Il Centro Studi di Terapia Familiare
e Relazionale dalla fondazione a oggi:
una storia, tante storie

Rita Latella1

1Psicologa, psicoterapeuta, Asl di Pescara, didatta del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale nella sede IPRA di Pescara.

«Deve esserci un “fondo” su cui poter cucire queste complesse relazioni,

ma la trapunta a riquadri non è la stessa dei vari pezzi di stoffa di cui è fatta.

È la loro combinazione in un nuovo tessuto che dà calore e colore».

Gregory Bateson

In un mondo che cambia con incredibile velocità, medici e terapeuti sono al centro di domande cui non è facile rispondere utilizzando la propria esperienza. Divulgare l’esperienza di chi ha lavorato per primo su temi dotati di un alto coef­ficiente di novità sarà, dunque, lo scopo principale di questa sezione della rivista.

In a fast world, practitioners and therapists are the target subjects of many questions to which it is not easy to answer using one’s previous personal expe-rience. The principal aim of this section will be to disseminate the experience of those who have been the first to work arguments with a high percentage of novelty.

En un mundo que cambia rápidamente, médicos y terapeutas se ponen una serie de preguntas que no son fácil de contestar recurriendo solo a la experiencia personal. Nos interesa divulgar acá, los aportes de aquellos que han trabajado por primera vez sobre algunos temas nuevos.

Riassunto. Questo articolo vuole essere un contributo per la celebrazione dei 50 anni della fondazione del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale, attraverso gli occhi e il cuore di una persona che ha percorso i “territori” del Centro Studi, utilizzando un racconto autobiografico che parte come narrazione di una psicologa in fase di esplorazione e alla ricerca di un paradigma, di un approccio che le desse nuove lenti e strategie di intervento da applicare nel contesto lavorativo, per poi continuare il viaggio, in un intreccio di relazioni e ruoli, da allieva terapeuta ad allieva didatta a didatta e presidente di una delle formative del Centro Studi. Una narrazione di un viaggio che continua…

Parole chiave. 50 anni, narrazione, psicoterapia, racconto autobiografico, cambiamento, narrazione di sé, base sicura, schismogenesi.

Summary. The Study Center for Family and Relational Therapy from its foundation to today: one story, many stories.

This article is intended to be a contribution to the celebration of the 50th anniversary of the foundation of the Study Center for Family and Relational Therapy, through the eyes and heart of a person who has traveled the “territories” of the Study Center, using an autobiographical story that starts as a Psychologist in the exploration phase and in search of a paradigm, an approach that would give her new lenses and intervention strategies to be applied in the work context and then continue a journey, in an interweaving of relationships and roles, from student therapist to student teacher, teacher and president of one of the training centers of the Study Center. A narration of a journey that continues…

Key words. 50 years, storytelling, psychotherapy, autobiographical story, change, self-narration, secure basis, schismogenesis.

Resumen. El Centro de Estudios de Terapia Familiar y Relacional desde su fundación hasta hoy: una historia, muchas historias.

Este artículo pretende ser un aporte a la celebración del 50 aniversario de la fundación del Centro de Estudios de Terapia Familiar y Relacional, a través de la mirada y el corazón de una persona que ha recorrido los “territorios” del Centro de Estudios, utilizando una historia autobiográfica que parte como psicóloga en la fase de exploración y en busca de un paradigma, un abordaje que le daría nuevos lentes y estrategias de intervención para aplicar en el contexto laboral y luego continuar un recorrido, en un entretejido de relaciones y roles , de estudiante de terapeuta a estudiante de magisterio y presidente de uno de los centros de formación del Centro de Estudios. Una narración de un viaje que continúa…

Palabras clave. 50 años, narración, psicoterapia, relato autobiográfico, cambio, autonarración, base segura, cismogénesis.

LA NARRAZIONE DI UN VIAGGIO CHE CONTINUA

Sono molti i modi di raccontare una storia e a tutti piacerebbe farlo in maniera creativa e comunque che restasse, attraverso la magia della narrazione, tramandata di generazione in generazione.

