Le caratteristiche, i tempi e i personaggi
delle storie terapeutiche: analisi qualitativa
delle restituzioni conclusive nel Modello
delle Realtà Condivise
Gianmarco Manfrida1, Valentina Albertini2, Simona Gagliardi2


Il progresso scientifico si muove su due tipi di movimenti solo apparentemente contrapposti: quello delle ricerche che tende a verificare ipotesi già formulate e quello preparato dai dati che esso non spiega, portando alla formulazione delle nuove ipotesi. Inevitabile all’interno di una comunità professionale percepire come rassicuranti e lodevoli le prime, come pericolosi e da osteggiare i secondi. Sceglieremo per questa rubrica, all’interno di una letteratura ormai vastissima e spesso ripetitiva sulla terapia, lavori del secondo tipo. Parlando di “idea nuova” ne supporremo sempre il significato propositivo. Sperando di dare un contributo allo sviluppo di una scienza realmente “riflessiva”: capace cioè, nel senso di Bateson, di comprendere se stessa nel campo della propria osservazione.


Scientific progress moves along two lines which are only apparently in contradiction: one belongs to research which aims at verifying hypotheses already formulated, the other being prepared from data which the hypotheses do not explain and leading no formulation of new. Inevitable, for the professional community to perceive the former as encouraging and praise worthy and the latter as dangerous and hostile. For this section, a careful selection has been made from literature on therapy, today very extensive and often repetitive, concerning works of the second type. Referring to a “new idea”, we will always take it as a proposal while at the same time we hope to bring a contribution to the development of a really “reflexive” science: that is, capable, as Bateson says, of looking carefully into itself.


El progreso científico evoluciona en dos direcciones opuestas: una lleva a realizar investigaciones que tienden a verificar hipótesis ya enunciadas y la otra a realizar investigaciones que formulan nuevas hipótesis. Es inevitable que la comunidad de profesionales considere el primer tipo de estudios más confiables y elogiables mientras que los segundos, se consideren peligrosos y generadores de hostilidad. En esta sección han sido seleccionados solo trabajos del segundo tipo, dada la amplitud y a menudo la repetición de la literatura dedicada a la terapia. Al hablar de una “idea nueva” lo haremos siempre desde un punto de vista de propuesta, esperando poder contribuir al desarrollo de una ciencia realmente reflexiva que en el sentido de Bateson, sea capaz de auto observación.

Riassunto. L’articolo presenta i risultati di un’indagine qualitativa svolta presso il Centro Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale di Prato nel corso del 2009. Come materiale per l’indagine sono state utilizzate tutte le restituzioni conclusive di 119 sedute di terapia di 20 coppie e famiglie. Il materiale testuale, rappresentato dalle restituzioni che i terapeuti propongono alle coppie o famiglie alla fine di ogni seduta, è stato analizzato con una metodologia qualitativa seguendo due ipotesi di lavoro. La prima ipotesi, basata sul modello terapeutico delle Realtà Condivise di Manfrida, ha cercato di verificare se, come e quanto le caratteristiche di Plausibilità, di Convinzione e di Validità Estetica, previste dal modello narrativo utilizzato, emergano nelle restituzioni che il terapeuta predispone alla fine di ogni seduta. In questa fase del lavoro, l’indagine qualitativa si è concentrata sulla comprensione di come si possano costruire tali caratteristiche all’interno delle storie terapeutiche. Una seconda ipotesi di lavoro è stata ispirata dagli studi sulla Morfologia della Fiaba di Propp (1928), basati sull’identificazione delle funzioni e degli schemi di azione dei personaggi, aspetti che risultano presenti e costanti all’interno delle storie al di là delle specifiche variabili culturali e sociali. L’obiettivo di questa seconda analisi è quello di verificare quali personaggi, con quali funzioni e in quali tempi possano emergere all’interno delle storie alternative proposte nelle restituzioni del terapeuta.

Parole chiave. Storie terapeutiche, modello delle Realtà Condivise, funzioni di Propp, restituzioni conclusive, ricerca qualitativa.


