Il vampiro bussa sempre alla porta
prima di entrare

Gloria Guillot1


1Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale; tesi di fine training Supervisione diretta. Supervisore: Maria Laura Vittori.



Portiamo avanti con la storia raccontata da Gloria Guillot la sezione dedicata alla migliore delle storie cliniche preparate per l’esame di fine training dagli allievi del Centro Studi. Un gruppo di didatti ha verificato, in un lavoro precedente pubblicato su “Ecologia della mente”, la validità terapeutica di questi interventi.




With the story by Gloria Guillot we continue the section devoted to the best clinical case prepared for the final examination by the students of the Centre. A group of teachers has verified, in a previous work published in “Ecologia della mente”, the validity of these interventions.




En esta sección dedicada a la mejor de las historias clínicas estudiadas para el examen de final de training de los alumnos del Centro Estudios, presentamos la historia escrita por Gloria Guillot. Un grupo de didactas evalúan la eficacia y validez de estas acciones terapéuticas ya publicadas anteriormente en “Ecologia della mente”.


A mio marito e ai miei figli

INTRODUZIONE

Non avrei mai immaginato quanto quest’esperienza mi avrebbe cambiata. Quando sono entrata nella stanza di terapia per la prima volta non avevo minimamente tenuto conto di cosa sarebbe accaduto a me, alle mie piccole certezze e quanto questi miei primi pazienti mi avrebbero trasmesso e insegnato. Ero certamente emozionata, anche se mi sentivo tranquilla perché sapevo che dietro di me ci sarebbe stata la Prof.ssa Vittori. All’inizio ero concentrata principalmente su ciò che ci si aspettava da me e sul come ciò andava svolto. In mente avevo tutta la scaletta, passo dopo passo, emozionata ma consapevole di essere in grado di gestire la situazione. Entrare in quella stanza non come paziente, ma come terapeuta, mi ha fatto capire come invece tutti quegli schemi fossero inutili, quanto fossero sciocche le mie presunte sicurezze e quanto ancora di più fosse vana l’idea di poter gestire e controllare la situazione. Entrare mi ha fatto vivere un’esperienza dalla quale forse avevo sempre cercato di fuggire. Questi pazienti mi hanno mostrato e mi hanno fatto vivere sulla mia pelle quanto le emozioni ti attivano, ti schiaffeggiano, ti scuotono, ti muovono e quanto sia inutile provare a tenere tutto sotto controllo, provare a gestirle, specialmente in un contesto terapeutico dove a dirla tutta, non ha nessun senso. Ho scoperto quanto sia faticoso «inscatolare e mettere a tacere le emozioni» [1] e nello stesso momento ho scoperto quanto esse siano potenti e quanto sia importante esprimerle. Un po’ come fare una “doccia a contrasto”, quando dopo un getto d’acqua ghiacciata si passa a uno bollente, un esercizio di tonificazione per i muscoli, il cuore, il metabolismo, rinvigorente per tutto il corpo. Esattamente così mi sono sentita.

Già dopo la prima seduta ho capito che avrei dovuto prendere contatto con le mie emozioni, risuonare, aprirmi, farmi scuotere, cavalcarle, ho capito subito che sarebbe stato impossibile lavorare senza “sporcarsi le mani”; impossibile lavorare “senza entrare in contatto”, impossibile lavorare con le emozioni sperando che esse rimanessero sempre relegate fuori dalla porta. Vicine, ma abbastanza lontane. Impossibile avere una scaletta, impensabile credere che ad accogliere siano i pazienti e non te, impossibile rimanere impermeabili a loro. Se avessi usato la ragione, una volta percepito tutto ciò sarei dovuta scappare, trovare una scusa e mollare tutto, eppure questo pensiero non è mai passato per la mente. Sono entrata in quella stanza ignara di cosa mi aspettasse, sicuramente impaurita, ma determinata a riuscire. È stato difficile ma ne è valsa la pena, ho imparato pian piano a cavalcare la mia paura e le mie emozioni senza fuggire.

Ringrazio la mia didatta sempre in ascolto e pronta a tendermi la mano nel momento del bisogno. In questi cinque anni trascorsi all’Istituto Europeo di Formazione e Consulenza Sistemica i pazienti che ho avuto l’onore di aiutare mi hanno fatto il dono più grande di tutti: mi hanno insegnato che non bisogna aver paura delle emozioni.

PREMESSA

Il presente lavoro è frutto dell’esperienza clinica svolta durante la fase di supervisione diretta con la Prof.ssa Maria Laura Vittori, didatta dell’Istituto Europeo di Formazione e Consulenza Sistemica (IEFCOS) di Roma. Il titolo della mia tesi mi è stato suggerito dagli stessi pazienti durante una seduta a conclusione del loro percorso terapeutico. Un giorno entrarono in stanza e mi raccontarono di aver visto in tv il noto film di Francis Ford Coppola. Mi raccontarono che quel film rappresentava la metafora della loro esperienza di vita a contatto con un’abile truffatrice. Mi descrissero così l’operato del Vampiro. «Egli prima di aggredire e succhiare via il sangue dalle proprie vittime le alliscia, le ammalia, le seduce, e non apre mai la porta da solo, bensì, si fa aprire la porta da loro. Ogni qual volta sia necessario, il Vampiro chiede il permesso prima di entrare» [2]. Una sorta di rappresentazione della sua umanità. Questa fu la frase che loro enfatizzarono di più. Esattamente questo fu quello che vissero, esattamente questo fu quello che fece con loro la truffatrice tutte le volte che gli portò via un pezzetto di felicità. Prima di ogni prestito, prima di allontanarli a uno a uno dai loro cari, prima di umiliarli chiedeva sempre: “Posso”? “È permesso”? Questo personaggio, mi dissero, è romanticamente crudele. Nel film il Vampiro, alla ricerca spasmodica del proprio benessere, fu crudele verso tutta l’umanità; allo stesso modo il loro Vampiro non ebbe pietà né di loro né delle altre vittime inconsapevoli. Entrambi i pazienti, durante tutto il percorso terapeutico, provarono a descrivermi come si fossero sentiti, quali fossero state le loro emozioni, cosa avessero provato ogni volta che subirono un attacco. Il loro Vampiro non si cibò di sangue bensì succhiò via loro il denaro, la libertà, la fiducia in loro stessi, i loro rapporti interpersonali, la felicità, il benessere, in conclusione: la loro stessa vita.

VITTIME DI UN INCANTESIMO

«Il vampiro trae forza dal fatto che nessuno intende credere

alla sua esistenza».

