Attraverso i tuoi occhi, con parole tue:
un riadattamento del collage e dello zaino nella psicoterapia con bambini e adolescenti

Ilaria Pazzaglia1

1Centro Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale (CSAPR), Prato.

Riassunto. Trovare il miglior modo di comunicare è una sfida che il terapeuta deve accettare quando si trova in stanza di terapia con bambini e adolescenti. Questo articolo presenta una riflessione sulle peculiarità della psicoterapia con i soggetti in età evolutiva, a partire dalle capacità di comprendere ed esprimersi tipiche delle diverse fasce di età. Vengono affrontate tematiche quali le caratteristiche del setting terapeutico, le modalità di coinvolgimento dei genitori, le diverse possibilità di intervento, con particolare attenzione all’uso del gioco e della metafora, e infine la chiusura della terapia. A partire dall’esperienza clinica e attraverso l’illustrazione di alcuni casi clinici, l’autrice mostra come la tecnica del collage e la manovra esperienziale dello zaino di Alfredo Canevaro siano tecniche versatili dalle molteplici possibilità applicative e ne presenta alcuni riadattamenti finalizzati al lavoro individuale con bambini e adolescenti.

Parole chiave. Psicoterapia, bambini, adolescenti, zaino, collage, oggetti, metafora, età evolutiva, minori.

Summary. Through your eyes, in your own words: a readjustment of the collage and backpack in psychotherapy with children and adolescents.

Figuring out the best way to communicate is a challenge that therapists must accept, when they find themselves in a therapy room with children and adolescents. This article presents a reflection on the peculiarities of psychotherapy with subjects of developmental age, starting from the ability to understand and express themselves typical of different age groups. Topics such as the characteristics of the therapeutic setting, the ways of involvement of parents, the different possibilities of intervention, with particular attention to the use of play and metaphor, and finally the closure of therapy, are addressed. Starting from the clinical experience and through the illustration of some clinical cases, the author shows how the collage technique and the experiential maneuver of the backpack of Alfredo Canevaro are versatile techniques with multiple application possibilities and presents some adaptations aimed at individual work with children and adolescents.

Key words. Psychotherapy, children, adolescents, backpack, collage, objects, metaphor, developmental age, minors.

Resumen. A través de tus ojos, en tus propias palabras: un reajuste del collage y la mochila en la psicoterapia con niños y adolescentes.

Encontrar la manera mejor de comunicar es un reto que el terapeuta tiene que aceptar al entrar en la sala de terapia con niños y adolescentes. Este artículo presenta una reflexión acerca de las peculiaridades de la psicoterapia con sujetos en edad evolutiva, a partir de las capacidades de comprender y expresarse típicas de los distintos grupos de edad. Se plantean temas como las características del encuadre terapéutico, las modalidades de involucramiento de los padres, las distintas posibilidades de intervención, con especial atención al uso del juego y de la metáfora, y finalmente el cierre de la terapia. A partir de la experiencia clínica y a través de la presentación de algunos casos clínicos, la autora muestra cómo la técnica del collage y el ejercicio experiencial de la mochila de Alfredo Canevaro resulten técnicas versátiles que proporcionan numerosas posibilidades de aplicación, incluyendo algunas adaptaciones finalizadas al trabajo individual con niños y adolescentes.

Palabras clave. Psicoterapia, niños, adolescentes, mochila, collage, objetos, metáfora, edad evolutiva, menores.

INTRODUZIONE

Nel lavoro di psicoterapia, tecniche e stili devono essere adattati alle esigenze di coloro che vengono al colloquio e ciò è tanto più importante con i bambini, che sono in una fase di rapido sviluppo fisico, cognitivo ed emotivo [1], e con gli adolescenti che riescono a concettualizzare in modo sempre più simile a quello degli adulti ma hanno bisogno di essere aiutati a entrare nel loro intimo e comunicare quello che sentono davvero.

Il presente lavoro propone il collage [2] e lo zaino [3] come tecniche versatili, ponendone in risalto le possibilità applicative sul piano clinico, relazionale e psicoterapeutico attraverso l’illustrazione di alcuni casi clinici.

Il loro utilizzo viene presentato con dei riadattamenti finalizzati al lavoro individuale con soggetti in età evolutiva: il collage viene proposto al bambino nella fase centrale della terapia per accrescere la comprensione del senso del sintomo, e all’adolescente in una fase iniziale per capire cosa il ragazzo si aspetti dalla terapia e focalizzare quindi le aree su cui lavorare.

Viene poi proposto un impiego alternativo dello zaino che, utilizzato come oggetto in ultima seduta, si presta a essere facilitatore della conclusione del percorso terapeutico con gli adolescenti; infine viene illustrata la possibilità di declinare l’utilizzo delle due tecniche in modalità congiunta.

QUANDO IL PAZIENTE NON È ADULTO

I bambini percepiscono gli eventi interpersonali e reagiscono in modi caratteristici che dipendono dal loro livello evolutivo. La loro capacità di concettualizzare motivazioni, sentimenti e comportamenti propri e altrui muta radicalmente nel tempo insieme alla capacità di desumere modelli predicibili nel loro mondo sociale [4].

Nei primi anni di vita i bambini pensano prevalentemente in termini concreti e non hanno ancora acquisito la capacità di formulare pensieri astratti [5]; il loro vocabolario è limitato perciò riescono a esprimersi meglio attraverso il gioco o altri mezzi indiretti.

Il gioco ha potere terapeutico: oltre a favorire il consolidamento della relazione, permette ai bambini di collaborare allo sviluppo del lavoro terapeutico fornendo spunti interpretativi della situazione [6].

Quando facciamo un colloquio con un bambino non dobbiamo solo far riferimento all’età cronologica, ma anche alle sue specificità, perché ciascuno affronta esperienze di vita diverse e ha il proprio ritmo evolutivo per quanto riguarda funzionamento cognitivo e capacità di astrazione [1].

Le principali difficoltà che si incontrano nel colloquio con bambini e adolescenti sono dovute alle loro capacità cognitive e di linguaggio, condizionate dall’età o da eventuali disturbi di cui possono soffrire (come ritardo mentale, ritardo nello sviluppo, disturbi evolutivi del linguaggio), ma anche dal fatto che nella quasi totalità dei casi non sono loro in prima persona a richiedere il colloquio: quando il paziente è in età evolutiva i portatori della domanda di aiuto quasi sempre sono i genitori o gli adulti che ne hanno tutela [7] e i piccoli pazienti vengono “portati” in terapia spesso senza una spiegazione; non sanno cosa aspettarsi e temono di avere qualcosa che non va. È fondamentale spiegare al bambino che siamo lì per aiutarlo a stare meglio e tranquillizzarlo sulla natura della nostra relazione con lui: deve essere messo in grado di cogliere il senso del contesto di terapia così che possa essere consapevole dell’importanza di ciò che si sta facendo [7].

