L’approccio sistemico nei traumi
da infortunio sul lavoro

Corrado Bernardi1, Silvia Pepe2, Piergiorgio Marchesi3, Gabriella Mosca4,
Teresa Randò
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IL TRAUMA DA INFORTUNIO LAVORATIVO: LA CO-COSTRUZIONE DI UN MODELLO DI INTERVENTO
Il presente lavoro è tratto da un progetto di sostegno psicologico che l’INAIL di Roma ha commissionato al gruppo IPR di Roma, rivolto a chi ha subìto un trauma medio/grave da infortunio sul lavoro.
La richiesta di un intervento psicologico, da parte dell’INAIL, nasce dall’evidenza di numerosi studi scientifici riguardanti gli infortuni sul lavoro che producono un complesso profilo sintomatologico che interessa l’area cognitiva, comportamentale e relazionale della persona.
A tal riguardo l’INAIL ha predisposto un bando pubblico, con l’obiettivo di erogare un servizio di sostegno psicologico (sportello ascolto) rivolto ad utenti vittime di incidenti avvenuti in ambito lavorativo al quale potevano partecipare soggetti del terzo settore con esperienze e competenze legate all’ambito psicologico.
Al bando si è candidato anche l’Istituto di Psicoterapia Relazionale (IPR), seppure l’approccio terapeutico richiesto sembrasse di tipo individuale; la procedura di partecipazione ha previsto la possibilità di svolgere alcuni incontri preliminari tra l’IPR e l’Ente INAIL al fine di offrire una proposta professionale in linea con le aspettative dell’Ente richiedente.
I parametri contenuti nel bando, oltre che di natura burocratica, erano mirati, come già detto, al sostegno psicologico del soggetto, secondo una prospettiva individuale. Tuttavia, già dai primi confronti con lo staff medico dell’INAIL, avvenuti in fase preliminare, emergeva l’impossibilità, tramite un intervento meramente individuale, di sostenere il soggetto infortunato a ristabilire un equilibrio di vita socio-relazionale, dovendo affrontare spesso una crisi matrimoniale o familiare.
Tale analisi portò i dirigenti stessi dell’INAIL ad evidenziare l’importanza del coinvolgimento del tessuto relazionale legato alla persona vittima del trauma, creando le basi per la co-costruzione del progetto secondo una prospettiva sistemico-relazionale, personalizzando per ciascun utente l’iter di trattamento più efficace a seconda delle circostanze (ad esempio: individuale, di gruppo, familiare o di coppia).
In particolare, per la realizzazione dell’intervento, nella fase preliminare è stata fondamentale la condivisione di una lettura relazionale del trauma e la creazione di un gruppo di lavoro costituito dallo staff dell’INAIL (medico, neurologo, infermieri, assistenti sociali e dirigente della struttura) e dall’équipe dell’IPR (3 psicologi-psicoterapeuti, un medico-neuropsichiatra e un didatta supervisore). Secondo la prospettiva sistemica, nel processo riorganizzativo della persona traumatizzata non è coinvolto solo il singolo paziente ma è l’intera famiglia ad affrontare la problematica causata dal cambiamento, poiché ogni membro si influenza reciprocamente. Il trauma vissuto dal lavoratore vittima di infortunio può essere rappresentato come qualcosa che rompe il consueto modo di vivere e vedere il mondo, e ha un impatto negativo sia sulla persona sia sulla sua famiglia.
Pertanto, si è lavorato, laddove è stato possibile, insieme alle persone significative per la persona traumatizzata, per tutta la durata dell’intervento. L’approccio adottato ha contemplato, per tutto lo svolgimento del progetto, anche lo staff medico dell’INAIL.
In particolare, ogni due settimane sono stati forniti gli aggiornamenti relativi ai casi in trattamento all’assistente sociale, e la verifica in itinere dell’andamento degli interventi allo staff INAIL. A tal riguardo sono state effettuate tre riunioni con lo staff INAIL e l’équipe dell’IPR.
A conclusione del lavoro clinico vi è stata la condivisione dei risultati ed alcune riflessioni sugli aspetti di forza e di debolezza del progetto, non solo con lo staff INAIL della sede interessata, ma anche con i rappresentanti INAIL di altre sedi e con l’equipe IPR.
LA PROCEDURA DELL’INTERVENTO TERAPEUTICO
L’intervento terapeutico effettuato è stato un intervento di breve durata (circa 15 sedute), volto a favorire l’elaborazione emotiva post-traumatica dell’evento ma anche con una funzione di prevenzione e presa di consapevolezza di aspetti che riguardano il proprio Sé ed eventuali atteggiamenti potenzialmente rischiosi o pericolosi e/o difficoltà future ad esse connesse.
