Emozioni maschili

Alberto Penna1

1 Docente Scuola Mara Selvini Palazzoli di Milano.

Riassunto. Questo articolo evidenzia alcune conseguenze sulla gestione delle emozioni tra gli uomini. Il mondo scientifico descrive sistemi emotivi più simili che diversi tra i due sessi, con alcune scoperte addirittura contro intuitive. Conoscere da vicino l’emotività maschile offre diversi vantaggi per noi terapeuti: può renderci capaci di essere più pronti ad accogliere, anziché lasciar cadere, le emozioni espresse dai pazienti uomini. Possiamo a nostra volta aiutare gli uomini a contattare le loro emozioni, come la tristezza e la paura; diminuire la rabbia che viene usata come emozione jolly e infine migliorare il sistema emotivo della cura, che condividono con le donne. Il tutto a vantaggio delle loro capacità relazionali e della felicità, che deriva dall’avere maggiore consapevolezza emotiva e conseguente vicinanza con le persone. Possiamo infine aiutare le pazienti donne a comprendere il mondo emotivo maschile.

Parole chiave. Emotività maschile, sistema emotivo della cura.

Summary. Male emotions.

This article highlights some consequences about the management of emotions between men. The scientific world tells of emotional systems more similar than different, between the two sexes, with some discoveries even counter intuitive. Getting to know men’s emotions up close offers several advantages for us therapists: it can enable us to be more ready to welcome, rather than letting go of, the emotions expressed by male patients. We can in turn help men contact their emotions, such as sadness and fear; decrease the anger that is used as wildcard emotion and finally improve the emotional system of care, which they share with women. All to the benefit of their interpersonal skills and happiness, which comes from having greater emotional awareness and consequent closeness with people. We can finally help women patients understand the male emotional world.

Key words. Men’s emotion, emotional system of care.

Resumen. Emociones masculinas.

Este artículo evidencia algunas consecuencias sobre las emociones entre hombres. El mundo científico habla de sistemas emocionales más parecidos que diferentes entre los dos sexos, con algunos descubrimientos incluso contra intuitivos. Conocer de cerca la emotividad masculina ofrece varias ventajas para nosotros los terapeutas: puede hacernos capaces de estar más dispuestos a acoger las emociones expresadas por los pacientes hombres, en lugar de dejar caer. Podemos, a su vez, ayudar a los hombres a ponerse en contacto con sus emociones, como la tristeza y el miedo; disminuir la ira que se utiliza como emoción comodín y finalmente mejorar el sistema emocional del cuidado, que comparten con las mujeres. Todo ello en beneficio de sus capacidades relacionales y de la felicidad, que deriva de tener mayor conciencia emocional y consiguiente cercanía con las personas. Por último, podemos ayudar a las pacientes mujeres a entender el mundo emocional masculino.

Palabras clave. Emotividad masculina, sistema emocional del cuidado.

PREMESSA: QUALI EMOZIONI?

In questo articolo ci si basa su due testi che vengono considerati capisaldi per la riflessione sulle emozioni. Ekman [1] descrive sei emozioni universali, da lui riprese a partire dai primi studi di Darwin [2]. Queste sono emerse da ricerche sulle espressioni emotive facciali in popoli tra loro molto diversi in quanto a geografia e cultura: paura, gioia, tristezza, disgusto, sorpresa, rabbia.

Panksepp, nel suo monumentale e analitico “Archeologia della mente” [3], descrive sette sistemi emotivi: desiderio, rabbia, paura/ansia, sessualità, cura, tristezza/panico, gioco. Se questi due autori tracciano il quadro di insieme delle emozioni, per gli uomini esiste un deficit su 2/6 delle emozioni descritte da Ekman: paura e tristezza. Se consideriamo i sistemi emotivi di Panksepp, invece, il deficit arriva a 3/7: paura, panico, cura.

Per sensibilizzare su questi aspetti è stato pubblicato un “Manifesto per le emozioni maschili” [4].

Le emozioni di base sono ugualmente presenti negli uomini e nelle donne, ma vengono vissute in modi molto differenti.

La tristezza

Nella sua prima seduta individuale Gianni mi racconta di come la fidanzata sia spesso spaventata dalle sue manifestazioni di rabbia, anche se non è mai stato violento con lei. Gli ha caldamente consigliato una terapia, ed eccolo davanti a me. Un giovane ventiquattrenne intelligente, brillante, simpatico, con lo sguardo penetrante, magro e con un metabolismo che si intuisce forsennato. Mi faccio raccontare un esempio di cosa lo fa arrabbiare a tal punto da spaventare la sua ragazza. Ricorda che qualche giorno prima lei gli aveva comunicato che non sarebbe potuta venire al mare (per questioni economiche) e lui aveva avuto un’esplosione di rabbia.

Con poche domande riguardanti le emozioni profonde che provava, sotto la rabbia si fa strada un’emozione che lo stupisce: la tristezza. Non venendo al mare, la fidanzata gli sarebbe mancata e questo lo rattristava. Non lo aveva mai immaginato.

Questa breve finestra clinica illustra una dinamica molto frequente nel mondo maschile: la scoperta che sotto la rabbia spesso esistono emozioni diverse, che rivelano un bisogno di vicinanza e affetto poco conosciuti. Che ci sia altro sotto la coltre dell’ira dovrebbe essere facile intuirlo per un clinico: quando gli episodi scatenanti non riguardano attacchi o ingiustizie, ma allontanamenti o assenze, da qualche parte dovremo trovare la tristezza, quando non addirittura panico e paura. Basta leggere il capitolo di Ekman [1] sulla tristezza che ci spiega a cosa è associata: «Qualunque cosa può rattristare, ma soprattutto le perdite. Perdita causata dalla morte o dall’abbandono di una persona amata. Perdita di un’opportunità o di una gratificazione a causa di errori, circostanze o interventi altrui. […] La tristezza è un sentimento passivo, non attivo».

