Certezze e incertezze sulla formazione
nel confronto tra didatti…
… e ambivalenze negate dagli allievi:
la supervisione diretta nelle tesine d’esame

Maria Antonietta Gulino1, Gianmarco Manfrida2

Riassunto. Due didatti del Centro Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale di Prato si esprimono sulla supervisione diretta nella formazione degli allievi-terapeuti in un doppio intervento. Maria Antonietta Gulino riporta le differenze nella prassi didattica emerse all’incontro dei didatti del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale a Torino nell’ottobre 2011; Gianmarco Manfrida descrive come riduttiva e autocensurata l’immagine che della supervisione gli allievi forniscono nelle tesine che presentano all’esame finale. Ambedue cercano di andare al di là degli stereotipi e dei luoghi comuni con cui viene spesso descritta la supervisione diretta. Manfrida valorizza la complessità di questa situazione e ne attribuisce la capacità formativa, oltre che al valore clinico, esperienziale e didattico, anche alla sfida di maturazione richiesta all’allievo per fronteggiare le numerose ambivalenze insite nel rapporto con il didatta e con i compagni di corso.

Parole chiave. Supervisione diretta, terapia familiare, centro studi, formazione, psicoterapia.


Summary. Certainties and doubts about family therapy training according to supervisors…
…and denial of ambivalent feelings towards live supervision in trainees’ dissertation papers.
Two supervisors from Centro Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale of Prato express their opinions on live supervision as practised by family therapy schools connected to Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale, the school running the largest training program in Italy. Maria Antonietta Gulino stresses the differences in ways of doing live supervision with trainees emerging from the meeting of trainers she attended in 2011 in Turin; Gianmarco Manfrida does not trust the stereotyped image of live supervision as a comfortable protected experience helping to overcome beginners’ legitimate anxieties, rather he thinks that it represents an occasion for the trainee to grow up and gain confidence through confrontation with ambivalent aspects of his/her relationship with the trainer and the group of colleagues.
Key words. Live supervision, family therapy, psychotherapy school, pupils’ training, psychotherapy.


Resumen. Certezas y incertidumbres sobre la formación en un encuentro de supervisores...
... y ambivalencias negadas por los alumnos: la supervisión directa en las tesis de fin de curso.
Dos didactas del Centro Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale de Prato comentan sobre la supervisión directa en la formación de los terapeutas de la familia, alumnos del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale, la escuela que tiene más cursos en Italia. Maria Antonietta Gulino refiere sobre las diferencias entre las maneras de practicar la supervisión directa que han surgido durante un encuentro de supervisores en 2011 en Turin; Gianmarco Manfrida describe una imagen alternativa de la supervisión directa comparada con la estereotipada presentada frecuentemente por los alumnos en sus tesis de fin de curso, que la describen como una experiencia protectora de las anxiedades en el comienzo de la carrera psicoterapeutica. Manfrida cree que además de la ayuda clinica, la supervisión directa tenga valór y eficacia como ocasión para el alumno de madurar enfrentandose con las ambivalencias de la relación con el didacta y con los compañeros de curso.
Palabras clave. Supervisión formativa directa, terapia familiar, escuela de psicoterapia, fomación alumnos, psicoterapia.



Certezze e incertezze sulla formazione
nel confronto tra didatti…
Maria Antonietta Gulino



Lo scorso settembre a Torino ci siamo ritrovati di nuovo noi didatti del XX secolo, dopo Bari, Narni, Roma per riflettere e confrontarci su temi antichi, trattati, letti e discussi, che riscuotono sempre molto interesse. Tema del convegno, “La supervisione diretta”.
Il mio obiettivo è quello di articolare nella mente qualche pensiero e trasferirlo in parole per continuare, anche a distanza e non più in plenaria, a riflettere insieme.
Chi di noi può dimenticare il consiglio-monito di Bateson di apprendere per differenza? Lo insegniamo ai nostri allievi, proponiamo loro una epistemologia che legga la realtà usando strategie lontane dal senso comune.
Noi schiere di didatti armati di certezze teoriche, cliniche, formative nel contesto del convegno ci siamo lasciati andare a dubbi e incertezze. Dice Edgar Morin: «La conoscenza è una navigazione in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezze» [1], e intorno al tema della supervisione diretta (SD) durante il percorso di specializzazione di differenze negli stili delle sedi formative e negli stili dei didatti ne ho rilevate tante, alcune di grande interesse.

Differenze temporali: quando comincia la fase di supervisione diretta? Alla fine del primo anno, tra il primo e il secondo, alla fine del secondo…

Differenze sulla gestione della stanza di terapia: l’uso del citofono, quante volte? Le entrate del supervisore: intrusioni o aiuto?

Differenze sulla gestione delle fasi della terapia e responsabilità: chi fa il primo colloquio telefonico: l’allievo, il supervisore, la scuola? Chi gestisce i compensi e le fatturazioni?

Differenze sulla conclusione della seduta: la restituzione finale elaborata in gruppo con il supervisore è affidata a chi: all’allievo, al supervisore o alla coppia supervisore/allievo?