Summary. Characters, features and timetables of therapeutic narratives: a qualitative analysis of therapists’ final interventions in the Shared Reality Model.
This article illustrates a qualitative investigation conducted in 2009 in the Family Therapy Centre (Centro studi e applicazione della psicologia relazionale) in Prato, Tuscany. 119 final interventions, proposed by therapists to patients at the end of all sessions, were qualitatively analysed according to two hypothesis. The first hypothesis based on the Shared Realities Model of Manfrida investigates if and how the qualities of plausibility, persuasiveness and appeal described by the model emerge in these final interventions, integrated in the new therapeutic narrative. The second hypothesis, inspired by Propp’s classic studies on the structure of tales (1928), argues that all tales follow the same typology of narrative structure, unbiased by cultural influence. The characters can be classed into 8 general types according to their functions. This second part of the study identifies the characters and functions that appear at different moments in the new narrative implemented by the therapist in his final interventions.

Key words. Therapeutic narratives, Shared Reality model, Propp’s functions, final interventions, qualitative research.


Resumen. Características, tiempos y personajes de las historias terapéuticas: una análisis cualitativa de las devoluciones en el Modelo de las Realidades Compartidas.
Se presentan los resultados de una investigación cualitativa realizada en el Centro para el Estudio y la Aplicación de la Psicología Relacional de Prato en el año 2009, utilizando como material las devoluciones de 119 sesiones de terapia con 20 parejas y familias. El material textual, osea las devoluciones que los terapeutas ofrecen a las parejas o familias al final de cada sesión, se analizó mediante una metodología cualitativa, de acuerdo con dos hipótesis de trabajo. La primera hipótesis, basada en el modelo terapéutico de las Realidades Compartidas de Manfrida, tenia el objetivo de averiguar cómo y cuanto surgen, en las devoluciones que el terapeuta prepara al final de cada sesión, las características de Plausibilidad, Credibilidad y Validez estética construidas según el modelo narrativo utilizado. En esta fase, la investigación cualitativa se ha centrado en la comprensión de cómo dichas características pueden ser desarrolladas en las historias terapéuticas. Una segunda hipótesis de trabajo se inspiró en la obra de Propp, “Morfología del cuento” (1928), basada en la identificación de las funciones y los patrones de acción de los personajes, aspectos que están presentes y constantes en las historias, más allá de las variables culturales y sociales. El objetivo de este segunda análisis fue averiguar que personajes, con que funciones y en que tiempos surgen en las historias alternativas propuestas por el terapeuta a través de las devoluciones.
PREMESSA
Questo articolo nasce da un lavoro di indagine qualitativa condotto presso il Centro di Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale di Prato nel periodo gennaio-novembre 2009. Per il nostro Centro, la scelta della metodologia di analisi qualitativa ha rappresentato il naturale esito dell’approccio epistemologico che utilizziamo nel lavoro terapeutico. La concezione della realtà come costruzione sociale di Berger e Luckmann [1] può essere, infatti, considerata uno dei fondamenti del costruzionismo sociale: questa teoria delinea la realtà come un processo socialmente costruito, dove le persone elaborano storie, idee e modalità comunicative che le aiutano a gestire la realtà e a confrontarsi con essa.
FILOSOFIA COSTRUZIONISTA E METODOLOGIA DI INDAGINE QUALITATIVA
Per quanto concerne la ricerca psicologica, il costruzionismo sociale è stato accolto con tiepido interesse, specialmente perché definire la realtà come costruzione presuppone la messa in discussione di alcuni assunti di base della psicologia sperimentale e generale, basati sul concetto statistico di “normalità”. Nella storia della psicologia, infatti, è sempre stata sottolineata l’importanza dei fattori individuali rispetto a quelli ambientali, legati al contesto e alla cultura: lo sviluppo delle ricerche sperimentali è andato nella direzione di un sempre maggior “controllo” con “esclusione” dall’impianto di ricerca dei fattori di contesto, che sono invece ritenuti di fondamentale importanza dal costruzionismo sociale.
Se la filosofia costruzionista ha scardinato il concetto di verità scientifica ha anche favorito l’emergere di nuove metodologie di ricerca più versatili e adattabili a differenti contesti, come la metodologia qualitativa.
L’attenzione verso i metodi qualitativi di raccolta ed analisi dei dati è andata aumentando negli ultimi anni. Per alcuni ricercatori, una caratteristica innovativa della metodologia qualitativa risiede nella sua capacità di valorizzare quelle persone che sono “marginalizzate” dalla società: proprio per questo gli studiosi più interessati agli approcci di tipo qualitativo sono stati gli psicologi di comunità [2-4]. La metafora del “dare voce” è stata più volte utilizzata per associare la ricerca qualitativa al cambiamento sociale [5,6], in quanto capace di smascherare il potere e il privilegio all’interno della società, che definiscono chi è destinato a parlare, su quali argomenti e con quali finalità. La ricerca qualitativa, concentrandosi sui margini delle curve gaussiane, sottovalutate dalla statistica perché al di fuori della densità della distribuzione normale, permette di focalizzare l’attenzione su fenomeni trascurati dalla ricerca quantitativa perché non “statisticamente rilevanti”. Questo tipo di approccio sembra adattarsi perfettamente alla terapia narrativa: anche nel modello di Michael White [7] nelle famiglie con un problema esiste una storia dominante, che risponde soprattutto allo scopo di mantenere un sistema di potere e sfruttamento (oppressione della donna, del diverso, del “paziente”, ecc.). L’obiettivo della terapia è far emergere una storia alternativa in cui l’oppresso non sia più oppresso. Il trasferimento di posizioni derivate dalle teorie del femminismo e di Foucault [8] alla terapia della famiglia ha condotto a considerare l’individuo schiacciato dal sistema famiglia così come se fosse oppresso dalla cultura dominante; così, il paziente in qualche modo deve essere “liberato”, diventando, appunto, l’autore della propria storia [9]. I ricercatori possono, quindi, utilizzare approcci qualitativi per aiutare persone prive di potere e riconoscimento a dare voce alle proprie storie [10-12]: allo stesso modo, questa metodologia può aiutare la ricerca ad analizzare come, in terapia, si aiutino la persone a «tornare autori delle proprie vite» [13] . Varie ricerche si sono infatti concentrate su questa capacità di “dare voce” alle narrative sommerse per favorire il cambiamento sociale [14].
Il nostro lavoro ha l’obiettivo di studiare con l’analisi qualitativa di contenuto le restituzioni elaborate nel corso di terapie narrative. Nello specifico, si è cercato di adattare il modello di analisi qualitativa proposto da Stein e Mankowski [14] all’ambito della psicoterapia narrativa. Secondo gli autori, la pratica della ricerca qualitativa è composta da quattro azioni fra loro correlate, definite asking, witnessing, interpreting, knowing. La prima azione, asking, prevede l’identificazione del target che sarà il focus della ricerca. Questa fase, a differenza del campionamento di tipo statistico, richiede un’attenta riflessione da parte dello staff sulle premesse e gli obiettivi della ricerca e sul perché dell’utilizzo della metodologia qualitativa. La seconda azione, witnessing, concerne la fase di raccolta delle storie dei partecipanti; la terza fase, interpreting, riguarda la creazione di senso co-costruita dal ricercatore sulla base delle storie raccolte. L’ultima fase, knowing, riguarda la creazione di codici utili alla strutturazione di nuove conoscenze, sulla base degli assunti della Grounded Theory [15]. Secondo la Grounded Theory, infatti, osservazione ed elaborazione teorica procedono di pari passo, in un’interazione continua. Il ricercatore scopre la teoria nel corso della ricerca, ponendo l’attenzione sui dati piuttosto che sulle teorie, le quali derivano dall’analisi dei dati, che sono locali e contestuali. In Italia, ci sono stati esempi di applicazione dell’analisi qualitativa a testi non strutturati in ambito clinico, con particolare riferimento a resoconti personali scritti da pazienti anoressici e a messaggi lasciati da persone che si sono suicidate [16], sebbene poi siano state utilizzate metodologie quantitative per l’analisi dei testi elaborati in maniera qualitativa.