Con i bambini è necessario un approccio flessibile, senza schemi fissi. Il terapeuta deve valutare in itinere cosa può essere più utile in base alle risposte verbali o comportamentali che ottiene nei colloqui e anche a quel che accade nel tempo tra un colloquio e un altro.

È fondamentale trovare il miglior modo di comunicare col bambino (e nella maggior parte dei casi non sarà quello verbale) e prendere sul serio le sue fantasie come espressione delle sue emozioni: esplicitandole e restituendogliele anche lui imparerà a conoscerle e accettarle [8].

A mano a mano poi che si avvicina all’adolescenza il bambino riesce a concettualizzare in modo sempre più assimilabile a quello adulto. L’adolescenza oggi non è demarcata da confini netti per quanto concerne l’età, tanto che la psicologia ha provveduto a coniare il termine “adolescenza prolungata”, ma indicativamente dagli 11 ai 13 anni dovremmo parlare di preadolescenza mentre si ritiene adolescente il ragazzo tra i 14 e i 18 anni [9]. Ovviamente c’è una grande differenza tra un ragazzo di 12 anni e uno di 18, quindi è necessario che il terapeuta sia elastico e capace di adattare il colloquio alle caratteristiche e competenze del soggetto che ha davanti.

Per lavorare con l’adolescente è importante conoscere i compiti evolutivi di questa fase del ciclo di vita, in cui si forma l’identità e durante la quale il giovane dovrebbe arrivare ad avere una consapevolezza relativamente salda di sé e del suo valore.

L’identità è costituita da vari elementi ed è durante la pubertà che lo sviluppo, la definizione del proprio orientamento sessuale, del ruolo di genere e dell’identità di genere assumono un interesse di primo piano. Inoltre l’adolescente vive il conflitto dipendenza-autonomia dai genitori, che rappresentano la base (che dovrebbe essere sicura) dalla quale partire (e alla quale poter tornare) e una marcata affiliazione al gruppo dei pari con tutti i meccanismi di influenza annessi [1]. Quando un ragazzo arriva all’adolescenza mette anche la famiglia di fronte a difficoltà e a necessità di riadattamenti, per questo è comune trovarsi di fronte a situazioni di conflittualità familiare.

I primi colloqui con i bambini, gli adolescenti e le loro famiglie sono molto importanti. Spesso per le persone parlare con uno psicoterapeuta può essere fonte di difficoltà e ansia: può far affiorare sensi di colpa e altre forti emozioni. Molti genitori si sentono responsabili dei problemi dei figli e il conseguente senso di colpa può portarli a manifestare ansia, atteggiamenti di difesa o un’eccessiva sensibilità; a volte sono già stati accusati da altri, esperti o non esperti [1].

Ascoltare il punto di vista di chi si ha davanti senza farlo sentire giudicato, assumere un atteggiamento comprensivo, non autorevole o da esperto, parlare degli interessi e delle esperienze comuni che si hanno col bambino sono modi che possiamo utilizzare per costruire una buona relazione sia con lui sia con i suoi genitori. Infatti dobbiamo sempre ricordare che il bambino è il primo a voler “difendere” i propri genitori e se sentirà che come terapeuti tendiamo a metterli in difficoltà vorrà proteggerli e questo non gli permetterà di fidarsi di noi.

METTERSI IN GIOCO: IN STANZA COL MINORE

I bambini non vengono in terapia dicendo su cosa vogliono lavorare; nutrono certamente delle aspettative su ciò che faranno quel giorno in stanza di terapia e se la relazione con il terapeuta è buona queste saranno piacevoli [8], però non sanno cosa hanno bisogno di elaborare, scoprire di se stessi o quali tematiche approfondire.

Per quanto riguarda gli adolescenti la situazione è leggermente diversa, perché spesso hanno molti argomenti di cui parlare, vogliono condividere eventi della loro vita o lamentele circa la scuola o la famiglia, ma spesso non entrano nel loro intimo e non comunicano quello che sentono davvero.

Quindi è necessario che il terapeuta offra a bambini e adolescenti i mezzi che permettano loro di esprimere le emozioni e tirare fuori ciò che tengono nascosto, più o meno consapevolmente, in modo da poter poi lavorare insieme su questo materiale.

Essere aperti e flessibili e saper cogliere una comunicazione laddove non ce lo si aspetta richiede un totale coinvolgimento nella seduta: spesso i bambini fanno giochi o disegni che sembrano non aver nulla a che fare con la loro vita, mentre il terapeuta può utilizzare questi materiali per comprenderli, conoscere la loro storia familiare, gli ambienti in cui vivono e i sentimenti rispetto alle figure significative per poi trovare un senso al sintomo e dare una spiegazione al loro malessere e alle sue manifestazioni. Tramite il gioco si crea un sistema di regole che, paradossalmente, ci libera dalle regole; al suo interno è possibile allenarsi a comunicare in modi nuovi sulla propria relazione e sul sistema stesso di comunicazione [10].

Le famiglie dei piccoli pazienti cercano spesso un sollievo sintomatico dalla terapia e affinché ciò avvenga è necessario dare una spiegazione al loro star male. Questo è possibile attraverso la ricostruzione di una storia che colleghi presente e passato [11] e una conseguente decifrazione del significato del sintomo, possibile in due direzioni: quella indicata dal simbolismo dei contenuti, poiché il sintomo veicola un messaggio, e quella indicata dalla funzione che svolge [12].

La famiglia non arriva in terapia portando solo il sintomo o la difficoltà: la descrizione di quello che accade è sempre accompagnata da una spiegazione. Il compito del terapeuta è farne emergere un’altra, più funzionale e soddisfacente per tutti, che sia in grado di avviare un cambiamento. Questo è tanto più impegnativo con i bambini perché hanno capacità di astrazione ridotte e sono molto legati al concreto, proprio per la loro età. Un discorso diverso può essere fatto per gli adolescenti, ma la variabilità di caso in caso è veramente ampia. Quando diamo un senso a quello che accade abbiamo il compito, come terapeuti, di passare informazioni a un livello sia cognitivo che emotivo coinvolgendoci personalmente e dando così un contributo specifico anche alla relazione terapeutica, esprimendo quello che pensiamo in modo valido e interessante, senza eccessi ma anche senza timori [11].