Differenze sulla scelta dei casi clinici: il livello di difficoltà e di gravità diagnostica deve essere crescente a seconda dell’anno di training oppure no?

Differenze riguardo al lavoro sull’allievo: intervenire sul controtransfert, sul qui ed ora della seduta o su entrambi?

Naturalmente la presenza di opinioni diverse non rappresenta un elemento di discredito per l’attività formativa di nessuno: la nostra sincerità intellettuale didattica non è garante di certezza poiché incontra costantemente i limiti di ogni conoscenza, e le nostre prassi formative possono manifestare diversità senza che ne conseguano diversi esiti.
La matrice sistemica comune ci dice che “comprendere” significa cogliere insieme (il testo e il suo contesto, le parti e il tutto, il molteplice e l’uno); che comprendere non è soltanto spiegare, ma che implica un processo di empatia, di identificazione, di proiezione, di coraggio e di generosità; che Scuola di Specializzazione vuol dire formare persone che sanno e possono muoversi dentro alla stanza di terapia con uno, due o più individui e che finita la scuola possono esercitare la professione applicando con coscienza e responsabilità ciò che hanno appreso. Dentro a questa ottica le differenze arricchiscono, creano la possibilità di scambi culturali, non omologano, hanno in sé il senso dell’evoluzione creativa intellettuale.
E a Torino, tra i didatti del Centro Studi, questo è accaduto, aprendo con curiosità al prossimo convegno che si terrà a settembre presso il Centro Studi di Prato per affrontare il tema della supervisione indiretta.



… e ambivalenze negate dagli allievi:
la supervisione diretta nelle tesine d’esame
Gianmarco Manfrida