Richard Matheson

L’invio

Nel 2016 la coppia ultrasessantenne composta da Pietro e Gaia si rivolse al CIM di Anzio per una consulenza. Gaia infatti aveva spesso attacchi d’ansia e difficoltà a dormire. La Prof.ssa Vittori alla fine del colloquio propose alla coppia una terapia gratuita presso l’IEFCoS e la coppia accettò. In prima seduta, una volta fatta accomodare la coppia, fu a essa spiegato che i colloqui sarebbero avvenuti secondo una modalità di supervisione diretta: la Prof.ssa Vittori avrebbe seguito la terapia all’esterno della stanza, dietro allo specchio unidirezionale, e per intervenire avrebbe usato il citofono, mentre a condurre la terapia sarebbe stata una terapeuta allieva. La coppia è stata informata del fatto che ogni seduta sarebbe stata videoregistrata e che i relativi contenuti sarebbero stati oggetto di studio. Per questo a entrambi fu fatto firmare un consenso per il trattamento dei dati personali, secondo la normativa vigente sulla privacy.

Il sistema familiare

La coppia è originaria di Anzio. Pietro, 66 anni, fioraio in pensione e Gaia, 61 anni, pensionata anche lei.

Pietro appare molto preoccupato, il viso tirato e il corpo stanco, tiene la mano di Gaia. È un uomo alto, occhi verdi molto dolci, non dimostra la sua età, sorride sempre, è un uomo mite. Spesso parla attraverso il linguaggio del corpo. In ogni gesto e in ogni occasione si scorge con facilità quanto tenga alla moglie. Le tiene la mano quando è agitata, l’ascolta sempre anche quando ripete mille volte la stessa cosa, mai una parola di rabbia e di rancore, mai un’accusa o uno scarico di responsabilità, un vero signore di altri tempi. Durante il loro matrimonio, anche lui è caduto nella rete del Vampiro, anche lui ‘ha aperto la porta’ ed è stato morso. L’autostima di Pietro è duramente colpita, come lo è la loro coppia. Lui è qui senza un’accusa ma solo per affrontare il problema, così da superarlo e godersi la meritata pensione con Gaia e condurre una vita serena insieme. Il desiderio di Pietro è riprendersi da questa esperienza e tornare a viaggiare. Vuole mettere un punto e andare a capo. Pietro ha spesso toccato anche la mia anima, un uomo educato e gentile, premuroso e attento secondo un cliché vecchio stile molto romantico. In questi ultimi anni ha subito due interventi importanti. Sono stati momenti molto duri per loro, la paura di non farcela, la paura di lasciare Gaia sola e la paura di lasciarla sola con una situazione creditizia ancora irrisolta sono stati i suoi pensieri fissi. Voglio molto bene a entrambi e sono molto contenta che gli eventi abbiano poi preso una piega favorevole.

Gaia arriva con un viso provato, è una donna sempre molto colorata e curata, con piccole passioni per il make up che l’aiutano a distrarsi un po’. È una donna non troppo alta e in sovrappeso, dimostra più della sua età. È molto generosa e affettuosa, sempre un sorriso e una parola buona. Da tre anni tiene sotto controllo un tumore e teme per una recidiva. È una donna rigorosa e puntuale, spesso troppo aggrappata alle parole. Arrivata in terapia Gaia non riesce a dire no a nessuno, si tormenta per frasi e parole dette ed è capace di non dormirci per giorni, la qualità della sua vita per sua stessa ammissione è bassa. Impegnata a nascondersi dalla verità, impegnata a voler vedere per forza il bene in tutti, sembra quasi indossare dei paraocchi, gli stessi coi quali più volte ha aperto la porta al Vampiro. Capito di esser stata tradita dalla persona a cui voleva più bene, perde completamente i propri riferimenti, confusa al punto da non riuscire più a distinguere il vero dal non vero, mette in discussione per intero se stessa, la sua vita, le sue scelte e la sua capacità di discernere il giusto dallo sbagliato. Sia Gaia che Pietro arrivano molto provati.

La foto che sciolse l’incantesimo

In prima seduta si capisce subito quanto sarà complesso ricostruire e dare un senso a questa storia così articolata. In seguito a un tumore insorto intorno nel 2014, Gaia viene operata al seno. Durante il decorso post operatorio chiede al marito di scattare una foto al proprio seno operato. La richiesta è strana, Gaia stessa in fondo non desidera scattare quella foto perché sa che è una brutta immagine ma sente di doverlo fare. Si sente obbligata a documentare tutto per la sua migliore amica che, come ormai da molto tempo accade, si informa tramite messaggio in merito alla sua salute. È una donna di mezz’età che vive molto lontano da loro.

Davanti all’esitazione di Pietro, che le suggerisce di non scattarla, i due coniugi iniziano a parlare di questa “Amica”, di questi ultimi anni e di come Lei li fa sentire. È un momento molto importante e molto intimo per la coppia, perché riescono a riavvicinarsi e a confidarsi tutto, venendo meno a quelle promesse e a quel velo di mistero che il Vampiro aveva frapposto tra loro. Per la prima volta dopo tanti anni tornano a parlarsi. Una conversazione lunga e sconvolgente, che crea una frattura in loro definendo un prima e un dopo.

Parlando scoprono infatti che durante tutto il loro matrimonio, ma anche in precedenza, la loro amica si è ritagliata un posto privilegiato all’interno della loro coppia. L’immagine restituita alla coppia è quella di un “cuneo” che entra e separa. Si è inserita tra loro con l’intento di indebolire la coppia e mantenere un controllo sui coniugi. Così facendo chiede prima a uno e poi all’altro il versamento di piccole quote in denaro. In pratica, ogni volta raddoppia la quota economica sottratta. “È infatti un segreto” che il Vampiro ha a turno con uno o con l’altro coniuge. Durante questi 18 anni di matrimonio, prestito dopo prestito, ha intaccato la loro serenità con l’intimo desiderio di distruggere la loro felicità e prosciugarli della loro ricchezza sia materiale che spirituale.

Ma questo non è tutto. Pietro le confida che lo chiamò prima del matrimonio per metterlo in guardia da “una persona credulona, fragile, cicciona e debole”, sconsigliandogli apertamente di sposarla. Dopo questa conversazione, a seguito del disvelamento di diversi segreti, Gaia rimane fortemente disorientata, è un vero shock per lei, considera il Vampiro non solo un’amica, ma una sorella; e una sorella agli occhi di Gaia non avrebbe mai potuto fare ciò che ha fatto questa donna. “Chi è allora questa persona? Perché mi ha fatto questo? Come ha potuto tradirmi a quel livello dopo quasi 50 anni di amicizia?”