A volte, però, è più facile narrare che scrivere una storia, perché scrivendo siamo obbligati a fissare le parole, le ambientazioni e le situazioni, che possono essere quelle e solo quelle, anzi dovrebbero essere quelle e solo quelle, ma inevitabilmente quando la narrazione riguarda il sistema-famiglia che ci ha allevati nella molteplice dimensione formativa, si opera una rivisitazione della propria storia personale in una narrazione di sé, poiché la narrazione porta il cuore, la mente e gli occhi di chi l’ha vissuta. Raccontare dal mio punto di vista la storia del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale a 50 anni dalla sua nascita diventa un racconto autobiografico, almeno per i 32 anni in cui la mia esistenza ha incrociato e viaggiato per i “territori” del Centro Studi, permettendomi di scoprire attraverso le “mappe” che mi ha fornito una nuova epistemologia per conoscere il Sé, le situazioni e i contesti di questo ecosistema, nutrendo la sete di conoscenza di nuove idee.

Il mio secondo incontro con la formazione in Psicoterapia è stato appunto con la Terapia Familiare e il modello sistemico-relazionale, ed è avvenuto negli anni Novanta quando, fortemente insoddisfatta dell’approccio e della chiave di lettura della mia prima formazione, sentivo fortemente la necessità di approfondire un approccio che mi fornisse gli strumenti adeguati a leggere sintomi e situazioni problematiche di bambini che vedevo in un centro di Riabilitazione con sede a Pescara. Quando ho iniziato a lavorare presso il Centro di Riabilitazione, il ruolo dello psicologo era di stilare, dopo aver “visitato” il bambino, un piano di trattamento, che le psicomotriciste e logopediste adottavano e seguivano nel percorso riabilitativo. Spesso i genitori accompagnavano i figli per la compilazione della cosiddetta anamnesi. Spontaneamente, sentivo la necessità di convocare le famiglie, sostenere colloqui con i genitori, osservare e lavorare congiuntamente con la logopedista e le psicomotriciste. Iscrivendomi al corso di specializzazione in ottica sistemico-relazionale proposto dal Centro Studi mi sono appassionata di un modo diverso di leggere le situazioni e ho indossato nuovi occhiali per contestualizzare i sintomi e lavorare con le famiglie. Tra i concetti insegnati dai didatti Walter Bernucci ed Emmanuela Becchis e dalle maestre Lieta Harrison e Grazia Cancrini c’erano innanzitutto l’attenzione al contesto sociale e relazionale e la lettura del ciclo vitale della famiglia.

Per i terapeuti del Centro Studi è infatti importante acquisire, oltre al concetto di ciclo vitale, il riferimento al contesto, che dà significato al comportamento e viceversa. Si contestualizzano le condizioni in cui si presentano i comportamenti sintomatici e, grazie alle intuizioni di Bateson, si impara a prestare attenzione alle situazioni relazionali che fanno da cornice ai comportamenti.

In realtà il dibattito nel trattamento della patologia mentale, della schizofrenia intesa come prodotto di un’interazione tra individui famiglie e psichiatria l’ho vissuto per certi versi dopo che, all’alba del “fenomeno Basaglia”, si era arrivati alla chiusura dei manicomi e io, studentessa della facoltà di Psicologia della Sapienza di Roma, svolgevo il mio tirocinio a Santa Maria della Pietà. Le gremite lezioni di G. Jervis e lo studio dei primi libri di Luigi Cancrini “Bambini diversi a scuola”, “Esperienze di una ricerca nelle tossicomanie giovanili” e il testo di Watzlawick “Pragmatica della comunicazione umana” hanno rappresentato sicuramente il primo incontro con il movimento culturale e scientifico portato dai pionieri della terapia familiare in Italia, i cui semi sono rimasti sopiti durante gli anni della mia prima formazione con i salesiani Scilligo, Cupia e Macario.