Quando parliamo di bambini e adolescenti dobbiamo quindi ricordare che non hanno le risorse cognitive degli adulti né le loro capacità di astrazione, perciò esprimersi con loro in modo esteticamente valido, tale cioè da coinvolgerli, è probabilmente la cosa più difficile ma anche più importante [11].

Usando il collage nella versione che propongo è possibile spiegare prima al bambino il senso del sintomo e in seguito, in seduta familiare, riportare la stessa spiegazione anche alla famiglia, con la quale può essere usata la metafora del collage ma anche un linguaggio verbale più esplicito e dettagliato. Il bambino, che ha già lavorato col terapeuta, è preparato e sa tutto, quindi ci si può concentrare sul far arrivare il messaggio agli altri componenti della famiglia nella modalità più opportuna.

Anche quando il paziente è adolescente è preferibile dare una prima restituzione a lui e poi, accordandosi con lui su cosa dire, convocare la famiglia ed esplicitare a tutti il senso del sintomo.

La chiave del successo di una terapia con il bambino, oltre che nella necessaria competenza, sta nella relazione che si instaura con lui, nel modo in cui ci rapportiamo e in quanto gli diamo ascolto; è importante che venga volentieri in seduta e che senta che il terapeuta tiene a lui e che gli vuole bene.

Oltre a questo la buona riuscita di un colloquio con il bambino dipende dalla fantasia, dall’intuito naturale, dalle capacità creative del terapeuta e dal suo coraggio. Modi di lavorare con i bambini si possono scoprire ogni giorno e alcune volte sono loro stessi che ce li insegnano, basta essere pronti a vederli, accoglierli e sperimentarli: ogni seduta è imprevedibile e richiede flessibilità e prontezza. Quando meno ce l’aspettiamo il bambino ci comunica quello che gli sta succedendo.

Con l’adolescente è necessario stabilire limiti di segretezza affinché il ragazzo sappia che quello che dice al terapeuta non sarà riferito ai genitori senza il suo consenso, a meno che ovviamente le informazioni non siano tali da renderci obbligatorio comunicarle.

IL POSTO SICURO: LA STANZA DEL TERAPEUTA

Un elemento fondamentale del lavoro con i minori è il setting: occorre ricevere i bambini in un contesto accogliente e cordiale, che segnali allo stesso tempo chiarezza e rispetto [7]. Non è necessaria una stanza bellissima, con un arredamento ricco e ricercato, ma è importante che sia pulita e tenuta con cura, così che possa dare un senso di sicurezza. È importante che quando un bambino o un adolescente entra in studio senta di essere il benvenuto, lo percepisca come uno spazio di costruzione da poter arricchire. Se possibile è bene evitare che il nostro studio assomigli a quello di un medico. A differenza degli adulti, che a volte si basano sulle apparenze, ai bambini non importa molto di come il terapeuta è vestito o se le sedie sono in pelle o semplicemente in plastica. I bambini percepiscono molto di più la competenza e l’affetto, la disponibilità all’ascolto e alla partecipazione, la volontà di “sporcarsi le mani”.

È opportuno preparare il materiale, i giochi e la disposizione degli oggetti in base al bambino e all’obiettivo che il terapeuta ha idealmente pensato per quel colloquio guidando sempre parzialmente la seduta, altrimenti si rischia che il bambino passi da un oggetto all’altro senza dedicare ad alcuno, e neanche al terapeuta, la giusta attenzione.

Ogni oggetto presente nel setting acquista un valore simbolico e metaforico che trascende le sue caratteristiche materiali e può evocare immagini mentali che sono un’interfaccia tra vita cosciente e la profondità del mondo psichico [13].

In generale gli oggetti da tenere in studio dovrebbero essere colori, pennarelli, matite, fogli bianchi, riviste, giornali, forbici, colla, giocattoli, un tavolino piccolo con sedia piccola per i bambini, una scrivania e una sedia comoda per gli adolescenti, libri e fotocopie precedentemente selezionate.

È preferibile non riempire troppo la stanza: lasciare dello spazio libero può essere utile se il soggetto manifesta il bisogno di muoversi o se il terapeuta percepisce che quel giorno potrebbe essere più utile lavorare con il corpo, il movimento, la voce.

Il terapeuta dovrebbe vedere il bambino anche insieme ai genitori (o al genitore, se la famiglia è monogenitoriale). Se i genitori sono separati si può vedere una volta il bambino con un genitore e poi con l’altro, questo dipende molto dal grado di conflittualità tra i due o da quanto pensiamo che il sintomo del bambino possa essere un tentativo di rimetterli insieme. Se ci sono dei fratelli possono essere convocati. Vivere in prima persona il contesto quotidiano del bambino e vedere come si relazionano tra loro i membri della famiglia aiuta a capirlo davvero come individuo, mettersi nei suoi panni e sentire quello che sente lui. Del resto il terapeuta sistemico che decida di svolgere sedute individuali con un soggetto in età evolutiva, se in quella fase non ha la famiglia presente fisicamente, occorre che la tenga sempre nella testa [14].

UN TRAGUARDO, UNA NUOVA PARTENZA: LA CHIUSURA DELLA TERAPIA CON BAMBINI E ADOLESCENTI

Un percorso di psicoterapia con il bambino solitamente non dura molto tempo, indicativamente meno di un anno, durante il quale si passa da sedute settimanali, a quindicinali, a mensili e così via. Spesso con i bambini si lavora sul sintomo e quando questo va riducendosi si iniziano a diradare le sedute fino a lasciare libero il bambino di riprendere il suo percorso di crescita.

Poiché tra terapeuta e bambino si forma una profonda relazione affettiva, è importante preparare il piccolo paziente alla fine della terapia.

Nella seduta conclusiva è utile ripercorrere il percorso effettuato insieme: parlare di quello che è stato fatto, ricordare le attività svolte, riguardare quello che il bambino stesso ha prodotto e commentare le differenze tra l’inizio del percorso e la fine. Dopo avergli fatto molti complimenti per la costanza, l’impegno e la forza dimostrati, il terapeuta deve sottolineare che rimarrà sempre disponibile per lui, se e quando avrà bisogno, offrendo la possibilità di venire a trovarlo accompagnato dai genitori nel prossimo futuro. Quest’ultima eventualità in realtà serve solo per tranquillizzare il bambino, ma nella mia casistica non si è mai verificata perché se il percorso si conclude in maniera corretta il bambino sente le relazioni con il terapeuta e con i genitori sicure e riesce a riavviare bene la sua strada di crescita.