Queste sono solo alcune delle domande che Gaia continua a porsi e alle quali non riesce proprio a trovare una risposta. Queste domande sono così intrusive che non riesce più a riposare, non dorme più bene, non mangia senza sentire un magone, rimane spesso sdraiata sul divano, ha perso la leggerezza nel vivere che fino a poco prima la caratterizzava. Cade così nel più profondo sconforto. Se infatti tutta la sua vita è stata costellata di bugie e di attacchi alla sua stessa felicità, chi è veramente questa persona? Chi sono io? Come ho fatto a fidarmi? Come ho fatto a non vedere? Come ho fatto a non capire? Gaia si rivolge a noi perché vuole delle risposte a delle domande che la stanno tormentando. Sa che per trovarle ci vuole coraggio. Sono molto orgogliosa di Gaia. Una donna che con il tempo è tornata a essere se stessa, si è riappropriata pezzo dopo pezzo di tutto ciò che il Vampiro le ha sottratto a livello affettivo. Riuscire a ricucire il rapporto incrinato con la sorella è stato, a mio modo di vedere, uno dei suoi più grandi meriti.

Conclusa questa prima seduta, c’è stato un momento di riflessione. La ricorsività di alcuni eventi, la difficoltà a proteggersi da attacchi così dirompenti da parte di una persona vicina ci ha portato a riflettere sul fatto che nel passato di Gaia molto probabilmente è avvenuto qualcosa di molto importante e che quello fosse sicuramente un aspetto da approfondire. La Prof. Vittori ha proposto di usare il protocollo del “Desiderio Inesprimibile” [3] che, attraverso l’uso del genogramma, ancora di partenza, ci avrebbe condotto a un lavoro di coppia. Un lavoro sulla coppia, che dal nostro punto di vista era di assoluta importanza proprio perché la loro è stata una relazione matrimoniale a tre fin dalla sua nascita. Lo spazio di terapia avrebbe rappresentato per i coniugi uno spazio all’interno del quale l’Amica non sarebbe mai entrata e all’interno del quale non avrebbe potuto mai avere il controllo.

Il Desiderio Inesprimibile

Il protocollo del Desiderio Inesprimibile nasce dalla mente della Prof.ssa Vittori, che in questi ultimi anni, dopo l’uscita del suo libro, ha fatto conoscere al mondo scientifico e studentesco. È un protocollo rivolto alle coppie: averne potuto vedere la forza e aver potuto constatare quanto trasporti entrambi i coniugi in una terza dimensione è stato potente, ci permette di entrare in contatto e di toccare l’Assoluto [4] che viene risvegliato e al quale viene chiesto di partecipare alla danza proposta dal terapeuta. Il lavoro parte dalle storie familiari dei due protagonisti attraverso l’uso del genogramma secondo una prospettiva trigenerazionale. [5]. Dalla narrazione delle storie familiari proveremo a capire come la truffatrice sia riuscita a incantare Gaia e Pietro e come mai Pietro non abbia mai provato a rompere l’amicizia tra sua moglie e la truffatrice, pur essendo tossica e distruttiva.

Il Genogramma di Gaia

Durante il nostro secondo incontro Gaia inizia spontaneamente a parlare di sua mamma e della sua infanzia, e ci svela improvvisamente un segreto familiare. L’ho lasciata parlare per un po’ prima di rendermi conto che avrei dovuto quanto prima indirizzare il suo racconto in modo da poter costruire con lei il suo genogramma. Gaia racconta che sua madre Maria, nata nel 1928, avrebbe avuto nell’ immediato dopoguerra, al tempo aveva 17 anni, una storia con un soldato americano, che però non sposò perché suo padre non era d’accordo. Quando lui ripartì, si accorse di essere incinta. Se ne accorse per caso durante un accesso in ospedale. La notizia sconvolse i genitori. Rita nacque in casa nel 1946, figlia di David Payne. Quella stessa notte venne presa una decisione che avrebbe condizionato per sempre la vita di tutta la famiglia e le cui conseguenze avrebbero avuto ripercussioni sulle generazioni a venire. I nonni di Gaia decisero che Rita sarebbe stata fatta passare per figlia loro e che quindi sarebbe cresciuta come sorella di Maria, la vera madre. A Maria non fu concesso di fare la madre, crebbe Rita come se fossero sorelle, mantenendo il segreto. Gaia parla del rapporto che la madre aveva con Rita come di un rapporto affettuoso, da sorelle: in fondo c’erano solo 18 anni di differenza. Quando Rita finì in ospedale per una leucemia, fu Gaia a tenere i rapporti coi medici e a dire a Maria della diagnosi infausta (di sua figlia). Rita morì nel 1985, a 39 anni, senza aver mai conosciuto la verità. Gaia crebbe pensando che la propria sorella fosse in realtà sua zia.

Il supervisore a questo punto della storia ha citofonato dicendomi di iniziare a disegnare il genogramma. Pietro inizia a prendere appunti. Io inizio a disegnare sulla lavagna a fogli mobili il lato materno della famiglia di Gaia. Ricordo ancora come mi sono sentita all’inizio di quella seduta: ero emozionata e timorosa, sono rimasta letteralmente tramortita dopo soli 15 minuti, come se un pugile mi avesse assestato prima un colpo al viso e subito dopo un colpo allo stomaco e fossi KO per terra. Il racconto spontaneo della paziente mi ha toccato profondamente, assolutamente imprevedibile e ricco di emozioni. Scoprire a 14 anni che tua madre ti ha tenuto nascosto un segreto così sconvolgente in merito a quella che tu consideravi tua zia penso che sia un’esperienza molto dolorosa, il crollo di tutte le tue certezze, qualcosa che ha potuto mettere seriamente in discussione tutta la tua vita e la relazione che hai con tua madre. Scoprirlo poi perché chi sapeva ha minacciato di raccontare la verità a te e a tua sorella penso sia un’esperienza ancora più dolorosa. Ero tramortita lì a terra, lo stomaco chiuso e la testa in continuo movimento, ma dovevo riprendere il controllo, non ero io la paziente, era lei che aveva bisogno che io la sostenessi e condividessi con lei l’enorme peso di questo segreto. Così mi sono fatta forza, mi sono rialzata e ho proseguito il suo genogramma.