Queste semplici e chiare parole dovrebbero instradarci anche nel viceversa: se c’è una perdita, da qualche parte si nasconderà la tristezza.

La rabbia invece emerge quando siamo attaccati o subiamo un’ingiustizia, per cui possiamo facilmente capire se l’emozione è congrua o no rispetto alla situazione scatenante. Nel caso di Gianni si potrebbe anche individuare una forma di ingiustizia (“non è giusto che tu non venga”), tuttalpiù come aspetto secondario, mentre nello scambio con la fidanzata la rabbia è assolutamente preponderante, al punto da cancellare ogni altra emozione.

Vediamo un altro esempio maschile.

Jonathan e Grace vengono in terapia di coppia a seguito di un tradimento che lui ha commesso verso sua moglie. Nella seconda seduta portano ognuno un collage che rappresenta la relazione tra loro. Quello di lui impressiona per la massiccia presenza di immagini di coppie, quasi tutte in atteggiamenti affettuosi e di complicità. Quando gli restituiamo questa notevole presenza gli chiediamo se per lui la vicinanza di sua moglie sia più necessaria di quanto appaia. Jonathan inizia a piangere, stupendosene e commentando che non sa come mai, ma che è vero: lui ha sempre avuto un profondo bisogno di vicinanza e affetto. Tutto questo non è però visibile nel comportamento quotidiano, nel quale compare più frequentemente l’irritazione e il risentimento, con il risultato che si ritrova spesso solo e isolato.

Anche in questo caso un profondo e nascosto bisogno di calore e vicinanza trova una via di uscita per esprimersi chiaramente solo in un momento della terapia. E in entrambi i casi i protagonisti si stupiscono di scoprire reazioni emotive così nette, che rivelano la somiglianza del loro mondo emotivo con quello delle donne.

Giochiamo per un attimo con la realtà, immaginando che al posto del giovane del primo caso ci trovassimo di fronte a una donna. Come reagirebbe? Se il fidanzato non fosse potuto venire al mare per questioni economiche, probabilmente lei avrebbe espresso apertamente il dispiacere e la tristezza per una gita in sua assenza. Questo a sua volta avrebbe avvicinato lui, a prescindere dalla possibilità di andare o meno al mare. Il risultato sarebbe stato un maggiore calore. Proprio l’opposto del risultato ottenuto da Gianni.

Le emozioni confermano quindi la loro universalità, sia se consideriamo quelle illustrate da Ekman [1], sia i sistemi emotivi descritti da Panksepp [3]. La sfida che ci prospettano è di pensare al mondo emotivo maschile e femminile come quasi uguali; questo ci porta a fare e farci le stesse domande nei due casi: se la situazione è simile a una perdita dove si trovano la tristezza o il panico? Se invece è una minaccia o un pericolo, dov’è la paura?

La paura

Lo stesso ragionamento possiamo applicarlo a un’altra delle emozioni di base illustrate da Ekman [1] e da Panksepp [3]: la paura. Gli uomini condividono difficilmente un’emozione come questa e il risultato è simile a quanto appena illustrato.

Una coppia ha passato un periodo molto drammatico quando uno dei figli si era ammalato di meningite. Al rievocare quei difficili giorni è soprattutto lui a piangere, anche in questo caso stupendosene, quando lo psicologo gli chiede se in quel periodo si era spaventato. La domanda è bastata a fargli ricontattare la paura e a farla emergere. Mentre piange la moglie lo guarda stupita e intenerita allo stesso tempo, prendendogli la mano. Ammette di non aver considerato fino a quel momento la paura del marito. Ricorda che lui era stato molto protettivo con lei, evidentemente sforzandosi di non mostrare i propri sentimenti per confortarla.

Che cosa quest’uomo ha guadagnato dal nascondere la propria paura? Probabilmente ha rinforzato l’immagine di persona responsabile, solida ed equilibrata alla quale fare riferimento. Trattenere la paura non gli ha però permesso di farsi confortare a sua volta dalla moglie; in situazioni analoghe entrambi i genitori sono messi a dura prova, la reciproca consolazione aiuta a tenere salda la coppia e a mitigare il dolore. Si è ritrovato quindi anche solo, in una visione forse eroica dell’uomo come colonna o pilastro della propria famiglia, che non deve mostrare cedimenti.

C’è anche di più. Panksepp [3] ci spiega che la paura non è associata solo a momenti di minaccia o pericolo come una rapina, un’aggressione, un terremoto. Per un bambino anche la solitudine produce uno stato di paura che sfocia nel panico. Come quando resta solo perdendosi in un supermercato: la mancanza dei genitori, cioè di chi ne ha cura, fa scatenare questi sentimenti molto intensi. A quell’età il trauma è rappresentato dalla solitudine stessa. Questo ci aiuta a capire che anche da adulti il panico, non solo la tristezza, può essere associato alla solitudine.

Quando mio figlio aveva tre anni successe un evento che per qualche minuto mi trasmise una grandissima paura. Ero in vacanza con i miei due figli e stavamo passeggiando la sera sul lungo mare, pieno di persone e bancarelle, quando lo persi di vista. Per quasi dieci minuti non seppi dov’era finito. Ero insieme a mia figlia, di qualche anno maggiore, che iniziò subito a piangere e a disperarsi aggrappandosi a me, certa che non lo avremmo trovato mai più. Finalmente lo rivedemmo, grazie ad una famiglia che lo aveva notato camminare come un automa, da solo, pietrificato dalla paura, silenzioso e con lo sguardo vitreo. Lo aveva fermato iniziando a tranquillizzarlo intanto che ci cercavano.