GLI OGGETTI IN PSICOTERAPIA

Gli oggetti terapeutici sono gli strumenti, le attività, i giochi e le procedure adottate nel corso delle terapie che ricorrono alla comunicazione iconica in quanto metafore delle dinamiche e dei processi interattivi. Alcuni oggetti hanno valore euristico poiché contribuiscono all’elaborazione del passato per comprendere il presente e prospettare scenari futuri; altri invece vengono utilizzati in particolari fasi della terapia allo scopo di raggiungere obiettivi intermedi [15].

Gli oggetti di per sé non fanno la terapia, ma se usati in modo opportuno sono estremamente efficaci nello stabilire ordine nel setting relazionale, accompagnare l’interazione verbale e mediare la relazione. Essi assumono un significato metaforico e permettono di prendere contatto con le proprie capacità empatiche e con sentimenti le cui radici affondano nella storia familiare; in certi casi possono essere transazionali o per meglio dire “fluttuanti” [16]. La predisposizione del soggetto in età evolutiva a usare la fantasia permette di sfruttare le potenzialità dell’uso metaforico degli oggetti, che hanno inoltre una funzione trasformativa: il terapeuta può introdurli nel colloquio clinico sia quando vuole far emergere i diversi punti di vista sia quando sente la necessità di costruire nuovi significati che stimolino un cambiamento.

Nella psicoterapia relazionale possiamo individuare alcune fasi dove si ricorre con più frequenza all’ausilio di oggetti: la valutazione, il lavoro sull’emergenza sintomatica, quello sulle cause profonde che hanno portato all’emergenza e la fase finale e conclusiva.

Il collage

Il collage è qualsiasi manufatto realizzato incollando su una superficie piatta elementi anche differenti tra loro come carta di giornale, illustrazioni, stoffa o altro materiale [17]. Come strumento artistico nasce all’inizio del Novecento, aprendo a un momento storico-culturale di sperimentazione che offriva libertà espressiva attraverso l’uso di materiali insoliti. Il collage permette a chi lo compone di delegare all’immagine la comunicazione di emozioni profonde, sfruttando il suo grande potere immaginativo ed evocativo. Nelle arti-terapie si inserisce nell’area più ampia dei mediatori visivi come strumento di conoscenza di sé, di espressione e di consapevolezza emotiva [18].

Il collage viene impiegato in particolare quando la comunicazione verbale o le capacità introspettive appaiono compromesse ma, come evidenziato da Borella [2], è molto utile anche nelle sedute individuali con adolescenti e giovani adulti poiché permette di scoprire se stessi in modo differente, sperimentando canali sconosciuti [19]. È inoltre interessante l’uso che se ne può fare nel lavoro psicoterapeutico con i bambini che pensano prevalentemente in termini concreti e non hanno ancora sviluppato la capacità di formulare pensieri astratti, in quanto possiede un grande potere immaginativo ed evocativo e permette a chi lo compone, tramite l’utilizzo di mediatori visivi, di ricercare il potere della metafora e delegare alle immagini la comunicazione di pensieri ed emozioni profonde.

La metafora, oggetto affascinante e caro anche alla riflessione sulla metacognizione, trova la sua ragion d’essere nel processo di condensazione e spostamento semantico che la sostiene: si rivela capace di cogliere l’essenziale di un fenomeno e di traslarlo in un altro universo semantico, pur senza tradirne il senso essenziale. Essa consente di guardare al fenomeno da punti di vista imprevisti e riesce a generare un salto cognitivo che spiazza rispetto alle aspettative consuete. Creare un collage significa cogliere intuitivamente quelle potenzialità alternative che consentano di immaginare diversamente il materiale già a disposizione, attivando un pensiero divergente rispetto a quanto si è soliti fare [20]. La metafora diviene trasformativa nel momento in cui viene riconosciuta come innovativa ma adeguata riformulazione di quanto espresso dal soggetto che abbiamo davanti [21].

A seconda di quando viene utilizzato, il collage assume funzioni diverse: nelle fasi iniziali della terapia può servire per focalizzare gli obiettivi e le aree su cui lavorare, facendo sentire il paziente parte attiva del processo. In una fase più centrale dell’intervento esso consente al paziente e al terapeuta di accrescere la comprensione del sintomo dandogli un senso; in una fase avanzata della terapia è uno strumento utile per fare un bilancio e verificare il lavoro fatto, focalizzandosi sui momenti più salienti [2].

Il terapeuta può scegliere, in base all’obiettivo terapeutico che intende raggiungere, al periodo del ciclo di vita in cui si trova il paziente e alla fase del percorso terapeutico, di far rappresentare al soggetto una tra le seguenti alternative, seguendo la consegna originale: “Scegli immagini, foto e parole che rappresentino…:

• l’immagine che hai di te stessǝ, le tue caratteristiche e risorse;

• desideri, aspettative e obiettivi per il nuovo anno e le risorse che percepisci di avere utili a realizzare tali obiettivi;

• come immagini il tuo futuro, con desideri e paure;

• l’idea che ti sei fattǝ del problema che ti ha portatǝ qui, i pensieri e le emozioni che vi associ”.

Davanti al paziente vengono messi un grande foglio bianco, riviste, forbici, colla, matite, pennarelli e materiale di vario genere (pasta, bottoni, cotone, spago, carta di alluminio, ecc.) per stimolare oltre al canale visivo anche quelli tattile e uditivo.

Per quanto riguarda i tempi non è necessario dare un limite, è preferibile seguire le necessità del singolo soggetto. C’è chi ha bisogno di guardare con attenzione tutto il materiale e farsi un’idea e chi inizia d’impulso, quindi il terapeuta dovrebbe essere aperto a dedicare al collage anche più di una seduta.

La procedura per adolescenti e giovani adulti descritta da Borella [2] prevede due fasi: la prima di presentazione e realizzazione del compito, che può avvenire sia in studio che a casa; una seconda di elaborazione verbale, durante la quale si guida la riflessione sulle singole immagini e si può chiedere al paziente di dare un titolo al collage stesso.

Parlare per immagini: un riadattamento del collage per i bambini

Nel riadattamento del collage proposto per la psicoterapia con i bambini, lo strumento viene utilizzato nella fase centrale della terapia per accrescere la comprensione del sintomo da parte del bambino e aiutarlo a dargli un senso.