Sono solita raccontare agli allievi alcuni aneddoti per descrivere gli sviluppi dell’ottica sistemico-relazionale in America e in Italia, come quando, facendo volontariato a piazza Navona con suor Giovanna F, di casa a Santa Marta in Vaticano, sentivo parlare i tossicomani del “medico rivoluzionario” che li incontrava in piazza e della nascita di una comunità in appartamento, che di fatto è stata la prima Comunità terapeutica in Italia. Il medico rivoluzionario era Luigi Cancrini. Un altro aneddoto, che sono solita raccontare, riguarda la mia difficoltà ad abbandonare la lettura unidirezionale e la diagnosi internazionale nosografica delle malattie mentali per una lettura relazionale dei sintomi e della malattia. L’episodio che ancora oggi ricordo con un sorriso velato risale a quando, dopo aver preparato l’esame di Psichiatria sul manuale Brisset-Bernard, disorientata abbandonai l’aula mentre sostenevo l’esame con il prof. Cancrini che era stato nominato al posto del prof. Donini e mi diceva, con la calma e l’accoglienza che lo contraddistinguono: “Ma signorina… perché va via, sta andando bene…”. Il mio disorientamento derivava, nonostante avessi studiato i suoi libri di testo, da un linguaggio nuovo, rivoluzionario rispetto ai problemi, il disadattamento e la patologia mentale letti nel loro contesto e non secondo una nomenclatura nosografica classica. Dopo qualche mese ho sostenuto l’esame con il massimo dei voti, ma non avrei mai immaginato di ritrovare il prof. Cancrini sulla mia strada, dopo anni, insieme a Maria Grazia Cancrini, Lieta Harrison, Marisa Malagoli Togliatti, Maurizio Coletti e altri esponenti del Centro di via Val di Cogne. Il Centro Studi nasceva nel 1970 in un clima culturale e politico ben definito: il gruppo fondatore aveva edificato le fondamenta di quella che poi diventerà una storica Scuola di Specializzazione in ottica Sistemico-Relazionale, lavorando sin dalla primavera del 1969, sulla base di un grant concesso dalla Fondazione Agnelli, non su una costruzione teorica, bensì pensandolo come uno spazio di intervento pieno di idee (di persone) in movimento e ricco, persone che hanno sviluppato nel tempo ricerche e teorizzazioni su importanti temi della psicologia, della psicoterapia nonché sulla sociologia e politica del nostro tempo. E se l’idea di fondo da cui è nato il Centro Studi, principalmente attorno alla persona di Luigi Cancrini, è stata la connessione alla battaglia politica, per far passare e crescere il pensiero basagliano – con una forte attenzione al rapporto dialettico tra livello macrosociale e microsociale e alle influenze che sulla famiglia vengono esercitate dal contesto socio-culturale più largo – il background personale di alcuni dei membri del gruppo di pionieri di via Val di Cogne, che avevano partecipato attivamente appunto al processo di rinnovamento dell’Assistenza psichiatrica in Italia avviato da Franco Basaglia, si è coniugato con la possibilità e la necessità di un rinnovamento dell’Assistenza, con lo sviluppo di un bagaglio conseguente di competenze e di professionalità profondamente rinnovate (Cancrini, Malagoli Togliatti, Onnis, Maria Grazia Cancrini, T. Coletti). Quindi non solo precursori e pionieri dell’approccio sistemico e della terapia familiare, ma formatori, impegnati in termini sistemici a lavorare nel territorio per i problemi proposti dai bambini diversi a scuola, dai tossicodipendenti, dai pazienti psichiatrici e dai bambini feriti. Tutto ciò ha generato un contributo professionale e culturale utile alla scrittura di leggi come ad esempio quella per il diritto alle cure per i tossicodipendenti, l’accesso alla scuola normale per i bambini problematici o di progetti sui servizi di primo e secondo livello per il superamento di una visione non integrata dei disturbi individuali nel lavoro con le famiglie multiproblematiche. Come dicevo, punti di riferimento per Luigi Cancrini e gli altri sono stati, prima ancora dello stesso movimento sistemico relazionale, Freud e Basaglia; la psicoanalisi restituendo alla persona la sua libertà di esprimersi (la psicoanalisi e/o la psicoterapia funzionano nel momento in cui riescono a mettere in contatto con la propria storia) ha avuto la prerogativa di mettere la persona nella condizione di raccontarsi. Anche Basaglia nell’“Istituzione negata” raccontava che il tentativo fatto con i pazienti era quello dell’Assemblea dove ognuno era chiamato a raccontarsi. L’idea per cui una persona raccontandosi si libera dal peso dei condizionamenti era per Basaglia base di attività concreta nella situazione di de-istituzionalizzazione. Come spesso ci ha raccontato Luigi Cancrini la sua amicizia con Franco Basaglia aveva alla base il tentativo di raccordare operativamente tecnica e politica all’interno di un’Associazione. In seguito i “basagliani” (G. Jervis e altri) invece avevano in mente un tecnico che si sostituiva ai politici dimenticando di essere tecnico. Ciò è stato motivo di dissenso tra il gruppo fondatore del Centro Studi e il gruppo dei basagliani. Ma è proprio nell’ambito di questo fermento culturale e politico che il gruppo di psichiatri e psicologi fondatori del Centro Studi ha cominciato a manifestare un grande impegno nell’applicazione della terapia familiare e della formazione degli operatori nella sede di via Val di Cogne.