Ricordo ancora il sollievo immenso che provai, e finalmente lo sfogo di mio figlio, che iniziò a piangere singhiozzando per la paura appena passata.

Essere pietrificati è uno dei segni più evidenti del terrore, emozione che mio figlio provò avendomi perso di vista. Non era accaduto un evento traumatico: era stato perdersi in una situazione insolita e più grande di lui a scatenare il panico. L’abbraccio che seguì fu uno dei più toccanti che ricordo; passammo tutto il tempo necessario a smaltire l’ondata di panico (compreso il mio), cioè parecchi minuti [5]. Tornerò più avanti sulla relazione tra le emozioni maschili e la rielaborazione dei traumi.

Secondo Panksepp [3], quando si fa rievocare alle persone un’esperienza in cui provarono tristezza, si accendono anche le aree del panico e della sofferenza. Questo vuol dire che in tutti, maschi e femmine, bambini e adulti, le situazioni di abbandono, perdita e separazione possono suscitare anche il panico e la solitudine.

Riassumendo possiamo usare la seguente traduzione: perdita e distacco uguale tristezza, paura o entrambe. Questo ci aiuta a decifrare la realtà quotidiana delle emozioni maschili, così apparentemente lontane. Eppure, nonostante questo vocabolario che traduce dal maschile all’universale, a volte anche le donne, maggiori esperte di emozioni, perdono il senso dell’interpretazione, proprio per l’efficacia dei meccanismi di copertura delle emozioni che i maschi mettono in atto.

Una coppia arriva per una consultazione. Lei è convinta che il marito sia un egoista incurabile, che non si occupa nemmeno dei figli. A riprova di questa convinzione ricorda quando anni fa persero un bambino al quinto mese di gravidanza. Fu un vero lutto. Come stava lei? Male, risponde piccata, “e lui non mi aveva nemmeno consolata”. Le chiedo se non pensa che anche lui stesse soffrendo per lo stesso evento, ma lei nega recisamente e afferma: “a lui non gliene fregava niente, anzi pensi che aveva iniziato a bere”. Chiedo a lui cosa avesse provato allora e risponde, commuovendosi, che quel dolore non lo riusciva a gestire e per questo beveva, non voleva parlarne e non sapeva come lenirlo.

Bere è uno dei tanti modi di uscire dal rebus di provare dolore e non poterlo dire o mostrare, come ci spiega Addis [6]. La strategia funziona, perché molti di noi non pensano che se una persona beve, o si droga, o cerca di alterare il proprio stato di coscienza, è perché proprio in quello stato prova un dolore inaccettabile. Un uomo duro e assertivo, anche se alza troppo il gomito, non ci comunica l’idea di debolezza, ma più spesso di forza, a dimostrazione che occorre uno sforzo cognitivo per capire che non è tutto come sembra. Siamo portati a dissociare con lui, anziché notare che dietro quella forza ostentata si rivela la fragilità in una dipendenza.

LE CONSEGUENZE A LUNGO TERMINE DELLA SCOTOMIZZAZIONE
DELLE EMOZIONI

Le emozioni sono comparse durante l’evoluzione per una funzione vitale come la sopravvivenza. Non ascoltarle è un atto di supponenza e arroganza verso l’evoluzione intera, che porta conseguenze contrarie al loro ascolto: maggiori rischi.

Riassumiamo i passaggi relativi alla cancellazione di un’emozione come la tristezza e la paura. Nel caso in cui un uomo provi tristezza per la mancanza della partner, reprime questa emozione mostrando invece un’irritazione o addirittura rabbia e aggressività, che spaventa o allontana la sua compagna. Questo risultato lo lascerà ancora più frustrato, infilandolo in un corto circuito. Se le convinzioni che sia meglio non esprimerle sono forti, la spirale diventerà molto intensa, aumentando ad ogni giro la rabbia, segno di una sofferenza crescente e minacciosa.

Se lo scopo delle emozioni è quello di agire sulla realtà per rimuoverne le cause che le scatenano, questa dinamica è l’esempio di come il risultato sia esattamente l’opposto: cerco vicinanza e ottengo lontananza. Ritengo che potremmo leggere i femminicidi come una forma estrema di questa dinamica interna: sono gli uomini che non accettano la perdita a uccidere lex compagna.

Nel caso di una donna, che comunica più apertamente la tristezza, riuscirebbe a intenerire il compagno che si avvicinerà a lei, producendo come risultato una sintonizzazione emotiva. Così la dinamica negativa si interrompe al primo giro: mancanza, tristezza, consolazione, sollievo.

In questi due esempi contrapposti si nota la divaricazione della forbice tra la comparsa di un’emozione e la gestione della fragilità per un uomo e per una donna. Nel primo il risultato è un misto di maggiore frustrazione e senso di solitudine, nel secondo il sollievo e la soddisfazione di poter contare su relazioni di sostegno.

I TRAUMI E LA RIELABORAZIONE MASCHILE

Quando leggiamo i libri di Peter Levine [5], oppure gli approcci che si occupano di curare i traumi, notiamo una grande convergenza nella necessità del corpo e delle emozioni di fare il loro naturale corso, dopo essere stati bloccati per anni. Peter Levine insegna molto chiaramente come si aiuta un bambino quando il trauma è nel presente: accogliendo tutte le reazioni emotive e corporee, rassicurandolo con calma e con lunghi silenzi, standogli vicino.