L’analisi qualitativa, quindi, per gli elementi presi in considerazione, è da considerarsi una metodologia adatta alle ricerche nell’ambito della psicoterapia narrativa; analizzare le narrazioni terapeutiche secondo gli approcci qualitativi rappresenta una strada per individuare nuovi strumenti di verifica delle psicoterapie e può contribuire alla crescita teorica della psicoterapia narrativa.
IL MODELLO TERAPEUTICO DELLE REALTÀ CONDIVISE
La nostra indagine è centrata sull’intervento terapeutico, analizzato attraverso l’analisi qualitativa durante l’arco dell’intera terapia. Riteniamo che sia necessario, per poter svolgere terapie, condurre ricerche, valutare i risultati dell’intervento, che questo non sia affidato all’estemporaneità creativa del professionista ma che risponda a criteri riassumibili in un modello di riferimento anche nel campo delle terapie narrative, come già se ne conoscono per le terapie strategiche, strutturali, paradossali; un modello di riferimento che sia identificabile, riproducibile, insegnabile. Dopo che la terapia narrativa fondata sul costruzionismo sociale avrà trovato un modello di riferimento identificabile, riproducibile, insegnabile sarà possibile indagare quanto le storie terapeutiche vengano integrate in quelle banali dei pazienti individuali, delle coppie, delle famiglie e con quali effetti nelle loro vite. 
Il modello che è stato utilizzato per la conduzione delle terapie analizzate è quello delle Realtà Condivise di G. Manfrida [17] fondato sul citato lavoro dei sociologi P.L. Berger e T. Luckmann [1], che mettono la conversazione umana, socialmente appresa, a fondamento della nostra illusoria sensazione di stabilità e controllabilità del mondo, garantita da reciproche costanti, continue e inconsce conferme di una condivisa banale quotidianità. La realtà banale condivisa garantisce una identità personale e una prevedibilità del futuro al paziente e alle persone che costituiscono la sua struttura sociale di riferimento, ma al prezzo di tenere in ombra nei sottomondi sociologici alternative possibili alle routine di tutti i giorni e all’attribuzione e assunzione di ruoli relazionali rigidi e talora patogenetici. Nelle narrazioni dei pazienti, sommerse in un mare di banalità confirmatorie, compaiono a tratti – in modo incongruo, mascherato e sorprendente – delle discrepanze, squarci di racconti alternativi provenienti dai sottomondi sociologici, sfere di dati e di significati anch’essi socialmente condivisi e confermati, ma minoritari e relegati nell’ombra della consapevolezza.
Il modello delle Realtà Condivise prevede che, per essere efficaci, le storie terapeutiche devono essere:
– plausibili, cioè condivisibili sia dal paziente sia da altre persone significative, in modo da consentire di costruire una struttura sociale di conferma della nuova storia, scaturita da un sottomondo sociologico che si sostituirà al mondo della vita quotidiana precedentemente dominante e che viene rivelato dalle discrepanze nel racconto fatto al terapeuta;
– convincenti, cioè promosse e sostenute dal terapeuta con tecniche atte a sovvertire sul piano logico e su quello emotivo le precedenti opinioni del cliente e delle sue persone di riferimento;
– esteticamente valide, tali da coinvolgere le persone, rendendone più varia ed emozionante e meno restrittivamente banale la vita quotidiana.
Le narrazioni che si sviluppano in terapia hanno un inizio, uno sviluppo, una conclusione: partono dall’ascolto critico, attento alle discrepanze, del racconto banale dei pazienti, a cui segue la proposta di una storia alternativa plausibile, accettabile e confermabile dal paziente e dalla sua struttura sociale di riferimento. È la plausibilità che consente di proporre il brogliaccio della nuova storia e di definire il contratto che autorizza a lavorarci sopra; gli aspetti persuasivi fanno da ponte, rinforzando sul piano logico ma anche emotivo lo sviluppo della nuova storia; questa viene coronata infine sul piano estetico dal coinvolgimento paritario e dall’alleanza dei pazienti allo scopo di affrontare le sfide e realizzare insieme l’impresa proposta dalla nuova storia sviluppata in terapia.
IL METODO DELL’INDAGINE
Lo scopo della nostra indagine è stato quello di verificare se, come e quanto le caratteristiche di plausibilità, di convinzione, di validità estetica, previste dal modello narrativo utilizzato, emergano nelle restituzioni che il terapeuta predispone alla fine di ogni seduta.
L’indagine qualitativa svolta è mirata, quindi, alla comprensione di come si possono costruire tali caratteristiche delle storie terapeutiche e a rendere il Modello delle Realtà Condivise maggiormente comprensibile, descrivibile ed insegnabile.
Una seconda ipotesi di lavoro, che ha guidato la nostra analisi qualitativa, è stata ispirata dagli studi sulle fiabe di Propp [18] basati sull’identificazione delle funzioni dei personaggi, aspetti costanti al di là delle specifiche variabili culturali e sociali che si traducono in cambiamenti di figure, nomi, ecc. L’obiettivo di questa seconda analisi è stato quello di verificare quali personaggi, con quali funzioni e in quali tempi possano emergere all’interno delle storie alternative proposte nelle restituzioni del terapeuta.
Come materiale per l’indagine sono state utilizzate tutte le restituzioni conclusive di 119 sedute di terapia di 20 coppie e famiglie, elaborate insieme allo stesso supervisore, il professor Gianmarco Manfrida, e presentate da diversi terapeuti presso il Centro di Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale di Prato. Come concordato con i pazienti, alla fine della seduta il terapeuta si incontra da solo per dieci minuti circa con il supervisore, che ha assistito dietro lo specchio unidirezionale, e riporta poi una restituzione che presenta il punto di vista congiunto dei due su quello che è avvenuto in seduta e le loro opinioni; le restituzioni possono essere successivamente inoltrate via mail o consegnate scritte ai pazienti.
Le terapie prese in esame riguardano 3 casi di depressione, 4 di psicosi, 9 di problemi di coppia, 4 di difficoltà in età adolescenziale, allo scopo di verificare coerenza e variabilità delle restituzioni in diverse situazioni. La cadenza delle terapie prese in esame è di un incontro al mese; la durata media, senza significative differenze per problemi presentati, è di 6 sedute.
Il materiale testuale è stato inizialmente sottoposto ad un processo di “codifica aperta” [19,20], con lo scopo di ricondurre i dati a concetti generali che ne riassumessero il contenuto e significato, e sviluppare da questi i codici. Successivamente, i codici ottenuti dalla fase precedente sono stati assegnati ad uno di tre codici di maggior ampiezza, con l’ausilio del software Atlas.ti.
L’analisi delle funzioni narrative è stata svolta per ogni singola terapia piuttosto che per gruppi di terapie congiunte, per meglio isolare le singole funzioni ed analizzarle in seguito in maniera comparata.
RISULTATI: GLI ASPETTI PLAUSIBILI, CONVINCENTI ED ESTETICAMENTE VALIDI
Una prima parte dei risultati ha riguardato la ricerca degli aspetti plausibili, convincenti ed esteticamente validi all’interno delle restituzioni finali nelle terapie.
Viene presentata una tabella riassuntiva e di orientamento generale dei codici emersi dall’analisi qualitativa delle restituzioni finali (Tabella 1). Ciascun codice verrà dettagliato e spiegato singolarmente nelle figure successive.
Come si può notare, abbiamo progredito secondo diversi livelli di astrazione. Nella Tabella 1, emergono tre codici che rappresentano un livello di astrazione generale, riconducibili agli aspetti plausibili, convincenti ed esteticamente validi. 
Gli aspetti Plausibili (Figura 1) presentano link a 6 codici di livello inferiore: “prevedere il futuro”, “descrivere le caratteristiche personali”, “ridefinire i sintomi/comportamenti oggi”, ”ridefinire le aspettative”, “ripercorrere la storia”, “unire il presente al passato”.
Secondo la nostra analisi quindi sono questi gli aspetti che si devono tenere in considerazione per costruire una storia plausibile. Riportiamo degli esempi del testo selezionato:
Unire il presente al passato: «Tenere sotto controllo quei comportamenti appresi dalle vostre famiglie di origine: l’irruenza aggressiva di Francesca e il bisogno di compiacere gli altri di Lorenzo, che ancora interferiscono alla vigilia del matrimonio».