Abbiamo trattato casi con traumi dovuti a incidenti lavorativi di diversa natura, tutti appartenenti a traumi di grande portata, tra cui la perdita di un arto, ripetuti interventi chirurgici, ustioni gravissime, e in alcuni casi la perdita della vita di colleghi o familiari (e il conseguente lavoro con i superstiti). Nonostante i diversi tipi di incidente e le diverse reazioni emotive abbiamo riscontrato nei pazienti sintomi molto simili quali: rabbia, tristezza, dolore, apprensione, reazioni fisiche, somatizzazioni, disturbi del sonno, pensieri intrusivi e difficoltà di concentrazione, la persona vittima di infortunio lavorativo subisce conseguenze complesse, poiché è un tipo di trauma che lascia il segno non solo a livello corporeo ma anche a livello emotivo e cognitivo [1-3].
Obiettivo dell’intervento era offrire un percorso di sostegno psicologico dal trauma che tenesse conto dell’intero sistema del paziente, del contesto e delle relazioni significative, integrando ad essi l’evento traumatico accaduto. Per la realizzazione del modello di lavoro e di intervento al trauma ci siamo riferiti in special modo ai lavori della Mucci [1] su pazienti vittime di gravi traumi di diversa origine.
In particolare, gli aspetti fondamentali del modello di intervento sul trauma possono essere così riassunti:
1. Costruire una buona relazione terapeutica col paziente, fondamentale affinchè il paziente si senta al sicuro ricordando l’evento traumatico senza essere ulteriormente traumatizzato.
2. Lavorare sul trauma come “dato” reale e oggettivo. Spesso in questa fase i pazienti, oltre a ricordare la parte peggiore dell’evento traumatico, hanno voluto mostrare ai terapeuti foto, disegni e in alcuni casi video di ciò che è accaduto e come è avvenuto l’incidente. In alcune situazioni in cui il paziente ha subito interventi chirurgici ricostruttivi, hanno voluto mostrare il “prima” e il “dopo” dell’intervento, e in alcuni casi anche la registrazione video dell’intervento stesso eseguito in sala operatoria.
3. Analizzare gli aspetti transferali e contro-transferali dell’équipe IPR. A tal riguardo i terapeuti si sono avvalsi di una supervisione indiretta.
4. Approfondire la storia del paziente sul piano trigenerazionale. Durante i colloqui con i pazienti è emerso, nel racconto della loro storia personale e familiare, la presenza di altri aspetti traumatici precedenti all’infortunio, che nonostante fossero accaduti nel passato, continuavano ad influenzare la loro vita, contribuendo in alcuni alla dinamica dell’incidente. Alcuni dei traumi intergenerazionali riguardavano le famiglie d’origine del paziente, quando questo era in tenera età, come ad esempio: incidenti di alcuni famigliari, abbandoni, lutti precoci, aborti, rifiuti, violenze, separazioni conflittuali, ecc.
5. Trasformare gli aspetti di dolore in forza e dunque aumentate le capacità di resilienza dei pazienti. Il lavoro terapeutico in questa fase ha consistito nel contenere la sofferenza dei pazienti. Abbiamo dunque lavorato sugli aspetti di perdita e luttuosi del paziente e dei famigliari. Fase in cui sono emersi gli aspetti depressivi, angoscianti e rabbiosi. È stato effettuato un lavoro molto simile all’elaborazione del lutto, che ha permesso, in molti casi, di passare alla fase successiva.
6. Avviare un processo riparativo volto ad integrare le parti frammentate del Sé dei pazienti traumatizzati, con l’obiettivo di giungere ad una integrazione, per quanto possibile, tra immagine passata e presente e accettazione della condizione attuale.
7. Rafforzare le risorse emotive interne del paziente, poiché solo se quest’ultime sono abbastanza forti e se non prevale la rabbia o la depressione, si creano le condizioni per uscire dalla fase del lutto [4], per dare un significato della sua vita nella sua interezza che contempla e integra anche l’evento traumatico avvenuto. In questa fase è stata prestata cura e attenzione al contesto e alle dinamiche relazionali del paziente, poiché spesso i pazienti riferivano la preoccupazione e l’angoscia di non riuscire a riprendere una vita soddisfacente dal punto di vista lavorativo e relazionale.
IL VALORE AGGIUNTO AL MODELLO D’INTERVENTO: LA SUPERVISIONE INDIRETTA DELL’ÉQUIPE TERAPEUTICA
La supervisione ha rappresentato uno strumento indispensabile per garantire la qualità di un servizio nuovo quale quello presentato, considerando la specificità del contesto in cui è stato realizzato, la delicatezza e la complessità dei casi trattati. Gli incontri condotti da uno psichiatra-psicoterapeuta esperto rivolti ai quattro terapeuti dell’IPR coinvolti nel progetto hanno avuto cadenza mensile per tutta la durata del progetto. Gli incontri sono stati realizzati presso la sede dell’IPR e le date programmate di volta in volta. È stato necessario, inoltre, prevedere un incontro straordinario di supervisione per la particolare urgenza di una situazione trattata. Il lavoro di supervisione ha interessato diverse fasi del progetto:
implementazione e organizzazione del modello di intervento;
strutturazione di un progetto d’intervento integrato con gli assistenti sociali interni all’INAIL;
supervisione indiretta sui casi seguiti nei percorsi di sostegno psicologico.
