disfunzionali e visioni rigide e inefficaci di sé e dell’altro.
Condividere le osservazioni con il terapeuta facilita un maggior coinvolgimento della famiglia e rafforza la costruzione di un’alleanza di lavoro collaborativa necessaria per aiutare i genitori a percepirsi come attori attivi e consapevoli nel processo di cura del figlio per il quale hanno richiesto un intervento.
Il lavoro svolto nella seduta di revisione getta le basi per una restituzione finale con cui il terapeuta propone un punto di vista nuovo e condivisibile del problema del bambino insieme a ciò che può essere necessario fare per avviare un processo di cambiamento.
Infine, ma non meno importante, grazie agli strumenti descritti e al modo in cui vengono utilizzati, i tempi utili al raggiungimento della diagnosi, intesa come valutazione non solo degli aspetti problematici ma anche delle risorse, risultano molto contenuti.


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