La mamma e il papà di Gaia si sposarono nel 1953. Papà Fioravante aveva lavorato in aeronautica, era un tipo tranquillo e accomodante, la mamma era casalinga. Gaia racconta che in casa c’erano continue discussioni e che i genitori litigavano spesso per il comportamento del nonno paterno, che beveva e che da ubriaco diventava violento. Il tono di voce e le parole usate da Gaia mi hanno trasmesso l’idea che la morte precoce del nonno fosse stato quasi un sollievo per l’intera famiglia. Gaia passa a parlare del rapporto avuto con la sorella, un rapporto difficile e costellato di continui litigi: a 17 anni, appena possibile, Silvia insieme al suo fidanzato si trasferisce in Grecia, dove tutt’ora risiede. Uscita di casa ha tagliato i rapporti con la madre e con il resto della famiglia. Dietro lo specchio, a conclusione della seduta, il supervisore ha messo in evidenza che in questa famiglia è presente un mito potente e che per lealtà verso la famiglia [6] Gaia, a differenza della sorella, è rimasta e non ha abbandonato la madre. Il prezzo che ha pagato è stato alto: ha imparato a negare la verità.


A conclusione del genogramma, e dopo una lunga riflessione con il gruppo e il supervisore, è stato a tutti chiaro perché Gaia non ha riconosciuto che la sua amica le mentiva e come mai non ha provato a proteggersi dai suoi attacchi così violenti. Gaia ha avuto una madre che per tutta la sua infanzia le ha taciuto un segreto grandissimo, nella sua mente è passata inconsciamente l’idea che chi ti ama può mentirti. Il modello trasmesso in famiglia è stato quello della madre che mentiva, Gaia ha introiettato l’idea che chi ti ama può mentirti [7]. Così come non ha messo in discussione la madre, non ha messo mai in discussione l’operato di un’amica che conosceva da quasi 50 anni. A questo punto mi è stato più chiaro come mai una persona a lei così vicina (non escludo che le abbia confidato anche il segreto familiare) sia riuscita a truffarla di una cifra che si aggira intorno ai 200.000 euro senza che Gaia si sia mai posta il dubbio che la stesse in qualche modo derubando. Forse in cuor suo ne è sempre stata consapevole, ma non è mai riuscita a portare alla coscienza questi pensieri. Ha sempre preferito credere che l’amica agisse nel suo interesse privato, non riuscendo a spiegarsi come mai però la stesse privando di così tanto denaro, almeno fin quando non è giunta a terapia. È stata una seduta molto bella ed emozionante e appena conclusa mi sono subito resa conto che non potevo mandarli via così. Come fargli capire che io c’ero, come trasmettergli affetto e vicinanza?

Da dietro lo specchio la Prof.ssa Vittori mi ha invitata ad abbracciarli, rimandando alla coppia che è stata raccontata una cosa grande e molto intima e ringraziando con affetto e calore tutti e due. Per me è stato difficile, mi sono sentita ingessata e mi sono fortemente forzata. Appare strano considerato il mestiere che ho scelto, ma va completamente contro il codice della famiglia dalla quale provengo. Toccare i propri pazienti, accarezzarli, non solo con le parole ma proprio con il corpo è una cosa potente. Trasmette tanto a loro e anche a noi terapeuti. Quel giorno ho toccato con grande affetto i pazienti mentre li salutavo, immagino di essere stata goffa, ma non gli ho dato importanza. Questa prima terapia anche dentro di me ha segnato un cambiamento. Tenermi le cose per me, non far trasparire le mie emozioni, sorridere, sparire e organizzare sono sempre state le cose che mi sono riuscite meglio, sono quelle che mi hanno fatto sopravvivere al meglio per 28 anni in casa mia. Di punto in bianco il mio supervisore mi ha chiesto di aprirmi, di accogliere, di toccare l’altro. Esserci riuscita mi ha resa contenta e orgogliosa di me.

Genogramma di Pietro

È stato importante ascoltare la storia di Pietro per capire su cosa la truffatrice lo ha agganciato. Questa volta a prendere appunti è Gaia. Il nonno paterno faceva il factotum in una tenuta agricola, dove visse con la figlia Clara e le tre nipotine, di cui una con un ritardo cognitivo. Il nonno lavorò fino agli 85 anni (1967), quando fu costretto a smettere. Pietro racconta che lo andava a trovare tutte le domeniche a pranzo. Per un periodo la famiglia ha vissuto a Civitavecchia, Pietro parla di quegli anni come gli anni della libertà, la vicinanza del mare, i prati, le tante corse, la pesca, i campi di cocomero. Pietro non scorderà mai quegli anni, gli anni della spensieratezza, gli anni delle corse fino al mare dai pescatori: il senso di libertà che aveva provato è rimasto chiuso nel suo cuore. Guido, il papà di Pietro, fu cresciuto da suo padre e dalla nonna paterna, che ha aiutato il figlio dopo la morte della propria moglie. Dei fratelli del padre Pietro conobbe solo Giuseppe, che fece da capo famiglia, era sposato ma senza figli. Fu una fratria seriosa, poco unita e piena di attriti per motivi economici. Il nonno materno Pasquale, marchigiano, anch’egli un factotum, viveva in casa con Pietro quando risiedettero a Civitavecchia. Pietro ricorda che lo portava a pescare, ne ha un bel ricordo. Nonna Giulia fu la nonna classica, corpulenta e tutta dedita alla cucina. Pietro ricorda che tutte le mattine andava a far spesa al mercato, e che la aiutava a portare le buste della spesa. I genitori di Pietro si sposarono nel 1943. Ebbero due figli: Lorenza (1943) e Pietro (1950). Nel 1945 Lorenza si ammalò e contestualmente ci fu una crisi di coppia, che portò il padre a tornare a vivere dai genitori a Civitavecchia. Negli anni seguenti i due coniugi si riavvicinarono, e in quell’occasione nacque Pietro, quello che dopo lunga riflessione con il supervisore abbiamo definito il “figlio della riconciliazione”. Il peso della possibile separazione dei coniugi aleggiò sempre in famiglia. Tra i suoi genitori ci furono sempre scintille e Pietro e Lorenza, qualsiasi cosa facessero di sbagliato, si sentivano in colpa perché questo fu sempre usato come pretesto di litigio tra i genitori.