Tuttavia, che una persona tremi o pianga dopo uno shock non è culturalmente accettato in genere: le si considera reazioni bizzarre, imbarazzanti o eccessive, quindi da limitare. Per una persona di sesso maschile questo avviene in modo ancora più marcato. La conseguenza del contenimento di qualunque reazione fisica o emotiva di fronte al trauma produce la fissazione del trauma stesso, aumentando le probabilità di andare verso un disturbo da stress post-traumatico. Devo ringraziare proprio Levine [5] se ebbi la reazione che ho descritto quando persi di vista mio figlio. Notando la sua rigidità tonica lo abbracciai e lasciai che le reazioni bloccate facessero il loro corso, mia figlia compresa. Se avessi fermato il pianto pensando di rassicurarlo (“tesoro non piangere, è passato”) lo avrei bloccato.

Nei libri sui traumi non ho mai letto una sola riga che descriva differenze di strategie terapeutiche per maschi o femmine. Eppure siamo noi a metterle in atto, limitandole per i maschi.

SUICIDIO E GESTIONE DELLE EMOZIONI

Possiamo rileggere il bellissimo libro “Dal dolore alla violenza” di Felicity De Zulueta [7] con queste lenti: l’autrice afferma che la violenza si forma a partire da esperienze di attaccamento andate male, con una quota di sofferenza che, non venendo elaborata, prende la strada della quiescenza rabbiosa, pronta a scoppiare in vera e propria violenza. Con queste esperienze l’autrice non si riferisce a traumi veri e propri, ma a esperienze di solitudine del bambino nel momento del bisogno, in cui è più l’omissione di aiuto a essere la caratteristica principale. Azioni quindi non drammatiche in senso assoluto e, quindi, poco visibili. Se è vero che per gli uomini è difficile tollerare queste emozioni, anche la loro elaborazione sarà difettosa e accumuleranno rabbia. Quindi è più probabile che la violenza si manifesti negli uomini. La realtà conferma.

Le estreme conseguenze sembrano illustrate anche dai tassi dei suicidi in tutto il mondo. Osservando gli esiti delle ricerche epidemiologiche, risulta che gli uomini si suicidano molto più spesso delle donne; mediamente il triplo, ma arrivando a oltre dieci volte tanto [8]. Le cause riguardano la vergogna a condividere momenti di fragilità e smarrimento, oltre il maggiore isolamento. Se del resto consideriamo la tristezza come il principale alleato contro la solitudine, non percepirla è il migliore alleato dell’isolamento [9].

La negazione della paura è all’origine di un’altra differenza abbastanza nota nel mondo della prevenzione: le donne si curano maggiormente, vanno più regolarmente ai controlli, mentre gli uomini trascurano la loro salute. Il risultato è che i tassi di morte maschili sono più alti per qualsiasi patologia. Se sono preoccupato per la mia salute (paura), non trascuro di usare il timore e la paura per difendermi e proteggermi. Senza la paura manca la protezione.

E PER LE DONNE?

Le donne sembrano avere una padronanza emotiva quasi completa; da qui i vantaggi per una vita relazionale più ricca e vitale. Non è tutto a posto, però. Per loro non è ancora del tutto legittimata la rabbia, l’emozione che ci segnala un attacco o che stiamo subendo un’ingiustizia. Per secoli alle donne è stato insegnato a obbedire e sottomettersi agli uomini e, sebbene questo aspetto culturale sia in calo nei paesi occidentali, resta ancora molto lavoro da fare. La rabbia delle donne è emersa intorno agli anni Settanta, quando il femminismo iniziò a far sentire legittime per le donne le loro istanze di giustizia. Senza rabbia c’è accettazione passiva, sottomissione, vittimizzazione. Tutte condizioni esistenziali sgradevoli e fonte di sofferenza.

COME FANNO GLI UOMINI A DIVENTARE COSÌ?

La filmografia e la letteratura offrono descrizioni intense di come gli uomini perdono, durante la loro crescita, la consapevolezza emotiva. Film come “Antwone Fischer” con la regia di Denzel Washington, raccontano di come i pesanti traumi infantili del protagonista lo rendano facile ad accessi violenti quando aumenta la sua sofferenza, in quella dinamica interna dal dolore alla violenza magistralmente spiegato da De Zulueta [7]. Oppure “Warrior”, del regista Gavin O’Connor e con protagonisti di eccezione come Nick Nolte: anche qui una vita familiare segnata da alcolismo e violenza del padre finisce per dividere la famiglia e a trasformare i figli in polveriere di violenza, pronte a scoppiare quando il dolore aumenta.

Recentemente il collega Alberto Pellai ha pubblicato un libro con l’intento di spiegare come vengono vissute le emozioni dagli uomini [10]. Il romanzo descrive due aspetti del protagonista, Carlo, che si collegano alla sua scarsa consapevolezza emotiva. Il primo è che mostra tratti narcisistici molto marcati. Il secondo è la sua infanzia: suo padre uccise la mamma e, come capita in questi casi, il protagonista ha trascorso qualche anno in istituto, poi in famiglia affidataria. Avendo lavorato in tutela, conosco bene queste vite in cui sembra non esserci limite al peggio.

Questi spunti, dalla filmografia ai libri, spiegano in modo efficace come le derive peggiori dell’infanzia portino agli estremi nella gestione delle emozioni. Tuttavia, rischiano di escludere tutti gli altri casi, in cui infanzie relativamente serene portano comunque a questa differenza tra uomini e donne. Per questo vorrei aggiungere due elementi di drammaticità, che invece meritano la nostra attenzione: non è necessario essere narcisisti, né avere subito pesanti traumi infantili, per perdere la consapevolezza delle proprie emozioni.