La novità sta nella modalità di svolgimento del collage perché bambino e terapeuta fanno un collage in parallelo in cui entrambi cercano di rappresentare l’idea che si sono fatti del problema e poi dialogano su quanto fatto da entrambi.

Questa modalità di svolgimento risulta produttiva perché aiuta il bambino a superare i suoi blocchi, ma necessita di un dialogo a posteriori perché il soggetto in età evolutiva non possiede le competenze di astrazione necessarie per rispettare coerentemente il comando e il terapeuta deve aiutarlo in questo. Crea inoltre un ponte comunicativo tra terapeuta e piccolo paziente, dove il primo non è più così distante.

La consegna è la seguente: «Utilizza tutti i materiali che vedi […] per realizzare un collage in cui rappresenti te stessǝ e l’idea che ti sei fattǝ del problema che ti ha portatǝ qui. Io farò lo stesso qui vicino a te e poi tu racconterai a me quello che hai fatto e io ti racconterò quel che ho fatto io».

CAMMINARE SULLE UOVA: IL CASO DEL PICCOLO FRANCESCO

Quando Francesco arriva da me ha 8 anni e frequenta la terza elementare.

I suoi genitori (una mamma e un papà) sono separati da quando aveva 2 anni e hanno una relazione iperconflittuale; ancora comunicano solo tramite avvocati.

La richiedente è la madre, che al telefono afferma che da tre mesi in famiglia si sono accorti che il bambino si strappa i capelli principalmente quando è sul divano, guarda la televisione e prima di dormire, cioè nei momenti in cui si rilassa; adesso sulla sua testa è visibile una chiazza di pelle glabra.

Incontro i genitori insieme in prima seduta per le firme del consenso informato e in quell’occasione vivo la tensione e il conflitto acceso tra adulti che Francesco sperimenta ogni giorno. Nel prosieguo della terapia vedrò Francesco da solo e alternativamente insieme al papà o alla mamma.

Quando conosco Francesco mi accorgo di altri sintomi che non mi sono stati riportati dai genitori (che a causa del conflitto tra loro tendono infatti a “non vedere” il bambino): frequentemente sbatte gli occhi e presenta un raschiore alla gola che si manifesta con una sorta di rantolo di tosse.

Dopo essermi fatta un’idea del senso dei sintomi, in quinta seduta propongo a Francesco il collage chiedendogli di rappresentare se stesso e l’idea che si è fatto del problema che lo ha portato da me. Gli dico che anche io, accanto a lui, farò un collage in cui rappresenterò l’idea che mi sono fatta del suo problema e quando avremo finito ne parleremo insieme.

Passati circa 30 minuti guardo il collage fatto da Francesco (figura 1): “Che bello Francesco! Mi racconti cos’hai fatto?”. “Questo sono io che mangio la pasta dalla nonna”.




Guardando il collage penso subito che Francesco cerchi un nutrimento affettivo dalla nonna perché da mamma e papà non può averlo; inoltre noto che si è disegnato con cura i capelli, utilizzando uno spago che con grande impegno ha attaccato con la colla alla testa. Tengo queste osservazioni per me e chiedo a lui se posso commentare il suo collage; mi dice di sì. Iniziamo così un dialogo su quanto ha fatto: “In questo disegno vedo che hai l’acquolina alla bocca ma non hai ancora inforchettato la pasta. Perché secondo te mangiare è importante per un bambino? A cosa serve?”.

Francesco mi risponde: “Per crescere e diventare grande”.

“Esatto” commento io “ma per crescere bisogna pensare per sé e quello che vedo è che in questo disegno fluttui in aria, come se sentissi il bisogno di toglierti qualche peso ed essere più leggero. E poi guarda che scarpe ti sei fatto! Sono morbide, come se dovessi camminare stando attento a non rompere qualcosa. Questo sai, mi ricorda un dettaglio del collage che ho fatto io. Ti va di vederlo insieme?”.

Francesco mi risponde di sì allora gli chiedo di guardare il mio collage (figura 2) e dirmi cosa vede sotto i suoi piedi. Mi risponde che vede delle uova e io annuisco:




“Ho l’impressione che tu stia camminando un po’ sulle uova, come se tu dovessi stare attento a ogni passo che fai, perché se rompi un uovo perdi l’equilibrio e allora tutto quello che tieni sulla testa potrebbe cadere. Cosa vedi sulla tua testa? Chi rappresentano, secondo te, il cappello e la sagoma della donna? C’è lo stesso cuore che hai tu, devono essere persone molto importanti per te...”.

Francesco mi risponde che secondo lui sono mamma e babbo e allora io gli dico: “Vedi Francesco, io credo che tu sia un po’ nel mezzo tra babbo e mamma; sei preoccupato per loro e li tieni d’occhio sempre. Allora ogni tanto gli occhi ti si seccano e hai bisogno di sbatterli. E guarda la tua bocca: è chiusa, tappata, perché hai paura di dire cose che potrebbero ferirli o che potrebbero farli litigare. Ma così neanche i “rospi” che avresti da sputare possono uscire e rimangono lì, a gracchiare e grattare desiderosi di venire fuori. La tua testa è piena di fulmini e cerotti, hai un diavolo per capello! E quando ti rilassi allora lo fai strappando quei pensieri uno a uno dalla tua testa”.

Prima di questa seduta non avevo mai parlato esplicitamente con Francesco dei suoi sintomi e le metafore emerse dal collage fatto insieme sono diventate il nostro mezzo per farlo. Quando sentivo quella tossetta scherzando lo invitavo a sputare quel rospaccio sulla mia scrivania, giurando che non mi sarei spaventata nel ritrovarmi davanti quell’animaletto viscido. Era questo il mio modo di comunicargli che io non mi sarei mossa di un millimetro qualsiasi cosa avesse voluto dirmi. È bene passare il messaggio che possiamo dare voce a ciò che sentiamo e alle emozioni che proviamo, soprattutto in una relazione sicura che il bambino possa interiorizzare.

Dopo due mesi e mezzo dall’inizio della terapia con Francesco i sintomi si sono risolti.

INSIEME SI PUÒ: IL RIADATTAMENTO DEL COLLAGE CON GLI ADOLESCENTI

Nel riadattamento del collage proposto per la psicoterapia con gli adolescenti questo strumento viene utilizzato nella fase iniziale per capire cosa il ragazzo si aspetti dalla terapia e focalizzare quindi le aree su cui lavorare.