Nello studio dei libri e nell’ascolto delle lezioni di Luigi Cancrini posso affermare oggi di aver trovato un faro che ha tracciato e illuminato il mio percorso professionale. Conoscere Luigi Cancrini e gli altri pionieri della terapia familiare in Italia è stato un punto di contatto importante non solo per la crescita del proprio Sé, ma anche per l’epistemologia e l’epigenesi delle storie, della mia storia.

E poi, l’incontro con la mia maestra e mentore Grazia e con lei Lieta, presente a distanza durante la mia formazione di allieva terapeuta. Grazia e Lieta hanno lavorato tanto insieme e sin dal mio primo incontro con Grazia ho capito quanto siano state importanti l’una per l’altra, nella vita e nella dimensione della ricerca che noi oggi abbiamo in eredità attraverso i libri scritti a quattro mani. Entrambe ci hanno proposto in maniera forte la possibilità di un racconto diverso da quello in cui la famiglia si è fermata. Grazia diceva che la follia è “la perdita di riferimenti che spiegano chi siamo e che cosa facciamo”; entrambe ci hanno spiegato in modo chiaro che “quelli che stanno male, spesso non sono quelli di cui si dice che stanno male, sono quelli che dicono degli altri che stanno male”. Mentre scrivo, la mia mente mi porta nel cassetto dei ricordi: “Va’ e vedi”, diceva Maria Grazia Cancrini prima del mio ingresso in stanza di terapia durante la supervisione diretta ai tempi del mio percorso formativo di allieva-terapeuta.

Grazia era chiara, nella relazione didattica, poco interventista, ma si prendeva cura di ognuno/a di noi, con un approccio a 360°, laddove la relazione didattica stessa rappresentava il “lavorare con” l’allievo e non “lavorare su” l’allievo. Noi allievi terapeuti, e soprattutto i fondatori dell’IPRA, a nostra volta volevamo essere addestrati e allevati a prenderci cura di individui, coppie, famiglie, che nello specifico del genere portavano in terapia problematiche, sintomi e difficoltà. Ogni volta rappresentava una ri-partenza per una nuova avventura, e la nostra avventura con Grazia continuava oltre la stanza di training, tra cene e momenti di convivialità, spesso trovando guida e confronto su ciò che ci accomunava, cioè l’amore per la terapia familiare.

Come diceva Lieta Harrison, la crescita dell’allievo non può avvenire se non in una cornice, prendendo a prestito il concetto di Bowlby di “base sicura”, per identificare questo primo compito del didatta ovvero una base sicura da cui partire per sempre nuove esplorazioni su di sé e inoltre, durante i percorsi terapeutici, base sicura cui tornare per affrontare gli inciampi e le cadute per ri-partire sia verso maggiori livelli di individuazione che verso un ri-orientamento della cura e dell’intervento. Maria Grazia è stata una “base sicura” anche quando se n’è andata, lasciando un’eredità che non si è persa nel tempo.

Da ciò che hanno seminato i fondatori del Centro Studi e dalla cura e allevamento dei nostri didatti è nato l’Istituto di Psicologia Relazionale Abruzzese, denominato oramai con l’acronimo IPRA, è poi diventato Istituto di Psicologia Relazionale Abruzzese Maria Grazia Cancrini nel 2003. Una delle tante storie nella storia del Centro Studi di Terapia Familiare.