Quando il padre fu assunto a Cinecittà come operaio, Pietro aveva 5 anni, fu quello l’anno in cui la famiglia si trasferì da Civitavecchia a Roma; per Pietro fu quasi un trauma. La madre passò da una realtà piccola a una di città dove non conosceva nessuno, il padre tornava tardi la sera e lei aveva paura a far uscire il figlio. Pietro ebbe un buon rapporto sia con la sorella che con la mamma, con la quale era affiatatissimo. Per i successivi quattro anni dal trasferimento a Roma Pietro patì una grande solitudine. La madre gli permise di giocare solo nel loro giardino: Pietro racconta delle mura che gli impedivano di vedere la strada. Rimpianse sempre le corse fino al mare e la grande libertà che aveva a Civitavecchia. Pietro è un uomo molto dolce e accudente, sa ascoltare, è molto pacato e bonario. Si era sposato una prima volta nel 1977 nel 1978 era nato Maurizio, suo unico figlio. Il matrimonio finì nel 1983 perché la moglie si era innamorata di un altro uomo. Riuscì a mantenere buoni rapporti con la ex moglie per il bene del figlio.


A conclusione dei genogrammi la coppia ci è apparsa decentrata rispetto allo stato di ‘panico di coppia’ con cui si è presentata all’inizio. Pietro ha portato una visione serena della propria storia di famiglia. La coppia a conclusione dei genogrammi è stata rimessa al centro, i coniugi sembrano essersi dimenticati per un attimo del loro Vampiro. Quello che è emerso da questo racconto è il ruolo di Pietro all’interno del suo nucleo familiare. Pietro è stato il “figlio della riconciliazione”, colui che è riuscito grazie alla sua nascita a non far disgregare la propria famiglia. A questo punto ci è risultato evidente come mai lui non abbia provato a suggerire alla moglie di interrompere quella sua lunga, ma tossica, amicizia. Ci è chiaro come mai lui non sia riuscito a far rompere l’amicizia, rimane da capire come Lei riuscì ad ammaliarlo. Con il supervisore ho ragionato a lungo su questo aspetto: l’ipotesi è che forse è riuscita ad aprirsi una strada nell’animo di Pietro perché ha raccontato di viaggi bellissimi, storie d’amore coinvolgenti, vecchi e nuovi matrimoni, posti e luoghi fantastici, storie affascinanti da ascoltare. Abbiamo ritenuto possibile infatti che si sia agganciata e che sia riuscita ad alimentare quella gioia di vivere di Pietro che dopo il trasferimento a Roma non è stata più alimentata e si è atrofizzata. Molto probabilmente si è agganciata a quel bimbo rimasto dietro il muro di recinzione, quel bimbo a cui è stato impedito di uscire e vivere avventure e a cui è stato impedito di vedere cosa accadeva all’esterno.

La loro storia d’amore

Arrivati a questo punto i coniugi sono pronti a parlare di come fosse nato il loro amore; ritornare alle origini e dare una nuova narrazione degli eventi avrebbe permesso loro di tornare protagonisti della loro vita, di rimettersi al centro. È vero, questa donna con la sua mania di controllo, i continui sms, le lusinghe, le finte attenzioni, il finto affetto ha inserito bugie, segreti e stratagemmi nel tempo atti a creare un’aurea oscura nella coppia. In questo modo è riuscita a coltivare una vicinanza e un rapporto privilegiato con ognuno di loro. Tra i suoi scopi è sempre stato presente quello di alimentare l’infelicità di coppia. Questo circolo andava spezzato, inutile ripercorrere qui una a una tutte le cattiverie, le meschinerie e i tentativi di colpire a morte la coppia agiti da questa donna. Al pari di quando qualcuno viene morso da un serpente velenoso, e per poter guarire è necessario succhiare via il veleno fino all’ultima goccia così che il corpo con le dovute cure possa riprendersi pienamente, allo stesso modo i coniugi sono riusciti nel tempo a raccontarsi una a una ogni singola scorrettezza, facendo uscire goccia dopo goccia tutto il veleno che questa donna aveva lentamente fatto assorbire ai loro corpi e al loro amore.

In questa seduta ho chiesto loro come si erano conosciuti. Gaia racconta che aveva 39 anni (1994), e che si erano incontrati a una festa data da Paolo, un amico dei tempi delle medie. Paolo allora era collega di lavoro di Gaia. A un certo punto si è giocato al tiro con l’arco e Gaia aveva colpito per sbaglio Pietro. Avevano parlato tutta la sera di loro, della passione per i viaggi e del mare. Pietro racconta che a mezzanotte Gaia era scappata, ma che essendosi scambiati i numeri l’indomani la richiamò: si diedero un appuntamento, ma non si trovarono. Nell’arco di un mese e dopo diverse uscite si misero insieme. Fu a detta loro “una cosa veloce”. Pietro racconta che propose subito la convivenza e di sposarsi, ma Gaia frenò un po’. Andarono a vivere insieme al ritorno dalla prima vacanza. Gaia racconta che quando raccontò tutto alla madre, questa rispose: “Era ora”! Una risposta che sorprese Gaia, che non se l’aspettava. Si sposarono quattro anni dopo, anche se Pietro la chiese subito in moglie. Per Gaia non era mai il momento giusto, ma poi si convinse. Parlando del loro matrimonio lo ricordano come un giorno speciale: entrambe le famiglie furono molto felici, fu un evento cui riuscirono a partecipare tutte le persone alle quali volevano bene.

A conclusione di quella seduta li ho ringraziati per i loro racconti e per le belle immagini di amore e matrimonio che mi hanno donato, ho accennato loro che la volta successiva avremmo fatto un salto nel tempo tornando ai loro 7 anni e che se per caso avevano in casa alcune foto di quando erano bambini sarei stata molto lieta di rivederle con loro. Ho chiuso la seduta senza sapere quante emozioni la seduta successiva avrebbe generato in me. La coppia è andata via serena.

Tornare a 7 anni

Ricordo bene quel giorno, quella seduta non è stata facile per me, non perché non avessi studiato o perché non sapessi cosa fare in stanza o quali punti seguire per completare il protocollo. Fosse stato quello sarei stata più che serena. La verità è che da pochi giorni avevo ricevuto una notizia che avrebbe cambiato per sempre il mio modo di vedere la vita e il mio cuore era sofferente e molto impegnato: quel giorno non c’era molto spazio per altre emozioni. Forse se non fossi stata abituata a far prevalere la ragione mi sarebbe venuto in mente di disdire la seduta, di starmene a casa e metabolizzare un attimo, o forse ne avrei parlato al mio supervisore o ai miei colleghi. La verità è che non mi è passato neanche in mente, anche perché proseguire nella routine della mia vita mi ha aiutata a non farmi prendere dallo sconforto. Insomma io ero lì quel giorno, ma solo con il corpo. Ero lì per rispettare un impegno preso, concentrata a dissimulare le mie emozioni, cercando di non piangere e non farmi vedere preoccupata: dovevo infatti apparire calma e serena, specialmente con i miei colleghi. Ho pensato, sbagliando, di poter entrare in stanza e poter “gestire le emozioni” mie e dei pazienti, sono tornata di nuovo a pensare di poterle comprimerle silenziosamente e impacchettarle [1].