La modalità di svolgimento rappresenta un’innovazione perché terapeuta e paziente fanno un collage a quattro mani in cui l’adolescente rappresenta la situazione in cui si trova, dove vuole arrivare e cosa potrebbe aiutarlo a raggiungere quell’obiettivo, ma il terapeuta lo assiste, stando al suo fianco e intervenendo attivamente sulla scelta di immagini, parole o materiali. Questo perché è importante che il ragazzo senta di essere parte attiva del processo, ma allo stesso tempo non tutti gli adolescenti hanno le capacità e le competenze necessarie, quindi è protettivo che il terapeuta intervenga quando vede un blocco o una difficoltà, incoraggiando e fungendo da facilitatore emotivo.

C’È (ANCORA) UN MONDO FUORI (?): IL CASO DI LORENZO

Lorenzo ha 15 anni; quando arriva in terapia frequenta la prima superiore. È figlio unico, dorme da sempre con i genitori ed è molto introverso. Ha difficoltà a socializzare con i pari ma quando mi chiama la madre i genitori (una mamma e un papà) sono molto preoccupati perché hanno visto un peggioramento: Lorenzo non si lava da solo, passa le sue giornate in camera a giocare al pc, il suo rendimento scolastico è notevolmente peggiorato, non è minimamente autonomo.

Faccio una prima seduta con lui e i genitori, in cui indago la storia familiare e raccolgo le informazioni più importanti.

Dalla prima seduta individuale con Lorenzo capisco la sua grande difficoltà a esprimersi a parole; è piccolo, molto magro, tiene le spalle in avanti e i capelli, troppo lunghi, gli coprono gli occhi e lo sguardo, che, con la mascherina obbligatoria in tempo di Covid, rimane l’unica finestra da cui affacciarsi o essere visto.

Per questo decido in terza seduta di proporgli il collage nella modalità precedentemente esposta. Sul tavolo dispongo per Lorenzo diverse riviste, giornali, carte colorate, forbici, colla, pennarelli, matite e un foglio bianco. Gli chiedo di rappresentare la situazione in cui si trova e il suo mondo, usando immagini e parole che trova nelle riviste (figura 3).




Sceglie l’immagine di una tastiera, un labirinto, che per casualità ha accanto un carattere giapponese che rimanda un po’ all’idea dell’hikikomori, e le parole “casa”, “costretto”, “inerzia”, “in una stanza”, “ultimo”, “cura”, “molto più di una semplice opzione”, “paura ne hai mai?”. Gli chiedo allora di incollarle sul foglio, lui le mette tutte vicine, in basso a sinistra, e le racchiude con due linee nere fatte a pennarello. Gli dico di trovare delle parole o delle immagini che possano rappresentare quello che si aspetta da un lavoro con me e sceglie: “la vera vittoria”, “libertà”, “crede in me”, “certezze”, “fuori”, “sicuro”, “senza complessi”, “piacermi”, “scegliere”, “vivi una vita di straordinaria bellezza”. Gli chiedo di incollarle sul foglio e Lorenzo le mette all’estremo opposto rispetto alla sua situazione attuale, come se lui si sentisse chiuso in una gabbia e quei desideri fossero troppo lontani, irraggiungibili. Decido allora di intervenire disegnando una freccia verde (speranza) per collegare il presente con il desiderato futuro e dico a Lorenzo che questa freccia rappresenta il lavoro che potremo fare insieme, sottolineando quell’«insieme» che da lì in avanti saremo io e lui; gli dico che lo aiuterò a capire quali parole potremo mettere nella freccia, così entrambi ci mettiamo a sfogliare le riviste e ritagliare parole. Quelle che alla fine troviamo e incolliamo sono: “la possibilità di scegliere”, “coraggio”, “opportunità”, “fare”, “resilienza”, “lottare per se stessi”, “riscoprire l’ottimismo”, “strada”, “se ne parla”, “nessun traguardo è davvero irraggiungibile”.

Questo collage ha occupato un’intera seduta, durante la quale la comunicazione verbale è passata in secondo piano; Lorenzo ha potuto prendere in prestito parole dette o scritte da altri, farle sue e usarle per dirmi come si sente e come vorrebbe sentirsi. Inoltre fare il collage insieme a un ragazzo con queste difficoltà e in un periodo in cui il distanziamento e le mascherine erano obbligatori ha portato ad aumentare la nostra vicinanza, ha stimolato la fiducia e la forza della relazione.

LA TECNICA DELLO ZAINO

La tecnica dello zaino nasce come manovra esperienziale finalizzata a favorire la differenziazione di un giovane adulto dai suoi genitori. Il momento del distacco da casa e il vero e proprio svincolo emotivo del figlio possono minacciare un equilibrio, seppur disfunzionale, che la famiglia ha raggiunto. Questo può provocare agiti (colpevolizzazione, vittimizzazione di uno o entrambi i genitori, ricatto, sabotaggio economico) che vanno di fatto a ostacolare questo passaggio del ciclo di vita [3]. La tecnica dello zaino ha effetti duraturi nella demarcazione dei confini relazionali e permette una ridefinizione positiva della relazione genitori-figlio ridando a ciascuno quello che gli spetta: al figlio la conferma di sé e il permesso di esplorare il mondo, al genitore il compimento del proprio mandato di dare al figlio ciò di cui ha bisogno per completare la sua crescita.

La tecnica, come viene descritta da Canevaro [3], è la seguente: si chiede a un genitore alla volta, in presenza dell’altro che guarda restando in silenzio, di mettersi a sedere di fronte al figlio, con le ginocchia che si toccano, guardandosi negli occhi e tenendosi le mani. Il genitore deve trovare due o tre cose importanti di sé, di cui è orgoglioso e che ha coltivato nella sua storia, da donare al figlio, cosicché lui possa metterle nello “zaino” che si porterà dietro nel lungo cammino della vita e che potrà tirare fuori quando ne avrà bisogno, facendole sue. Una volta che il genitore ha verbalizzato i suoi doni per il figlio, il terapeuta li ripete e cerca di ridefinirli in poche parole.

In seguito anche il figlio lascia qualcosa di sé al genitore, qualcosa che reputi possa fargli piacere. Infine i due si abbracciano, senza commentare.

A questo punto si ripete il tutto con l’altro genitore.