Ridefinire le aspettative
: «In questo senso interpretiamo come un tentativo di ricostruzione e condivisione la vostra richiesta di chiarire quel periodo parlando del quale vengono fuori buchi di memoria di Irene, ricordi dettagliatissimi dei 10 minuti fatali di Marcello, e momenti di commozione di Annunziata».
Secondo la nostra analisi gli aspetti Convincenti presentano un link a 4 codici di livello di astrazione inferiore, che i ricercatori hanno individuato in “giocare sulle emozioni”, “ironia/guadagnarsi la simpatia”, “previsione di fallimento/prescrizione paradossale”, “uso del terapeuta” (Figura 2).
Per esempio, ad una coppia che sembra accontentarsi di migliorare, ma non troppo, i propri rapporti, viene detto: «Avete già fatto aprire molti pacchi, come nel gioco televisivo, ne restano pochi dopo questi 4 anni: forse ci sono ancora dei premi più alti ma abbiamo l’impressione che stiate accettando l’infame proposta di un accordo da 125 euro. E dice Manfrida che forse fate bene: meglio di nulla…».
Gli aspetti Esteticamente Validi sono quelli definibili più “densi”, e presentano, infatti, link a più codici: “cambiare atteggiamento”, “(lavorare sulle) potenzialità”, “(fare) fronte comune”, “non accontentarsi” sono alcuni dei codici che sono emersi dal processo di codifica aperta. Gli aspetti esteticamente validi sono quelli che rendono appetibile il cambiamento terapeutico e, appartenendo alla sfera del “possibile”, consentono al terapeuta di spaziare senza dover rimanere strettamente aderente a ciò che i pazienti portano in seduta (Figura 3).
Riportiamo alcuni esempi di citazioni del testo che sono state raccolte all’interno dei codici citati:
Fronte comune: «Sembrate proclamare: forza, uniti, insieme alla faccia del mondo!».
Nuova vita: «Vi facciamo tanti complimenti per la vostra vivacità e la voglia di vita che trasmettete. Siete tornati ricchi di progetti individuali, più o meno espliciti».