LE ORIGINI DELLA VITA MASCHILE E FEMMINILE

Molte persone pensano che i maschi possiedano una differenza genetica o costituzionale che li rende meno sensibili delle femmine. Sarà utile ricordare che invece è vero il contrario. L’apertura della forbice emotiva parte da un dato iniziale contro-intuitivo, illustrato da Addis [6, p.44].

«I maschi non sono fatti così fin dalla nascita. Quando vengono al mondo non nascondono affatto le loro emozioni. Anzi, la ricerca sui neonati indica proprio l’opposto: in generale i maschi sono emotivamente più espressivi delle femmine. Lentamente, nel corso degli anni, molti di questi ragazzini sensibili e capaci di manifestare le emozioni diventano uomini silenziosi e invisibili, la cui vulnerabilità interiore rimane nascosta, finché magari non crollano sotto il peso dello stress».

La disconnessione inizia intorno ai 4 anni secondo il terapeuta familiare Terry Real (Dal film “Beyond men and masculinity”, regia di Alex Gabbay).

«La ferita, negli uomini, avviene molto prima che nelle donne, a circa tre, quattro, cinque anni. E la ferita sta nel distacco. Insegniamo loro a distaccarsi dai propri sentimenti. Insegniamo loro a distaccarsi dalla vulnerabilità. Insegniamo loro a distaccarsi dagli altri. è quella che chiamiamo “indipendenza”. è un trauma specifico dal quale gli uomini imparano a sfuggire, passando dalla vergogna alla grandiosità».

L’ingiunzione a non esprimere le emozioni di fragilità non è né patologica né figlia di persone con gravi disturbi. Per questo ritengo che sia tanto pervasiva: semplicemente non si vede a occhio nudo. Da quando sensibilizzo su questi aspetti parlo con tante persone, che tengono a sottolineare di essere attente e sensibili emotivamente. Poi basta qualche domanda meno diretta per scoprire che le cose non stanno come pensano, che anche loro contribuiscono inconsapevolmente a questa cancellazione. Non è purtroppo nemmeno una tendenza portata avanti solo dagli uomini. Tutti noi siamo portatori di questa implicita distinzione, quella che alla fine produce l’assioma della differenza citato a inizio articolo.

La signora Caterina ha subito un lieve incidente stradale mentre attraversava le strisce pedonali insieme al figlio Simone di 9 anni. Lei era caduta sull’asfalto battendo lievemente la testa, mentre suo figlio era stato schivato. Caterina aveva perso i sensi per qualche momento, riprendendosi con l’aiuto dei passanti, mentre Simone le teneva la mano. Le chiedo come si sia sentita: “Mi sono spaventata, ho pensato di avere rotto qualcosa, o che la botta in testa fosse grave”. E suo figlio si è spaventato? “No, mio figlio è stato bravissimo, un vero ometto. Mi ha tenuto la mano e nei giorni seguenti continuava a chiedermi come stavo.”

Questa mamma aveva l’aspettativa che suo figlio dovesse mostrarsi forte e affidabile; a nove anni può dire di avere raggiunto il risultato, visto che effettivamente Simone non ha pianto né mostrato paura. La risposta di Caterina autorizza a pensare che lei operi una netta distinzione tra le reazioni emotive dei maschi e delle femmine, superando addirittura il fatto che il maschio è suo figlio e ha solo nove anni.

Vedo Giulio da un paio d’anni, un ragazzo ventenne chiuso e brillante i cui genitori non lo hanno mai aiutato a contattare le sue emozioni. Qualche giorno prima il padre l’ha chiamato disperato per aiutare lo zio, un uomo sulla cinquantina, che aveva una crisi cardiaca ed era in arresto. Essendo Giulio volontario della Croce Rossa è addestrato per le rianimazioni d’emergenza e corre subito dallo zio, mettendoci tutto l’impegno possibile. Purtroppo non c’è nulla da fare, nonostante i dieci minuti di massaggio cardiaco. Quando arriva l’ambulanza tentano anche con il defibrillatore, ma l’uomo non si rianima e muore.

Ciò che mi ha lasciato interdetto è il seguito. In quel drammatico momento erano presenti la mamma di Giulio (oltre al padre), la moglie dello zio e il cugino. Nessuno si avvicina a Giulio, nessuno gli chiede come sta, o semplicemente lo abbraccia. Quando viene da me sono passati altri quattro giorni e Giulio continua ad essere avvolto dal silenzio. Sono io che provo commozione per lui.

Quando lessi “La pragmatica” [11], rimasi colpito dalla definizione di “squalifica”. In questo caso possiamo dire che avvenga la squalifica di una o più emozioni, la quale si rivela un’arma molto efficace per dissuadere l’espressione emotiva, senza clamore. In quella situazione avremmo provato paura e tristezza, in modo intenso. Fare come se non le avessimo provate equivale a dire che non ci sono. Esperienze come questa, di invalidazione delle emozioni, possono nascere da piccole disavventure quotidiane e nel corso degli anni mettono a segno una dissuasione profonda dal sentirle e dal mostrarle. In fondo, se non abbiamo nessuno con cui condividere le emozioni negative, perché dovremmo tenerle vive nella memoria? Solo per stare peggio? Risulta più logico eliminarle dalla consapevolezza, rimuoverle. Senza la condivisione, viene a mancare il coraggio, oltre che il senso, di stare nelle emozioni.

Il potere della squalifica emotiva è il suo essere quotidiana, silenziosa, sottile, subdola. Non è un’opposizione rumorosa e netta, ma un fantasma che rende invisibile una parte del mondo emotivo maschile.