L’IPRA non è nata, come spesso ho raccontato, a tavolino, per così dire con l’idea di fondare una scuola, ma è nata sulla necessità di un gruppo misto di persone, alcuni allievi-terapeuti altri terapeuti già formati presso il Centro Studi, di condividere una stessa matrice culturale in un luogo fisico e mentale dove esprimere la passione per la terapia familiare. Ciò è stato stimolato dal bisogno di portare avanti quella rivoluzione culturale che era stata già avviata 10 anni prima da Lieta e Grazia in Abruzzo. La motivazione implicita era anche il timore di dover proseguire a Roma la nostra formazione, in seguito alla schismogenesi dei soci all’interno dell’associazione collegata alla Random, che organizzava per questa struttura formativa del Centro Studi i corsi di specializzazione a Pescara. È ancora vivo il ricordo di quando al ritorno in macchina da Roma insieme a Chicca Rieve (Presidente dell’IPRA per un anno) abbiamo pensato di dare il nome “Istituto di Psicologia Relazionale Abruzzese” alla “creatura” che stava per nascere nel luglio 1995. L’anno successivo sono stata eletta Presidente e nel tempo, come in tutti i sistemi, rispetto ai 30 soci fondatori iniziali, ci sono state uscite di molti soci allievi che si sono specializzati e nuovi ingressi; per un gruppo ristretto di allievi, del quale facevo parte, in particolar modo coinvolti e che mantenevano in vita non solo la sede, ma anche l’Associazione, in termini di risorse/nuovi allievi e organizzando nuovi corsi di specializzazione, in veste di direttivo dell’Associazione, Grazia propose e avviò il percorso di allievi-didatti. Sicuramente nel momento della fondazione dell’IPRA eravamo ignari e mancava la progettualità di fondare una scuola. Il progetto cominciava a prendere forma nella mente di Grazia che individuava i requisiti e una storia formativa (soci fondatori e componenti del direttivo che nel frattempo avevamo iniziato la formazione di allievo-didatta) tale da richiedere l’autorizzazione al MIUR quale sede del Centro Studi. Il nostro senso di appartenenza ha guidato Grazia con il sostegno di Lieta e la volontà di Luigi a presentare la domanda al MIUR per autorizzare la sede di Pescara. Immaginando un genogramma del Centro Studi, appartengo alla seconda generazione di didatti insieme a Diomira Di Berardino, Valerio Canelli, Sheila Ferri, Rita Sabatini e Gabriella Monti. Oggi rappresentiamo “i didatti anziani dell’IPRA”, ma abbiamo avuto una condizione particolare nello svolgere il nostro percorso formativo, cioè a dire allievi-didatti che conducevamo i training con la supervisione mensile di Grazia. Un aneddoto che sono solita raccontare agli allievi è la capacità di Grazia di separare i contesti, facevamo i conti (lei per Random e io nel mio ruolo di Presidente dell’IPRA) magari davanti a una birra o condividendo la scelta del cappotto da indossare al matrimonio di Francesca e Luigi, ma poi in stanza di training mi “bacchettava”, ricordo sempre con la sua dolcezza e il sorriso che ancora oggi vedo con gli occhi della mente. La complicità con Grazia in tutto il percorso e il tempo di attesa, non privo di ostacoli, che ovviamente non sto qui a elencare, prima di ottenere l’autorizzazione e credo di averlo raccontato in altri contesti (ma non ricordo di averlo mai scritto), alla notizia e durante l’inaugurazione della neonata sede riconosciuta Grazia mi regalò una medaglia tipo portachiavi (ovviamente non ha un valore in termini monetari) e fino ad oggi ricordo le parole che hanno accompagnato il gesto “questa è tua… te la meriti per la perseveranza e… non ti aspettavi di certo che l’IPRA diventasse una scuola!”. Sono consapevole di essere stata, per dirla con una metafora, come il primo violino e lei una grande direttrice di orchestra e credo fermamente che sia stato per me un enorme privilegio aver condiviso con lei questo pezzo di storia dell’IPRA e del Centro Studi.

Così come abbiamo fatto nostro il concetto rivoluzionario di Franco Basaglia che la storia è l’unico strumento che consente di “mettere tra parentesi la malattia mentale, di connetterla, di incontrarla”, anche Bateson ci ha offerto una nuova idea quando dice che si reagisce sempre alle storie che l’altro non racconta, oltre a quello che racconta e noi ci sforziamo sempre di leggere tra le righe.