In termini generali, questi risultati spiegano come è possibile costruire le storie terapeutiche in maniera da renderle plausibili, esteticamente valide e convincenti: ad esempio, possiamo affermare che il terapeuta, per puntare sugli aspetti
convincenti, dovrà giocare sulle emozioni, guadagnarsi la simpatia, ironizzare, fare prescrizioni e previsioni di fallimento ed utilizzare se stesso nelle restituzioni finali. Analogamente, per creare aspetti plausibili, dovrà concentrarsi sulla descrizione del futuro, sulle caratteristiche personali, sulla ridefinizione delle aspettative. Da una prima osservazione si può ipotizzare che esistono anche delle differenze nell’utilizzo temporale dei codici: ad esempio, gli interventi relativi alla plausibilità, rivolti a presentare una storia alternativa proveniente dai sottomondi sociologici dei pazienti rivelati da discrepanze nel racconto o negli atteggiamenti, sono concentrati soprattutto nelle prime sedute e sono ribaditi più degli altri, come a definire subito con le famiglie un’altra prospettiva sulla storia presentata. Nella fase intermedia della terapia si sviluppano i temi persuasivi, già accennati nei primi incontri: possono essere suggestivi, retorici, prescrittivi, provocatori, paradossali, poetici… Negli ultimi incontri si concentra invece la maggior parte degli interventi rivolti a rifinire e valorizzare dal punto di vista estetico la nuova storia sviluppata in terapia. Non si rilevano differenze significative, invece, nel dosaggio dei tre elementi delle storie terapeutiche a seconda della patologia, mentre sembra possano esservene in funzione della più o meno rigida aderenza del sistema coniugale o familiare alla realtà banale dominante: dove la storia presentata al terapeuta è più centrata sul sintomo, più ripetitiva e meno in rapporto con caratteristiche relazionali del sistema, si concentrano un maggior numero di interventi rivolti a valorizzare le discrepanze e l’aspetto di plausibilità della nuova storia, sostenuti con interventi persuasivi ma con minore enfasi su aspetti di coinvolgimento estetici.