Insomma, il preludio di un fallimento.

Quel giorno però la Prof.ssa Vittori ha intuito qualcosa e ha fatto qualcosa di diverso, che io non avevo mai sperimentato: pur non sapendo cosa stesse avvenendo nel mio privato, ha capito che ero in difficoltà, non mi ha biasimato, ma mi ha teso la mano, mi ha mostrato come in ogni terapeuta è presente uno spazio interiore, sempre disponibile e aperto per i pazienti, uno spazio che avevo anch’io e che nel tempo sarebbe cresciuto man mano che fosse stato coltivato. Mi ha mostrato quindi che credeva in me e mi ha mostrato cosa avrei dovuto fare.

Iniziata la seduta, sono entrata e ho chiesto alla coppia se avevano portato le foto. Gaia mi ha risposto che ci ha lavorato a lungo, che erano tante, e che per lei è stato un tuffo nel passato, bello, ma faticoso. Racconta che a differenza delle sue, più seriose, quelle di Pietro esprimevano leggerezza, spensieratezza, gioia di vivere. Pietro conferma sorridendo “Non sono mai cresciuto”. Gaia mi mostra una foto del 1963, aveva 9 anni, insieme a lei Rita, la zia/sorella e la sorellina Silvia. A questo punto, pur essendo evidente che avrei dovuto chiedere di più così da portarli lentamente a rivivere le emozioni, gli odori e i sapori della loro infanzia, mi sono irrigidita e ho proseguito, ero chiusa, non ero in ascolto, unicamente preoccupata della mia performance, che fosse tardi, che non sarei riuscita a chiudere il protocollo in tempo. In verità penso che mi stavo difendendo dalle loro emozioni. Avevo paura di chiedere, paura di ascoltare, paura di crollare, paura di iniziare a piangere da un momento all’altro, perdendo così il mio autocontrollo.

Il Supervisore mi ha chiesto di uscire e mi ha esortato a usare il cuore, non solo la testa, e ad accendere la loro emotività. Ho pensato che era più facile a dirsi che a farsi. Ci ho provato, ma non ci sono riuscita, così ho invitato Pietro a mostrarmi le sue foto e a raccontarmi di quegli anni. Pietro mi ha parlato della sua casa e della madre che cuciva i vestiti; ho lasciato che parlasse così a lungo che è arrivato alla tarda adolescenza. Di nuovo, ho avuto paura. A quel punto è entrata in stanza la Prof.ssa Vittori che ha ringraziato Pietro e ha condotto la seduta fino a conclusione. In quel momento mi sono sentita sinceramente sollevata dal fatto che fosse lei a condurre la seduta.

Ha chiesto a entrambi di fare uno sforzo grande e di tornare ai loro sette anni, nella casa di allora, trovandoci il loro posto preferito, un rifugio, i suoni, gli odori. Ciascuno ha trovato il suo, a quel punto ha domandato di ricordare un desiderio che non aveva mai il tempo di essere espresso, o forse non ascoltato, piccolo o grande, un desiderio da bambino. Pietro ha parlato del suo desiderio di uscire dal giardino e stare con gli altri bambini. Gaia è stata più indecisa. Si è ricordata che spesso si rintanava su una poltrona blu in fondo al corridoio, dove pensava e leggeva. Aveva il desiderio che qualcuno la venisse a prendere lì, dove era rintanata. Nel salutare i pazienti abbiamo chiesto loro di fare qualcosa per andare incontro al desiderio dell’altro. Qualsiasi cosa: pensieri, azioni, oggetti.


Conclusa la seduta sono stata sopraffatta dalle mie emozioni, ricordo che sono andata via non appena possibile, mistificando per quanto possibile il mio stato emotivo. Sono riuscita a raccontare al Supervisore cosa stesse accadendo nella mia vita privata solo a conclusione dell’anno di training.

Andare incontro al desiderio dell’Altro

Nell’incontro successivo stavo meglio ed ero più padrona delle mie emozioni. Quel giorno i pazienti sono arrivati molto agitati: la loro amica li aveva riportati all’interno del vortice dal quale noi faticosamente avevamo provato a farli uscire. Gaia, una volta entrata, ha iniziato subito a parlare del disagio forte che stava vivendo in quei giorni. Erano stati invitati a trascorrere la Pasqua da lei, ma non sapevano se andare. L’amica gli aveva scritto: “Siete liberi. Solo se vi fa veramente piacere!”, giocando sul loro senso di colpa. Quel messaggio ha infastidito molto Gaia, che ha affermato che scritto così a lei pareva fosse un modo per complicare qualcosa di semplice. Da quando aveva ricevuto quell’invito era inquieta, quel messaggio le generava angoscia, al punto da fare sogni inquietanti per più notti di fila; la sensazione era quella di essere sottoposta a un pericolo forte. Aveva avuto attacchi d’ansia. Ho chiesto al marito se desiderava andare. Pietro mi ha risposto che lui non desiderava andare, ma che lo avrebbe fatto solo per far contenta la moglie, che vedeva molto angosciata. Purtroppo eravamo tornati al loro vecchio modo di ragionare: Pietro percepiva la crisi nella “coppia amicale” e si poneva come scudo alla sua rottura. Gaia non sapeva se fidarsi ancora o dare ascolto a quella vocina flebile che le diceva di non andare e di non fidarsi. Ai miei occhi era chiaro come con questo invito l’amica li avesse fatti risprofondare in quel “panico di coppia” da cui con il nostro lavoro eravamo riusciti a farli riemergere faticosamente.