“PUOI ANDARE, ZAINO IN SPALLA!”: UN RIADATTAMENTO DELLO ZAINO CON GLI ADOLESCENTI

Nel riadattamento dello zaino proposto per gli adolescenti questo strumento viene utilizzato in ultima seduta come oggetto (pur essendo nella versione originale una manovra esperienziale).

Concludere la terapia è responsabilità del terapeuta. Quando il sintomo per cui il paziente è arrivato non è più presente o quando gli obiettivi decisi inizialmente sono raggiunti, è giusto “liberare” il paziente, perché è questo il fine ultimo della terapia. Quando il paziente è adulto può esserci un ulteriore lavoro sul disturbo di personalità, ma nel caso di bambini e adolescenti non si può pensare di concludere la terapia quando il paziente è risolto, perché ci troviamo in fasi di vita in cui il carattere è in formazione e si correrebbe il rischio di stimolare aspetti di dipendenza.

La conclusione di una terapia è un momento importante ed è fondamentale preparare sia il bambino che l’adolescente perché in queste fasi del ciclo di vita si sviluppano la fiducia e la sicurezza che sono di fatto le premesse che rendono possibile realizzare il proprio progetto esistenziale; dare loro sicurezza, passare il messaggio “io per te ci sarò sempre”, così come fare un bilancio di quello che è stato fatto e degli obiettivi raggiunti è funzionale a tale scopo.

L’idea di usare lo zaino è nata proprio per facilitare il distacco dal terapeuta e lasciare al ragazzo un bagaglio, da poter utilizzare nella vita, pieno di ciò che ha coltivato nel suo percorso di terapia.

In ultima seduta viene consegnato al ragazzo il disegno di un grande zaino stampato su un foglio (figura 4) e la seguente consegna:




“Scrivi dentro lo zaino tutto quello che ti porti dietro dal tuo percorso di psicoterapia cosicché nel tuo cammino di crescita, quando ne avrai bisogno, potrai usare ciò che hai appreso e coltivato con fatica per affrontare gli ostacoli che ti si porranno davanti”.

È importante che il terapeuta proponga correttamente questo lavoro dimostrando al ragazzo di essere fiero del fatto che sia pronto ad andare avanti sulle sue gambe e che se mai nella vita dovesse avere bisogno potrà sempre contattarlo; così questo oggetto rappresenta anche un modo per differenziarsi dal terapeuta, avendone il permesso, e sentirsi libero di andare nella convinzione che si potrà sempre tornare (un po’ come i giovani adulti nella fase di svincolo, appunto).

LO ZAINO INCONTRA IL COLLAGE: UNA MODALITÀ CONGIUNTA COME FACILITATORE DELLA CONCLUSIONE DEL PROCESSO TERAPEUTICO CON BAMBINI E ADOLESCENTI

Quella che verrà descritta è un’ulteriore modifica del riadattamento del collage precedentemente esposto che però può essere utilizzata anche con i bambini perché prevede una maggiore partecipazione da parte del terapeuta.

Questa versione può essere utile anche con gli adolescenti che non sono in grado di svolgere il compito in autonomia per difficoltà che possono andare da un ritardo cognitivo a una semplice difficoltà di espressione e/o astrazione, lungo un continuum determinato dall’esperienza e dall’età del soggetto.

In ultima seduta il terapeuta fornisce al paziente un foglio con il disegno di uno zaino (figura 4), dispone sul tavolo riviste, immagini, matite, pennarelli, forbici, colla e si mette a sedere accanto a lui.

La consegna è di pensare a quello che ci si porta dietro dal percorso fatto, ma il bambino (o il ragazzo) cerca nelle riviste messe a disposizione le parole che vuole mettere nello zaino e il terapeuta aggiunge qualcosa scrivendolo.

Alla fine della seduta, quando il genitore viene a prendere il bambino, è utile dedicare qualche parola all’opera realizzata, mostrandola e facendo molti complimenti. Si può inoltre suggerire al bambino di attaccare lo zaino nella sua stanza con l’aiuto del genitore e questo per due motivi: il primo, che è bene esplicitare, è che il bambino non lo attacchi dove potrebbe rovinare il muro o qualche mobile e far quindi arrabbiare il genitore; il secondo, che resta implicito ma è il più importante, è che così facendo anche il/i genitore/i potrà/potranno leggere il contenuto dello zaino che sarà certamente un promemoria importante.

IL PERMESSO DI ESSERE BAMBINA E IL CORAGGIO DI DIVENTARE GRANDE: IL CASO DI VANESSA

Vanessa inizia la terapia a dicembre 2019: aveva 8 anni, frequentava la II elementare e a scuola non parlava molto, non rivolgeva la parola alle maestre neanche quando erano loro a farle delle domande; inoltre aveva problemi a socializzare ed era aggressiva verso mamma e papà.

Vanessa ha dovuto affrontare molti ostacoli nella sua vita e alcuni si sono posti anche sulla strada del suo percorso terapeutico: l’avvento del Covid e il primo terrificante lockdown (marzo 2020), la separazione dei genitori subito dopo, la didattica a distanza e tutte le misure prese per la gestione della pandemia (distanziamento sociale e uso delle mascherine). Seppure con qualche interruzione, data anche dall’impossibilità di lavorare a distanza, il percorso di Vanessa è andato avanti tra incontri con la bambina da sola, con entrambi i genitori (all’inizio) e con Vanessa e un genitore alla volta dopo la separazione (questo per scongiurare la possibilità che potesse attivarsi ulteriormente nel sintomo per costringere i suoi a collaborare riavvicinandosi).

Con i suoi sintomi Vanessa dava voce alle emozioni di tutti in casa mentre fuori seguiva il mandato familiare secondo cui “delle cose non si parla”.

Le parole e le frasi che Vanessa ritaglia e attacca nel suo zaino sono (figura 5): “amare ciò che sei”, “unica”, “puoi giocare” (come se si fosse data il permesso di essere e fare la bambina), “soluzioni”, “cuccioli”, “famiglia”, “buon sonno” (durante la terapia Vanessa, che dormiva con la madre, è tornata a dormire nel suo letto), “la giusta protezione”, “me contro te” (che è solo il nome dei suoi youtuber preferiti!).




Le cose che aggiungo io nello zaino scrivendole sono (figura 5): “io sono una bambina e devo lasciare che i grandi si occupino di me”, “non mi devo occupare io della mamma, posso dormire da sola”, “le regole mi danno sicurezza, mi fanno sentire al sicuro”, “le emozioni si possono esprimere (quelle belle e quelle brutte) con le parole”, “a scuola posso rispondere alle maestre”, “il babbo e la mamma sono grandi e io non devo preoccuparmi per loro”, “è bello fare le cose insieme e condividere emozioni e sentimenti”.