Nel 1979, al mio primo convegno di terapia familiare all’ospedale psichiatrico di Roma, assistetti sbalordito all’intervento di uno psichiatra autoproclamatosi democratico che paragonava lo specchio unidirezionale alle feritoie per l’osservazione dei pazienti nelle porte delle celle dei manicomi. Il primato della politica intesa come liberazione degli oppressi, soprattutto ricoverati, e il conseguente fervore contro il potere delle tecniche, evidentemente, appannavano lo sguardo e restringevano la visuale, perché veniva trascurato che non era il singolo ad essere osservato attraverso lo specchio, ma un sistema familiare ed anche terapeutico.
Questo ricordo giovanile mi è rimasto impresso come esempio di idiozia collettivamente condivisa, e mi fa da vaccino contro il rischio di dare per scontate o per completamente veritiere molte affermazioni sulla supervisione diretta che si trovano in letteratura e nelle dichiarazioni degli allievi. Dopotutto, nel rapporto di supervisione vi è implicito uno squilibrio di potere, la cui analisi è solo ai primi passi: Laurie Markham e Jane Chiu denunciano, da ex allieve, questo problema su Family Process nel numero di dicembre 2011 [2]! Se indubbio è l’aiuto a mettersi in gioco per l’allievo, ma anche per il supervisore, tuttavia siamo abituati da anni di formazione scolastica e universitaria a difenderci dal potere didattico raccontando le cose come pensiamo siano gradite ai nostri insegnanti, strategia preclusa dalla supervisione diretta, dove si tratta di fare terapia e non di parlarne; che questa sia una situazione scomoda è dimostrato del resto dal fatto che a farsi vedere in azione si sottraggono anche molti didatti e personaggi prestigiosi, magari esibendo videoregistrazioni con qualche spezzone brillante piuttosto che sedute intere.
Sorprende, quindi, (o forse no?) trovare nelle tesine tanti accenni alla rassicurante protezione del didatta e al caloroso supporto fornito dal gruppo: nella realtà quotidiana infatti vediamo che la maggioranza delle allieve e degli allievi presenta sentimenti misti, in cui alla rassicurazione si affianca la paura della critica, alla preoccupazione che l’imminente terapia non decolli il sollievo se c’è un rinvio, all’ansia se il citofono non suona, l’angoscia se squilla… Tutte reazioni comprensibili e umane, perché la supervisione diretta è insieme una grande occasione per diventare terapeuti e un banco di prova privato e pubblico delle proprie attitudini e capacità, quindi un crogiolo in cui si mescolano e dovrebbero fondersi insieme personali insicurezze e doti di iniziativa, abilità relazionali multiple (anche nel rapporto con il didatta, mica solo con i clienti…) e suscettibilità individuali, ansia da prestazione e apparente disinvoltura, assunzione di responsabilità e delega della medesima al supervisore… Invece, le storie riferite nelle tesine riportano sempre il copione banale, socialmente condiviso, confermato da modelli letterari e cinematografici, del giovane timido e inesperto che, adottato e guidato dalla salda mano del mentore didatta e sostenuto dai suoi camerati e compagni (pardon, colleghi di corso!), supera, magari con qualche iniziale intoppo, la prova e giunge a promettente se non completa maturazione.
Non tutti i didatti e i gruppi in realtà sono sempre di supporto: è evidente che per mettersi alla prova di fronte ad un pubblico sarebbe meglio poter contare sulla sicurezza di un sostegno morale e pratico (verbali, cura degli apparecchi, silenzio…) e della storia condivisa di un anno di formazione, arricchita dello scambio dei genogrammi. Non per nulla a Prato non ammettiamo dietro lo specchio nessun tirocinante o persona estranea al gruppo... Tuttavia, esistono aspetti competitivi anche nei gruppi più curati, come pure si possono formare sottosistemi in base a simpatie, conoscenze pregresse, provenienza geografica, capaci di influenzare se non di compromettere il vissuto di condivisione. I didatti non sempre gestiscono questi aspetti di unione di gruppo in modo adeguato, e le conseguenze si vedono proprio al momento della supervisione diretta; ne ho sentiti anche attribuire alle difettose individualità degli allievi la causa di problemi in supervisione… una versione poco relazionale ma confortevolmente assolutoria del rapporto didattico!
La comprensibile ambivalenza verso la supervisione diretta è raramente descritta come tale nelle tesine degli allievi; altrettanto rare sono l’esposizione di personali punti di vista e descrizioni specifiche e sintetiche di quel che si fa, piuttosto che generiche e al tempo stesso pedissequamente dettagliate di quel che è avvenuto. Ad esempio, è più facile trovare riferimenti bibliografici “copia e incolla” da testi sacri che riflessioni sul processo terapeutico e motivazioni dei propri interventi… come se ancora l’ammirato/odiato supervisore fosse dietro lo specchio e ci si dovesse tenere nei limiti di sicurezza. Spesso le tesine sono una minuziosa raccolta di verbali in cui compare, minuto per minuto, una faccia sola di quel che succede, senza le riflessioni e le reazioni e gli interventi del terapeuta e del supervisore! “La madre dice che…, la figlia ribatte allora…, il padre interviene…; tale interazione ricorda quanto descritto dall’autore X e consente di definire la famiglia come nella fase Z… Intervengo per attivare le risorse positive della coppia coniugale (come?), unendo i coniugi (come?)… mentre offro supporto empatico alla figlia (come?)”. L’eccezione è rappresentata in genere dalla descrizione della conclusione della seduta, dove la frequente presenza di una restituzione fa capire meglio le intenzioni se non lo stile del sistema terapeutico: tuttavia, spesso anche questa è presentata come la parola del supervisore che l’allieva trasmette (come?) ai clienti, in modo fedele e quindi non criticabile.
Quasi sempre assenti sono riferimenti ai vissuti emotivi degli allievi durante le sedute, soprattutto a come vengono utilizzati; al contrario, quasi tutti specificano nelle tesine all’inizio e alla fine quanto, partendo dall’insicurezza giovanile, siano personalmente cresciuti nel corso della terapia diretta, cosa auspicabile e con ogni probabilità vera, ma troppo spesso espressa in modo generico e lasciata in capitoli separati, come se al momento della terapia la personalità dell’allieva sparisse.
È poi rarissimo che vengano espressi nelle tesine aspetti di ambivalenza nei confronti del supervisore, che invece sappiamo quanto sono frequenti nei quattro anni di formazione. Eppure è del tutto umano che in un rapporto di dipendenza formativa, sia pur temporanea, e di squilibrio di potere vi siano fasi di acquiescenza eccessiva ed altre di ribellione, di fiducia e di rabbia, di attaccamento e di protesta; quasi mai ne vengono descritte le conseguenze al momento della verità, nella supervisione diretta.
Naturalmente si può pensare che lo stile formativo adottato a Prato sia più stressante, responsabilizzante, autoritario, persecutorio, esigente etc. che in altri centri, o che alcuni didatti siano più schiaccianti e intimidenti di altri… ma siamo sicuri che così non ci si nasconda dietro l’immagine dei bravi insegnanti, come gli allievi dei bravi allievi? Credere troppo in una idilliaca realtà condivisa che fa comodo a tutti comporta il rischio di vivere fuori dalla realtà in cui poi i nostri clienti e i nostri allievi si troveranno ad agire, e con tutta la passione che ho per la supervisione diretta come modalità formativa sono convinto che si debba vederla in un’ottica complessa, piena di ambivalenze.
Personalmente credo che sia proprio dalla maniera in cui queste ambivalenze vengono gestite da allievi e didatti che si apprendono quegli aspetti fondamentali che vanno oltre le tecniche di psicoterapia: l’equilibrio necessario per sostenere una coscienza della realtà come non univoca, la resistenza a tentazioni narcisistiche, la pazienza di controllare le proprie frustrazioni immediate e investire sul futuro, la capacità di reggere la responsabilità per la vita altrui, il coraggio di mettere se stessi e la propria sicurezza dietro le esigenze di chi ripone la sua fiducia in noi.
BIBLIOGRAFIA
1. Morin E. I sette saperi necessari all’educazione del futuro. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2001; ed. or.  Les Sept Savoirs nécessaires à l’éducation du futur. Paris: Seuil, 2000.
2. Markham L, Chiu J. Exposing operations of power in supervisory relationships. Family Process 2011; 30: 503-16.