RISULTATI: LE FUNZIONI E GLI SCHEMI DI AZIONE DEI PERSONAGGI
SECONDO IL MODELLO DI PROPP
La seconda parte del lavoro ha riguardato l’analisi delle restituzioni per ricercare se esistessero funzioni e schemi di azione dei personaggi riconducibili al modello di analisi proposto da Propp, il cui saggio “Morfologia della fiaba”, del 1928, può essere considerato il punto di partenza degli studi sulla struttura del racconto. Propp sostiene che le fiabe di magia affondano le loro origini storiche negli antichi riti di iniziazione e che presentano tutte, al di là dell’area geografica di provenienza, una stessa struttura, con elementi e azioni costanti indipendentemente dalla storia raccontata.
Propp individua nelle cosiddette “funzioni” gli elementi costanti e stabili che si presentano nel testo secondo un determinato ordine; le funzioni corrispondono al tipo di azioni e agli avvenimenti che ricorrono e cioè al cosa viene fatto. Le azioni che i personaggi compiono sono poche e si ripetono indipendentemente dalla loro identità e dal modo di esecuzione (come); i personaggi delle fiabe (chi), invece, possono essere innumerevoli e diversi.
Nel suo studio sulle funzioni, Propp identificò una struttura che propose come modello di tutte le narrazioni, individuando trentuno funzioni che compongono, con le loro varianti ed articolazioni interne, il racconto. Ogni sequenza rappresenta una situazione tipica nello svolgimento della trama di una fiaba, riferendosi in particolare ai personaggi e ai loro precisi ruoli (per es., l’eroe o l’antagonista). Sostanzialmente Propp è giunto a formulare questi principi:
– gli elementi costanti, stabili della fiaba sono le funzioni dei personaggi, indipendentemente da chi essi siano e in che modo le assolvano. Essi costituiscono i componenti fondamentali della fiaba;
– il numero delle funzioni che compaiono nelle fiabe è limitato;
– la successione delle funzioni è sempre identica;
– tutte le fiabe per struttura sono monotipiche.
Molte funzioni si uniscono logicamente in determinate sfere. Le sfere d’azione corrispondono nel loro complesso agli esecutori; pertanto Propp ha individuato 7 sfere d’azione legate a 7 personaggi:
1. sfera d’azione dell’Eroe: il protagonista della storia;
2. sfera d’azione dell’Antagonista: l’oppositore dell’eroe;
3. sfera d’azione del Falso eroe o Antieroe: chi cerca di spacciarsi per l’eroe;
4. sfera d’azione del Mandante: chi spinge l’eroe a partire per la sua missione;
5. sfera d’azione del Donatore: chi dà un dono magico all’eroe;
6. sfera d’azione dell’Aiutante: chi aiuta l’eroe a portare a termine la missione;
7. sfera d’azione della Principessa – il personaggio cercato – e del Re. 