Inizialmente mi sono soffermata sull’invito poi ho capito che la questione di confronto con la coppia non era se andare o no a Pasqua da lei, ma nel caso fossero andati, con quale ‘posizione interiore’. Durante tutta la seduta Gaia e Pietro hanno parlato del suo modus operandi, è stata dipinta come ossessiva, pressante, controllante, in particolare quando erano presenti accertamenti medici e/o operazioni. Pietro in quest’occasione ha provato addirittura a dire alla moglie che, dopo la sua operazione all’anca, nei messaggi che l’amica gli mandava per sapere come stesse c’era qualcosa di più; Gaia non ha colto o non ha voluto cogliere. Gaia dice: “Io vorrei andare perché è giusto. Non dubito che lei mi voglia bene, ma sono arrivata a dubitare di volergliene io”. Questa frase riassume perfettamente la posizione interiore di Gaia. Lei si vede come una persona buona, generosa e comprensiva, la sua difficoltà sta nel dire di no e mantenere questa visione di Sé. In realtà lei teme che possa essere vista come cattiva e poco generosa e non tollera che altri possano pensare ciò di lei. Credo che questo modo di percepire se stessa fosse dato anche dalla lettura che l’amica dava delle persone che intorno a lei si rifiutavano di fare ciò che chiedeva loro. È stato molto duro per Pietro e Gaia prendere contatto con la realtà, perché ha significato ammettere e accettare di essere stati ingannati. Bisognava accarezzarli e stare molto attenti alla loro autostima e a far mantenere integro il loro Sé, di persone buone e generose.

Negli ultimi vent’anni il Vampiro con i suoi morsi aveva succhiato via 200.000 euro ed era riuscito ad allontanarli dai loro affetti più cari. Nel tempo era riuscito a farli sentire così in colpa da non farli sentire liberi di spendere il loro denaro per l’acquisto di un divano o di un viaggio: facevano acquisti solo dopo la sua approvazione e non potevano acquistare cose costose. Erano arrivati a giustificare a Lei qualunque minima spesa. Quando desideravano spendere il loro denaro li faceva sentire sporchi, come se non avessero rispetto di lei e delle difficoltà che stava attraversando come genitore single di una ragazza ormai all’università. Un giorno arrivò a chiedere di amministrare le loro pensioni, oltre a quelle di altre tre coppie, manifestando il desiderio di andare a vivere tutti insieme in un grande casale dove ognuno mantenesse la sua indipendenza e lei il controllo delle pensioni di tutti. Se da una parte la richiesta era di non spendere perché era in forte difficoltà, allo stesso tempo raccontava loro di splendidi viaggi in località esotiche, delle scuole private frequentate dalla figlia, dei bei vestiti e delle belle macchine, dicendo loro che erano cose necessarie per garantire alla figlia le conoscenze e la frequentazione degli ambienti giusti. D’altronde era giusto che tutti si sacrificassero. Questi racconti mandavano i coniugi in forte dissonanza. A un certo punto Gaia mi racconta di avere la fantasia che l’amica li ammazzerà tutti e due. Una fantasia di distruzione grandissima.

Entra in stanza la Prof.ssa Vittori come coterapeuta; in questo modo ha permesso a tutti di cambiare scenario. Ha fatto un intervento per rassicurarli e per ricollegarsi al Protocollo del Desiderio: “Gaia era sulla sua poltrona blu, che aspettava di essere presa e vista da una madre assorbita dal suo segreto. Dall’altro lato della strada c’era Pietro, un bambino dietro a una staccionata, con gli occhi desideranti, nostalgico della sua precedente libertà, ma che non può ribellarsi! Cosa avete pensato per andare incontro al desiderio dell’altro?”. Gaia risponde che si stava sforzando di organizzare un viaggio.

Pietro risponde che Gaia per lui desidera essere abbracciata e che da qualche giorno lo fa più spesso. Abbiamo concluso la seduta invitando Gaia a concretizzare di più e Pietro a rendere più ritualizzato l’abbraccio.

Mentre i coniugi si sono avvicinati all’uscita, Gaia ha detto di essere contenta, perché le era stato ridato il focus. Pietro ha esclamato “Siamo NOI la coppia”. Una volta usciti la Prof.ssa Vittori ha commentato che quello che fanno i truffatori e manipolatori è proprio farti sentire in colpa. D’altronde i manipolatori antisociali sono maestri in quest’arte. Per imparare a sopravvivere a genitori che agiscono attacchi improvvisi e imprevedibili, imparano a leggere in anticipo le intenzioni [8]. Questa seduta è stata molto importante per i coniugi, è stata la prima pietra poggiata per la costruzione della loro felicità e l’armonia della coppia.

Il Talismano

Ho rivisto i coniugi dopo Pasqua. Mi hanno raccontato che il Vampiro aveva chiesto loro di firmare un prestito in banca per un ammontare di 60.000 euro poiché lei a nome suo non poteva farlo. È stata la prima volta in cui hanno trovato il coraggio di dire no. Questo passaggio non è da sottovalutare, perché loro hanno sempre avuto una gran paura di lei. Quel giorno li ho trovati particolarmente sofferenti, perché si erano sentiti molto in colpa a non aver firmato, erano preoccupati per l’amica, che aveva detto loro di avere urgente bisogno di quel denaro. Stavano vivendo un forte conflitto tra la loro immagine di Sé come persone generose e il tutelare le propria esigenza di sopravvivenza economica. Era necessario fornire loro un talismano. Da poco in libreria era uscito il libro di uno scrittore anglo-pakistano di nome Hanif Kureishi, dal titolo “Un furto” [9], la Prof.ssa Vittori mi aveva suggerito di leggerlo. Era incredibile, l’autore aveva scritto quel libro a seguito di una truffa nella quale era caduto anni addietro; eppure nel descrivere il modus operandi del proprio truffatore aveva descritto quello del Vampiro. Leggendo, a volte, mi era sembrato fosse narrata la loro di truffa. A mio parere, la bellezza di questo libro è data dal messaggio di speranza che trasmette a chiunque sia stato vittima di una truffa. Ebbene, il libro avrebbe rappresentato per loro un talismano, l’àncora che li avrebbe protetti da futuri attacchi del Vampiro, che li avrebbe distolti dal richiamo seduttivo di lei e li avrebbe riportati a una visione di coppia.