La cosa che succede spesso con i bambini è che il terapeuta prepari la mappa ma poi sono loro che decidono quale percorso effettuare. In questo caso Vanessa ha scelto delle parole e ha deciso di metterle fuori dallo zaino. Non mi ha detto perché, lo ha fatto e basta: “essere una ragazza felice”, “me”, “viaggi”, “scoprire”, “benessere”, “ci sei solo tu Martina io con te sto proprio bene ti cerco”. Vedo in queste parole la passione di Vanessa per i viaggi, il suo desiderio di stare bene, trovare se stessa e scoprire nuove cose, la volontà di stringere amicizie. Così Vanessa mi ha dato lo spunto e da quel momento, oltre che dare la consegna di mettere le parole dentro lo zaino, dico sempre anche che fuori dallo zaino, volendo, si possono mettere desideri, sogni e possibili strade future.

È bello stupire… ma quanto è magico stupirsi!

CONCLUSIONI

Le proposte contenute in questo articolo nascono dallo sviluppo di idee maturate nella pratica clinica e dal pensiero divergente, che in un terapeuta dovrebbe essere preponderante: le tecniche che conosciamo impongono, così come il gioco, regole specifiche ma provvisorie e in divenire [13] che possono essere cambiate in favore della specificità e imprevedibilità del paziente che abbiamo davanti, pur nel rispetto del processo terapeutico e delle basi teoriche che le hanno originate.

Nella psicoterapia con bambini e adolescenti è fondamentale adattare tecniche e stili per aiutare i piccoli pazienti a esprimere le loro emozioni e dare un senso ai loro sintomi. Come terapeuti è necessario mettersi in gioco ed essere flessibili, dare spazio al nostro sentire, alla creatività nonché alle nostre caratteristiche personali e caratteriali, che alla stregua di una salda preparazione e una costante formazione rappresentano una chiave che dobbiamo avere il coraggio di usare per provare ad accedere alle storie alternative che i nostri cari pazienti possono identificare in se stessi e sviluppare con il nostro aiuto [11]. Credo che sia questa la meta da raggiungere per chi fa il terapeuta e vuole tagliare il traguardo dell’essere terapeuta… Che poi, come spesso accade nella vita, più che un traguardo rappresenta un nuovo inizio: ma il resto del percorso lo si scorge solo dopo aver fatto quel passo che sembra piccolo, ma proprio perché nasconde mille insidie, richiede molto coraggio.

Note

1 I riferimenti personali e contestuali sono stati opportunatamente modificati, per tutelare la privacy dei soggetti.

2 Per fare le scarpe Francesco ha utilizzato i cubetti di polistirolo che vengono usati per imballare i pacchi.

3 Martina è il nome di un’amichetta con cui Valentina era riuscita a legare nell’ultimo periodo (ndr).

4 Un ringraziamento speciale al Dr. Gianmarco Manfrida e alla Dr.ssa Daniela Tortorelli, miei eccezionali Maestri e persone meravigliose, sempre presenti, generose, incoraggianti e la cui devozione all’insegnamento è ammirevole. È da loro che ho imparato a essere terapeuta e portare avanti questo bellissimo lavoro con senso di responsabilità e coraggio ed è a loro che devo la psicoterapeuta che sono e che diventerò.

BIBLIOGRAFIA

1. Barker P. Il colloquio clinico con i bambini e gli adolescenti. Roma: Astrolabio, 1990.

2. Borella M. Il collage di immagini nella terapia con adolescenti e giovani adulti. Terapia Familiare 2016; 110: 57-75.

3. Canevaro A. Quando volano i cormorani. La terapia individuale sistemica con il coinvolgimento dei familiari significativi. Terza edizione. Roma: Edizioni Borla, 2009.

4. Bierman KL, Schwartz, LA. Clinical child interviews: approaches and developmental considerations. Journal of Child and Adolescent Psychotherapy 1986; 3: 267-78.

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6. Colacicco F. Il giocatore di scacchi. Roma: Alpes Italia, 2017.

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9. Andolfi M, Mascellani A. Storie di adolescenza. Esperienze di terapia familiare. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2010.

10. Di Fazio F. La comunicazione nel gioco: riflessioni sistemico-relazionali. La notte stellata 2021; 1: 41-9.

11. Manfrida G. La narrazione psicoterapeutica. Invenzione, persuasione e tecniche retoriche in terapia relazionale. Milano: FrancoAngeli, 2014.

12. Cancrini L. La psicoterapia: grammatica e sintassi. Manuale per l’insegnamento della psicoterapia. Roma: La Nuova Italia Scientifica, 1987.

13. Barone M, Lanza A, Cupini A, Damicis M, Marroni F, Massimi S. L’oggetto Dixit nella pratica clinica: uno strumento analogico al servizio della co-costruzione. Ecologia della Mente 2019; 2: 173-215.

14. Cancrini L. La cura delle infanzie infelici. Viaggio nell’origine dell’oceano borderline. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2012.

15. Bruni F, De Filippi P. Gli oggetti in psicoterapia relazionale. Indicazioni e modelli di intervento. In: Chianura P, Chianura L, Fuxa E, Mazzoni S (a cura di). Manuale clinico di terapia familiare. Vol. 3: metodi e strumenti per la valutazione dei processi relazionali. Milano: FrancoAngeli, 2011.

16. Caillé P, Rey Y. Gli oggetti fluttuanti. Metodi di interviste sistemiche. Roma: Armando Editore, 2005.

17. Adiutori S. Dal frammento al racconto: l’uso del collage nella relazione di aiuto. In: Acocella AM, Rossi O (a cura di). Le nuove arti terapie. Percorsi nella relazione di aiuto. Milano: FrancoAngeli, 2013.

18. Adiutori S. La tecnica del collage e il lavoro autobiografico. Nuove Arti Terapie; la mediazione artistica nella relazione di aiuto 2015; 15: 14-17.

19. Giaveri L. Reinventare il collage: adattamenti dello strumento in terapia, in contesti formativi e ai tempi del covid-19. Frattali 2021; 1: 58-78.

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21. Cancrini L. Bateson e il Centro Studi: la metafora che noi siamo. In: Cotugno A, Di Cesare G (a cura di). Territorio Bateson. Roma: Meltemi, 2001.