Questa parte della nostra indagine ha, quindi, come obiettivo quello di identificare alcuni personaggi e alcune sfere di azione ricorrenti delle storie che emergono dalla terapia.
I personaggi e le sfere d’azione identificate ispirandosi al modello di Propp sono quelle presentate nella Figura 4.
L’eroe (Figura 5), nella maggior parte delle restituzioni, è la coppia o la famiglia stessa. Anche se alcuni membri possono assumere le sfere di azione dell’eroe in certi momenti e circostanze della storia, il terapeuta fa in modo da estenderle a tutti i membri, unendoli in una comune impresa eroica, compiuta o da compiere. Ad esempio, in una delle restituzioni analizzate, il terapeuta definisce la famiglia in modo positivo nonostante le difficoltà incontrate: «Però quando riuscite a stare insieme, sapeste quanti invidierebbero la faccia che fate!».
L’antagonista (Figura 6) è la persona o situazione che contrasta gli sforzi dell’eroe: nel racconto banale viene spesso individuato dai pazienti in una persona presente o assente, mentre nelle restituzioni diventano antagonisti situazioni e comportamenti che non dipendono direttamente o volontariamente da nessuno: «Siete ancora affettivamente inibiti, al di là delle vostre intenzioni, da nove anni di diffidenze e delusioni…».