L’autore tedesco Björn Süfke [12] usa una definizione che mi ha convinto, per spiegare uno dei modi con cui avviene la dissuasione a mostrare tutte le emozioni, che chiama “mancato rispecchiamento”.

Quando le emozioni di vulnerabilità compaiono in un maschio, mettono in difficoltà o imbarazzo e si tende a non rispecchiarle come invece faremmo se si trattasse di una donna. In questo caso la dissuasione avviene con il silenzio e l’omissione, in modo quindi poco appariscente, ma molto diffuso.

Una collega mi ha riferito uno scambio avuto con una giovane mamma di una bimba di quattro anni e di un maschio di un anno. Le raccontava felice di avere trovato il modo di non farsi più svegliare di notte: ha deciso di non rispondere più al pianto di suo figlio per tre notti di seguito e alla fine l’obiettivo è stato raggiunto; ovviamente con la figlia femmina non le era venuto in mente di utilizzare questo approccio. Nel commentare la vicenda, la giovane mamma diceva: “Del resto questo è un maschio eh, si deve svegliare, deve diventare forte”.

Questo a conferma di cosa succede nei primi anni di vita, quando nei maschi le emozioni vengono espresse, ma non rispecchiate né legittimate.

Posso confermare questa tesi sia dalla clinica, sia dalle esercitazioni che faccio durante i miei seminari sul tema. Le colleghe terapeute donne ammettono che quando un uomo mostra la propria vulnerabilità in seduta, scatta in loro una sorta di imbarazzo: “se va in crisi lui, siamo messi male”. E parliamo di terapeute in specializzazione, persone quindi formate per comprendere il mondo emotivo in genere. Questo dimostra come non sia facile operare un cambiamento, come sia sottile il modo in cui tutti cadiamo nella trappola della dissuasione.

CENNI STORICI, ARTISTICI E GEOGRAFICI DEI MODELLI CULTURALI SULLE EMOZIONI MASCHILI

Se ci spostiamo nello spazio e nel tempo scopriamo alcune isole felici in cui si respira, o si è respirata, una differente espressività emotiva. Faccio solo un paio di esempi: la Grecia intorno al 750 a.C. e la Mesopotamia intorno al 2000 a.C. Parliamo degli eroi omerici e di Gilgameš.

La prima volta che mi accorsi di un aspetto emotivo interessante dell’Odissea fu nell’estate del 2000, quando rilessi l’opera di Omero [13]. Stavo già riflettendo sulle emozioni maschili e feci caso ai numerosi episodi di pianto; ero già a buon punto della lettura, iniziai ad annotarli e una volta a casa ripresi dall’inizio per finire il lavoro. In tutta l’opera contai quasi 50 episodi in cui piangono soprattutto gli uomini perché tristi, come il protagonista forzatamente tenuto lontano dalla sua Penelope, o spaventati. In più, Omero non nasconde questi momenti di commozione dei suoi personaggi agli occhi degli altri presenti sulla scena: tanti avvengono senza nessun mascheramento, in pubblico, o in modo del tutto naturale. Un esempio è quando Polifemo uccide e divora alcuni dei compagni di Ulisse: sono in tanti a piangere disperati sia per la paura sia per la perdita. Oppure, situazione meno drammatica ma più triste, un altro esempio avviene con la permanenza di Ulisse da Circe. L’eroe greco vuole tornare a casa, piange spesso e alla fine la maga si arrende e lo libera. Persino la dea Atena lo consola (ma non lo redarguisce) quando piange pensando alla sua patria lontana. E sopra tutti illumina, con la sua intensità poetica, il lungo e intenso pianto tra Ulisse e il figlio Telemaco, quando si riabbracciano dopo oltre 20 anni:

«E così detto sedeva: allor Telemaco,

stretto al suo nobile padre, singhiozzava piangendo.

A entrambi nacque dentro bisogno di pianto:

piangevano forte, più fitto che uccelli, più che aquile

marine o unghiuti avvoltoi, quando i piccoli

ruban loro i villani, prima che penne abbian l’ali:

così misero pianto sotto le ciglia versavano.

E certo calava il raggio di sole che ancora piangevano»

Odissea, libro XVI

Sembra che esprimere tutta la gamma di emozioni fosse consentito nelle due grandi opere che ci ha lasciato Omero e il comportamento di chi circonda il commosso di turno è di piena legittimazione. Non sappiamo se Omero fosse un uomo fuori del comune, o se la cultura del periodo Eroico consentisse l’espressione delle emozioni che oggi gli uomini fanno fatica a rivelare.

Recentemente ho portato questi argomenti in un liceo classico di Milano. Alla fine la professoressa di latino e greco ha ammesso una realtà importante: “Ho sempre fatto caso a quanto Ulisse piangesse nell’Odissea. Eppure questa è la prima volta che ne realizzo il motivo: la tristezza”. Giusto per tornare al fatto che anche le donne sensibili, di fronte alle emozioni maschili, operano una sorta di scotoma.

A giudicare da chi studia la storia della letteratura, sembra che la Grecia Eroica di Omero fosse proprio un periodo favorevole per le emozioni degli uomini [14]. Eppure le correnti contrarie non tardarono a farsi sentire, se persino Platone scomodò alcuni versi de “La repubblica” [15] per promuovere una cultura machista che tuttora conosciamo:

«Avremo dunque ragione ad abolire i lamenti degli uomini celebri e a farne materia da donne, anzi da donnicciole, e da uomini vili, affinché coloro che diciamo di educare per la difesa del paese disdegnino di comportarsi in modo simile a loro».