A conclusione del Protocollo del “Desiderio Inesprimibile” ho suggerito alla coppia un rituale, un motivo per incontrarsi in una dimensione “speciale” ancora per tre volte dopo la conclusione della terapia. Alla coppia ho suggerito di comprare una copia ciascuno di questo libro e di leggerlo annotando ai margini le proprie riflessioni. Parlai loro dello scrittore, gli dissi che era bravissimo, colto e appassionante e che la storia che lui narrava nel libro mi ricordava tanto la loro. Sottolineai quanto tutti possano cadere in una truffa e come queste cose non risparmino nessuno, nemmeno un uomo colto intelligente come lo scrittore di questo libro. Era importante sottolineare tutto ciò perché loro si erano sentiti sciocchi, il mio era un modo per preservare integro il Sé della coppia. Prima di salutarli ho invitato la coppia a incontrarsi per tre volte a distanza di tre settimane in un luogo scelto da loro, ma che fosse rimasto lo stesso tutte e tre le volte, e a parlare di ciò che avevano annotato sul loro libro. Solo così il libro avrebbe rappresentato per loro un talismano: li avrebbe aiutati infatti a distogliere i pensieri da probabili attacchi del Vampiro. Gaia rispose che da poco avevano iniziato a staccarsi dall’amica, che avevano smesso di rispondere a tutti i suoi sms, che stavano meglio, ma che ciò li faceva sentire orfani. Risposi loro che essere vittima di una truffa altera il senso del tempo, lo dilata e lo ferma. Gli rimandai che ero sicura che avrebbero trovato in loro le risorse ma che nel frattempo avrebbero potuto contare su di me, poiché avrei potuto fornire loro una spalla sulla quale potersi appoggiare. La terapia li ha aiutati a ritrovarsi come coppia, una nuova coppia rinata grazie alla terapia. Gaia e Pietro in questo percorso si sono rivelati: aver mostrato loro che non sono stati i soli, che sono cose brutte ma che possono capitare, li ha confermati. Ora hanno bisogno di essere seguiti e aiutati, perché lei sarà sempre lì a un passo e sempre più pericolosa.

CONCLUSIONI

Sono molto affezionata a questi pazienti, li ho seguiti per un ulteriore anno concluso l’anno di training e sono orgogliosa di aver contribuito al raggiungimento della loro serenità. Non so se siano coscienti di cosa mi abbiano donato, anche se penso di sì e penso che spesso ce lo siamo detti attraverso gli abbracci e il sentito affetto che ci siamo trasmessi in questi anni. Nella stanza di terapia sono avvenuti molti colpi di scena; un giorno mi hanno portato un articolo di giornale in cui era riportata la notizia della condanna in primo grado per truffa della loro amica. L’estate del 2017 fu per loro la più bella. Gaia trovò il coraggio di scrivere a mano una lettera all’amica e gliela spedì, una lettera in cui riusciva a esprimere il proprio rancore e all’interno della quale le poneva molte domande, domande che nella lettera che ricevette non trovarono risposta. Questo rasserenò molto Gaia, che sentiva finalmente di essersi liberata di un peso che portava con sé da troppo tempo. Quella stessa estate entrambi i coniugi trovarono il coraggio di dire ai propri cari della truffa e di come si erano sentiti, uscendo dall’isolamento. Si sorpresero nel non aver ricevuto biasimo, anzi furono sostenuti e aiutati sia dai parenti di Pietro che da quelli di Gaia che si riavvicinarono molto, riuscendo a confidare loro di essersi sentiti esclusi da quel rapporto a tre e di essersi quindi allontanati nel tempo. La sorella di Gaia quella stessa estate si confidò con lei raccontandole della sua depressione e di essersi sempre sentita esclusa perché pensava che lei preferisse il rapporto con quella donna a quello con sua sorella. Quell’estate piansero tanto e si riavvicinarono. Dopo queste confidenza iniziarono a frequentarsi di più e a sentirsi con più assiduità su Skype. Vennero inoltre a conoscenza dei nominativi di altre persone truffate, alcune le conoscevano. Sapere di non essere i soli li ha fatti sentire meglio, hanno scoperto che tra le altre vittime c’erano dei loro amici e questo pure è stato utile, perché hanno potuto confrontarsi scoprendo così che il modus operandi era sempre lo stesso, scoprendo in fondo di non essere così speciali. A distanza di due anni il Vampiro continua a provare a irretirli attraverso l’uso manipolatorio della figlia maggiorenne, che presumibilmente sta seguendo le orme della madre, per fortuna con scarso successo.

Sono contenta di come sia andata la terapia, dei loro progressi e del fatto di essere stata loro di aiuto. In fondo aiutare gli altri è sempre stato il mio più grande desiderio. Insieme a loro e con la Dott.ssa Vittori all’interno di quella stanza è stato seminato un piccolo seme dal quale è nato un piccolo germoglio che in questi anni sto alimentando.

Nell’ultima seduta i pazienti sono venuti a studio e quella volta sono stati loro a donarmi un libro: “Dracula” di Bram Stoker; all’interno hanno scritto una piccola dedica firmandosi. Mi hanno detto che a casa loro per quel libro non c’era più spazio e che desideravano lo custodissi io per loro. Fu un momento molto emozionante, questa volta furono loro a donare a me un talismano. Ogni volta che guardo quel libro nella mia libreria penso a loro e da dove sono partita. Penso alle prime sedute e alle montagne russe provate durante la mia supervisione diretta e sono contenta e onorata che mi sia stata data questa opportunità. Ho accettato il loro dono e sinceramente ne sono rimasta molto commossa, ho visto nei loro occhi la gioia e la serenità che avevano raggiunto e fui veramente molto felice.

Vorrei concludere questo lavoro con le parole che pronunciò Gaia e che annotai nel mio quadernino: “Dopo questo lungo percorso, oltre ad aver capito tante cose su di me ho capito che posso dire di no. Ora vedo le cose in modo diverso, più lucido. Lei per me è come un tatuaggio. C’è un essere prima e c’è un essere dopo esserselo fatto. Ora sto molto meglio, mi colpevolizzo di meno, mi domando meno ‘come ho fatto a crederci’ e sono più serena”.

BIBLIOGRAFIA

 1. Mondello R. Palabra. Roma: Armando Editore, 2019.

 2. Stocker B, Dracula. Milano: Mondadori, 1897.

 3. Vittori ML. Guida al paradigma relazionale. Milano: Franco Angeli, 2014.

 4. Caillé P. Uno e uno fanno tre. Roma: Armando Editore, 2007.

 5. Andolfi M. La terapia di coppia in una prospettiva trigenerazionale. Roma: Accademia di Psicoterapia della Famiglia, 2006.

 6. Onnis L. Il tempo sospeso. Milano: Franco Angeli, 2005.

 7. Framo JL. Terapia intergenerazionale. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1996.

 8. Cancrini L. La cura della infanzie infelici. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2013.

 9. Kureishi H. Un Furto. Bompiani, 2015.