Il
mezzo magico (Figura 7) è costituito dalla narrazione terapeutica che il terapeuta, corrispondente al donatore identificato da Propp, mette a disposizione per aiutare l’eroe (coppia o famiglia) nella sua nuova impresa: «In tal caso potremmo darvi l’indicazione di qualcosa da fare che potrebbe aiutarvi davvero, ma non vi diciamo cosa!».
In questo caso il “cosa” è il mezzo magico posseduto dal donatore-terapeuta che, attraverso la narrazione, lo donerà alla famiglia sottoforma di nuova storia.



Le
prove (Figura 8) imposte all’eroe sono un tema ricorrente delle storie, anche se abbiamo osservato che si presentano in maniera più frequente nelle prime sedute: si tratta di imposizioni che vengono dall’esterno, e consentono una ridefinizione in positivo di ciò che la coppia o la famiglia ha dovuto affrontare prima di arrivare in terapia. Talora altre prove vengono prescritte dal donatore terapeuta come aiuto per l’assunzione di un nuovo ruolo eroico: per questo in alcuni casi la frequenza di temi relativi al superamento di prove torna ad alzarsi in terza e quarta seduta.
CONCLUSIONI
In questo nostra indagine, l’applicazione dell’analisi qualitativa ha mostrato subito le sue potenzialità, ma anche le sue criticità. Il primo risultato che abbiamo raggiunto, infatti, è stato il pensiero che un lavoro del genere non poteva considerarsi concluso. Era importante procedere nell’applicazione dell’analisi qualitativa nelle terapie, e migliorare sia la strutturazione dei disegni di ricerca che la metodologia di analisi. È chiaro a noi per primi, infatti, il rischio di autoreferenzialità nel quale si può incorrere lavorando con materiale interamente incentrato sull’intervento terapeutico. D’altronde, abbiamo provato a partire dai dati, come ci suggerisce la teoria! L’analisi qualitativa delle restituzioni finali ha, comunque, messo in evidenza alcune modalità per costruire delle storie terapeutiche in base al Modello delle Realtà Condivise in modo riproducibile ed insegnabile.
Le regole generali dell’approccio non compromettono affatto le specificità delle singole storie, anzi potenziano gli aspetti persuasivi ed estetici della nuova narrazione. Come per Propp, cambiano i personaggi ma resta salda la struttura delle funzioni: «Allora la principessa incontrò il mago che le consegnò la bacchetta fatata per superare l’incantesimo della strega…» equivale a «La volpe consegnò alla contadina la sua coda che le indicasse agitandosi la strada per uscire dal bosco…». Nelle fiabe il magico e il meraviglioso pervadono la vita di ogni giorno, dimostrando che tutti possono vivere felici e contenti, che anche il povero può fare fortuna e che ognuno ha di fronte a sé delle prove da superare per ottenere una vita migliore. In questo senso può essere utile nelle restituzioni terapeutiche fare riferimento ai personaggi delle fiabe e alle loro azioni per affrontare metaforicamente i problemi reali e specifici dei pazienti ed aiutarli a rivedere le proprie storie personali, di coppia, familiari. 






È la valorizzazione delle specificità delle singole narrazioni che rende le storie plausibili, convincenti e belle e quindi, in presenza di tutte e tre queste caratteristiche, terapeutiche. Non sempre è possibile giungere alla completezza di questi risultati, perché la realtà banale dominante, quotidiana, può essere molto rigida, specialmente quando gode di conferme esterne, sociali o personali, significative, o è in piedi da molto tempo; del resto, non tutte le magie funzionano completamente e comunque costano sempre a clienti e maghi molta fatica e molto impegno. Tuttavia, le specificità delle singole storie rappresentano anche per i maghi terapeuti una salvaguardia dalla noia, dalla ripetitività e dal burn-out, e fanno del loro lavoro l’occasione per vivere mille altre storie, mille altre vite.
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