Platone, La Repubblica

Incuriosito dalla scoperta dell’emotività degli eroi omerici, rilessi “L’epopea di Gilgameš” [16]. Qui ci troviamo ancora più indietro nel tempo, oltre quattromila anni fa, più a est della Grecia di Omero, nella Mezzaluna fertile. Si tratta del libro più antico dell’umanità. La libertà con cui vengono espresse le emozioni da parte del protagonista e del suo amico è ancora maggiore che negli eroi omerici. Anche in questo caso ho contato una cinquantina di episodi: momenti di paura, di pianto e di estrema tenerezza manifestati dai due protagonisti maschi. Considerando che parliamo di un’opera assai più breve dell’Odissea, ne risulta un racconto riccamente emotivo; possiamo dire che la densità emotiva è davvero stupefacente. Nel caso dell’Epopea compare più spesso la paura, che i due amici condividono, chiedendo aiuto e conforto reciproco, per poi riprendere le forze una volta passata. Anziché reprimerla la accolgono, la smaltiscono con la relazione, per poi riprendere vigore e forza. Quando si fanno coraggio si tengono anche per mano, elemento questo che ritengo davvero originale.

Avendo in mente queste mani che si stringono in un momento emotivamente intenso dei due eroi, mi hanno colpito le lacrime di commozione e le mani giunte di Nadal e Federer, nella giornata che ha consacrato la fine della carriera del tennista svizzero. Un’immagine che ha fatto il giro dei social e che mi piace pensare abbia colpito per il messaggio di libertà che esprime. Oltre quattromila anni dividono queste due rappresentazioni e confermano che i comportamenti universali non hanno confini spaziali né temporali.

Amando il cinema desidero citare un paio di esempi in cui l’espressione maschile della fragilità è raccontata senza inibizioni. Ne “I segreti di Wind River”, un film molto duro sull’omicidio di una giovane indiana dopo uno stupro di gruppo, c’è uno scambio molto profondo tra il protagonista (Jeremy Renner) e l’amico indiano che ha appena saputo della morte della figlia (Graham Green).

«Il punto Martin è che non puoi evitare il dolore. Se lo farai deruberai te stesso. Ti priverai di tutti i bei ricordi che hai di lei, di tutti i ricordi: dai suoi primi passi, all’ultimo sorriso. Tutti rimossi. Accetta il dolore Martin, mi hai sentito? Accettalo, è l’unico modo per tenerla con te».

Non capita spesso di sentire una raccomandazione del genere, di accogliere il dolore, anzi di valorizzarlo, soprattutto in un dialogo tra due uomini. Oltretutto in un film in cui la violenza non manca, ma viene affiancata da momenti come questo, di rara profondità e drammaticità.

Nel film “Un altro giro” di Vinterberg del 2020, il protagonista Martin interpretato da Mads Mikkelsen, durante una cena tra amici uomini, inizia a piangere per la sua situazione esistenziale. Nonostante sia evidente un generale imbarazzo, mostrato da alcuni momenti di silenzio, si nota un ascolto, insolitamente lungo per un gruppo maschile (circa un minuto e mezzo). Eppure incredibilmente breve, se fossero state quattro amiche. In ogni caso il regista ci fa intravedere come potrebbero andare gli scambi tra i maschi se ci si aprisse alla fragilità. Qui l’incanto dell’ascolto viene interrotto da un meccanismo frequentissimo tra uomini: un amico a un certo punto gli dice che è troppo negativo, un altro poco dopo ricorda quanto è sempre stato forte e capace. A quel punto della fatica del protagonista non c’è più traccia. In questo caso la commozione e le lacrime sono state mostrate, per essere fatte sparire nel cilindro del prestigiatore.

Un film del 2011 che finisce per commuovere, anche se non si esplicitano momenti di tenerezza, è “Warriors”, con Nick Nolte per la regia di Gavin O’Connor. Nolte veste i panni di un padre ubriacone e violento, ma il film parte dal suo recupero già avvenuto e racconta il movimento con cui si riavvicina ai due figli maschi, nel frattempo divisi dalle drammatiche vicende familiari e arroccati su posizioni lontane. Quando verso la fine del film i due fratelli si trovano, l’aria è tesa e aggressiva, ma i contenuti di cui parlano accusandosi a vicenda sono l’abbandono, le loro paure, quanto si sono mancati. Tutti eventi che evocano paura e tristezza. Sarà necessario un match di lotta nella finale di un prestigioso torneo, per provocare l’emersione del dolore e del pianto che permette la riconciliazione.

Questo film colpisce quando lo mostro nella formazione. Prima di tutto perché esemplifica molto bene il passaggio dalle situazioni di abbandono alla violenza, proprio come teorizzato da De Zulueta. Commuove la scena finale, in cui si abbracciano finalmente dopo un duro combattimento.

Questo film mostra un fenomeno unico delle emozioni maschili. L’intensità della paura e della tristezza non sono facili da rappresentare, perché sono emozioni che immobilizzano o afflosciano l’energia vitale. La loro drammaticità è rappresentata dal silenzio. Quando però gli uomini spostano sulla rabbia il loro dolore, possono esprimere in modi molto forti la sua intensità, perché la rabbia è invece esplosiva. Così, quando si capisce che la rabbia è “calda”, dovuta cioè a dolore e grandi ferite, la sua intensità arriva dritta allo stomaco e consente di emozionarci. Un paradosso forse, dovuto alla ristrutturazione delle emozioni spesso praticata dagli uomini.

ESEMPI ISPIRATORI

Irving Yalom ha raccontato la sua storia e la sua maturazione personale nel libro “Diventare se stessi” [17, p.358]. Alle emozioni maschili non dedica una parte specifica, ma racconta un’esperienza che ha pochi precedenti. La formazione di un gruppo di autoaiuto maschile, da lui proposto e fondato, che ha coinvolto per oltre 20 anni psichiatri e psicologi maschi. Si trovavano ogni due settimane e al momento della scrittura del libro era ancora attivo. In questo gruppo Yalom rievoca molti momenti emotivamente coinvolgenti e spiega come il gruppo abbia funzionato da luogo dove condividere la vulnerabilità umana.