La nostra esistenza è la nostra storia, noi siamo la nostra storia, la storia dell’IPRA è anche la mia storia, pertanto vale la pena continuare a raccontarla, perché ci sono ancora troppe cose belle da ricordare, e io vorrei continuare a raccontarla questa storia per essere stata in una posizione di “osservatore privilegiato” e protagonista di trasformazioni, cambiamenti, di selezione fisiologica, non solo all’interno dell’IPRA ma anche delle altre sedi del Centro Studi, a partire dei cugini della RANDOM. Alcuni soci sono usciti, altri sono entrati, molti allievi hanno concluso il loro percorso formativo e altri si sono iscritti, arricchendoci con i nuovi ingressi di allievi-didatti. La sfida di cui Grazia è stata pioniera è stata da noi raccolta e credo che questo anno in cui si celebrano i 50 anni del Centro Studi ci debba servire a mantenere una coerenza di pensiero, la stessa coerenza che lei ci ha trasmesso e che ci hanno trasmesso i fondatori con alla guida il nostro padre fondatore e presidente Luigi Cancrini; noi dobbiamo cercare di trasmettere questa coerenza di pensiero agli allievi, nonostante le criticità interne/esterne che la grande famiglia del Centro Studi ha attraversato negli anni. Per quanto mi riguarda posso affermare che ci sono voluti 10 anni per elaborare una perdita, quella del mio mentore Grazia, e rimasta orfana sono stata costretta a responsabilizzarmi e far crescere una creatura senza conoscere “l’arte del mestiere”.

Oggi, mentre scrivo, si celebrano i 50 anni a Catania, non ci sono fisicamente, ma è talmente forte il senso di appartenenza che mi sembra di esserci, partecipando anche attraverso i potenti mezzi dei social!

Mi rendo conto che raccontare la storia e i territori del Centro Studi, una complessa multiformità evolutasi in 50 anni, non è facile, per l’intreccio e lo snodarsi di una “mappa” che può essere capita solo percorrendo i “territori” Centro Studi, per dirla in termini batesoniani (“la mappa non è il territorio”, G. Bateson, 1971) che si sono raddoppiati e moltiplicati costituendo “una calda e variopinta coperta”, per dirla sempre in termini batesoniani. Man mano che percorro questi territori, accompagnata da una forte emozione, si aprono tanti cassetti dove ho riposto fotografie (stampate), frame, spezzoni di questo film e, rivedendoli, alcuni mi fanno sorridere, altri mi commuovono pensando a tutte le persone care, le mie maestre, i didatti fondatori che ho incontrato e i didatti delle altre sedi che mi hanno aiutata a crescere, alcuni li ho dovuti lasciare andare, per chissà quale pianeta, in altri universi e/o galassie e che sono presenti camminando ancora con me sotto forma di aria e luce arricchita di un’eredità di pensiero culturale e scientifico e di valori umani.

Vorrei chiudere questo mio piccolo contributo con un racconto sistemico.

Il calore generativo della vita

C’erano una volta nella galassia che ospita la Mente, tante menti che, spinte dalla necessità di vivere e lavorare nei differenti contesti, diedero vita al Sistema Mente e furono guidate, nel loro cammino, dalla bussola dell’Epistemologia Sistemica e Relazionale. La bussola divenne ben presto una rivoluzione alla pari di quanto avvenne nel mondo della fisica con il passaggio da quella classica alla meccanica quantistica. Non si trattava di cancellare le vecchie mappe quanto piuttosto di dare vita a nuove, modificando il modo di percepire e descrivere i diversi territori che si presentavano lungo il percorso. Si venne così a creare l’Universo del Centro Studi che aveva, al proprio interno, dei grandi Soli luminosi che permisero a questo sistema, grazie alla loro passione e forza d’animo, di divenire autopoietico. Si andarono così a generare nuovi universi ognuno dei quali era custodito da grandi Soli luminosi che condividevano il loro calore con i pianeti che decidevano di farvi parte. I pianeti, accuditi da questo tepore, divennero a loro volta stelle capaci di trasmettere conoscenza e calore. Quando alcuni dei grandi Soli generatori si spensero, le stelle che erano cresciute nutrite dal loro calore divennero a loro volta generatrici di luce e capaci, con la loro luce, di fungere da punto di riferimento. La galassia Mente era dunque diventata un insieme di realtà tra loro collegate che avrebbero portato avanti, ereditandolo, il volere e il calore di ciascun Sole che sarebbe nato, dando così vita a un futuro radioso per ciascun pianeta che sarebbe orbitato in questo luminoso e tiepido universo.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

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Cancrini L, Malagoli Togliatti M. Psichiatria e rapporti sociali. Roma: Scione, 2013.

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Centonze S. Il metodo autobiografico creativo. Intelligenza emotiva e narrazione di sé con la tecnica della fiabazione per la crescita personale. Carmiano (Lecce): Edizioni Circolo Virtuoso, 2017.

Watzlawick P, Beavin JH, Jackson DD. Pragmatica della comunicazione umana. Roma: Astrolabio Ubaldini, 1978.