«Durante questi due decenni abbiamo vissuto la morte di quattro dei nostri membri e la demenza di altri due, che li ha costretti al ritiro. Abbiamo discusso della morte dei coniugi, dei nuovi matrimoni, della pensione, delle malattie in famiglia, dei problemi con i figli e del trasferimento in case di riposo. In ogni caso siamo rimasti fedeli a un’analisi onesta di noi stessi e degli altri».

CONCLUSIONE

Mi chiedo come starebbe l’umanità, se anche gli uomini avessero l’abitudine di condividere la vulnerabilità per poter superare i momenti di stress. Quanta sofferenza avrebbe trovato sfogo e consolazione? Quanti drammi oggi si potrebbero evitare? Come sarebbero più strette anche le relazioni maschili? E come staremmo, se anche negli uomini fosse spiccata la propensione alla cura?

Maschi e femmine hanno le stesse esigenze biologiche, dettate dal sistema nervoso, per quanto riguarda il bisogno di aiuto e di vicinanza. I terapeuti di sesso maschile e femminile dovrebbero conoscere a fondo il mondo emotivo maschile, per non correre il rischio di dare per scontato che sia diverso, che i maschi abbiano meno bisogno di vicinanza per superare le difficoltà. Del resto, se anche una famosa femminista inglese comincia ad occuparsi del mondo interiore maschile, un motivo c’è [18].

L’essere umano nasce con un sistema nervoso che basa sulla relazione il suo sviluppo [19] e sulla conoscenza corporea i legami interpersonali [20]. Nella storia delle scimmie antropomorfe, nostri parenti più prossimi, questo è evidente, ma la tendenza a specializzarsi nella relazionalità è continuata nei secoli. Sembra che l’ultima sia avvenuta intorno a 80.000 anni fa, con un’innovazione comportamentale definita “estraneo intergruppo”. Gli studiosi Brian Hare e Vanessa Woods [21] hanno individuato una svolta nel comportamento umano, che a partire da quel periodo ha consentito una novità: gli esseri umani hanno iniziato a conoscere gruppi estranei al proprio, hanno iniziato scambi culturali basati su innovazioni, che poi si trasformavano in benefici dell’intera umanità. L’apertura a persone di altri gruppi era fino a quel momento tabù, il che scansava pericoli, ma anche l’opportunità di scoprire cose utili alla sopravvivenza.

La scoperta comportamentale si basa su osservazioni anatomiche: iniziò a calare l’arcata sopracciliare, caratteristica che va di pari passo a un abbassamento del testosterone. Inoltre il cranio si faceva via via più globoso, segno di un aumento della serotonina. Questi due cambiamenti combinati insieme hanno prodotto un aumento dell’ossitocina. Come risultato finale siamo diventati capaci e curiosi di quello che fanno gli altri e la cooperazione ha smesso di essere un’esclusiva riservata ai membri del proprio gruppo.

Se tutto questo è vero, se siamo tutti così profondamente connessi, se la relazionalità è così importante, le emozioni, che ne sono fonte di informazione essenziale, vanno conosciute e accettate da tutti, uomini compresi.

BIBLIOGRAFIA

1. Ekman P, Friesen WV [1975]. Giù la maschera. Come riconoscere le emozioni dall’espressione del viso. Firenze: Giunti, 2007.

2. Darwin C [1872]. L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali. Torino: Bollati Boringhieri, 2012.

3. Panksepp J, Biven L [2012]. Archeologia della mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2014.

4. Penna A. Manifesto per le emozioni maschili. https://albertopenna.it/manifesto/

5. Levine P. Trauma through a child’s eyes: awakening the ordinary miracle of healing. Berkeley, California: North Atlantic Books, 2006.

6. Addis M [2011]. Emozioni invisibili. Silenzio e vulnerabilità maschile. Firenze: Giunti, 2013.

7. Zulueta de F [1993]. Dal dolore alla violenza. Le origini traumatiche dell’aggressività. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2009.

8. ourworldindata. Male-female ratio of suicide rate 2017. Disponibile su: https://lc.cx/zITBuO [ultimo accesso 4 dicembre 2023].

9. Shumacher H. Why more men than women die by suicide. London: BBC Future, 2019.

10. Pellai A. La vita accade. Milano: Garzanti, 2022.

11. Watzlawick P, Beavin JH, Jackson Don D [1967]. Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi. Roma: Casa Editrice Astrolabio, 1978.

12. Süfke B. Männerseelen. Ein psychologischer Reisefürer. Stuttgart: Patmos Verlag, Ostfildern, 2008.

13. Omero. Odissea. Torino: Einaudi, 1981.

14. Nucci M. Le lacrime degli eroi. Torino: Einaudi, 2016.

15. Platone. La repubblica. Bari: Laterza, 1994.

16. Pettinato G (a cura di). La saga di Gilgameš. Milano: Mondadori, 2004.

17. Yalom I [2017]. Diventare se stessi. Milano: Neri Pozza, 2018.

18. Moran C. What about men. London: Penguin Random House, 2023.

19. Siegel D [1999]. La mente relazionale Neurobiologia dell’esperienza interpersonale. Terza Edizione. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2021.

20. Gallese V, Ammaniti M. La nascita dell’intersoggettività. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2014.

21. Hare B, Woods V. Estraneo intergruppo. Le Scienze 2020; ottobre.