Il lavoro di supervisione, in una prima fase, ha riguardato un’attenta riflessione sulla progettazione del Servizio e sulla definizione della cornice clinica entro cui si realizzavano le azioni proposte. Sono state definite le regole del setting oltre che gli scopi e gli intenti del progetto di cura. Non trattandosi di psicoterapia, bensì di percorsi di sostegno psicologico (come richiesto espressamente dall’Ente committente) abbiamo definito gli obiettivi clinici dell’intervento offerto identificandone opportunità e gli eventuali limiti. La specificità di questo servizio sperimentale ha comportato necessariamente, nel lavoro di supervisione, un’accurata riflessione sulla natura della relazione di aiuto in considerazione delle specificità del contesto, al fine di leggere e valutare le dimensioni cliniche, diagnostiche e prognostiche. Questo lavoro di supervisione in una fase preliminare, all’inizio degli incontri, ha permesso una chiarezza nella formulazione del contratto terapeutico con i pazienti. La seconda fase ha riguardato la strutturazione di un progetto d’intervento integrato con gli invianti (staff INAIL), in particolare nella definizione di prassi di lavoro condivise. Sono state, infatti, individuate e concordate le modalità d’invio che avvenivano attraverso la presentazione del caso con un colloquio telefonico o di persona e la consegna ai terapeuti di una scheda riassuntiva su ogni singolo caso. Sono state scrupolosamente ponderate le “convocazioni” grazie alle informazioni ottenute dal colloquio con l’assistente sociale inviante e dalle schede sui casi nelle quali erano contenute informazioni utili sulla storia del trauma e sulla famiglia. Alla luce dei dati raccolti si è valutata l’opportunità di offrire percorsi individuali, familiari o di coppia, realizzando quindi un intervento di sostegno personalizzato a seconda delle specifiche esigenze. Nel corso dell’espletamento dell’intervento di sostegno psicologico il raccordo con l’assistente sociale inviante ha garantito una presa in carico totale, nel rispetto delle specifiche professionalità ed esigenze degli utenti. In una situazione specifica di una signora che in seduta aveva paventato l’idea di “farsi fuori”, la supervisione sul lavoro di rete con gli operatori INAIL ha favorito una proficua collaborazione al fine di concordare un piano d’intervento che, in quel momento, potesse attivare una serie di aiuti sul piano pratico, che la signora era maggiormente disponibile ad accettare (modifiche strutturali alla casa e all’impianto per cucinare essendo la signora una ustionata grave). I rischi significativi sarebbero plausibilmente rimasti nascosti se non ci fosse stata la possibilità di conoscere più nello specifico la condizione emotiva in cui versava la signora. La sinergia tra il lavoro della psicologa dell’IPR e dell’assistente sociale dello staff INAIL ha garantito di fatto la rilevazione e il monitoraggio di una situazione che poteva essere fortemente pericolosa a seguito dei danni emotivi generati dal trauma subito. Come precedentemente detto, l’intero progetto, è stato co-costruito insieme al committente.
La parte più significativa del lavoro di supervisione è stata ovviamente quella riguardante i casi clinici presi in carico. La metodologia utilizzata è stata: una supervisione indiretta sui casi trattati e un setting di gruppo con incontri a cadenza mensile. Le supervisioni condotte in gruppo ci hanno permesso di economizzare il tempo e hanno offerto maggiori possibilità di confronto delle esperienze ottimizzando il potenziale di apprendimento. La supervisione ha rappresentato quella che Haley [5] chiama una “bottega artigianale” dove attraverso la guida del supervisore e la collaborazione tra colleghi si condivide la responsabilità della conduzione dei processi terapeutici. Gli incontri hanno avuto un carattere partecipativo-collaborativo, hanno posto l’accento sull’utilizzazione delle risorse collettive, sollecitando modalità interattive rispettose attraverso la formulazione dei feedback empatici. Le prime supervisioni sui casi hanno permesso la condivisione e la formulazione degli obiettivi terapeutici (di lungo e di breve periodo), per ogni singolo caso, che ha consentito successivamente la verifica degli esiti dei trattamenti. I casi trattati si sono caratterizzati come altamente traumatizzanti che hanno messo in discussione totalmente l’identità dei nostri utenti. In molti casi l’incidente ha comportato non solo gravi traumi fisici che hanno compromesso il senso d’identità della persona, ma anche la perdita del lavoro. Tutto ciò ha pregiudicato in maniera rilevante l’equilibrio psicologico del paziente. Le drammatiche situazioni affrontate hanno avuto comprensibilmente un forte impatto emotivo sui terapeuti le cui risonanze sono stati ampiamente esplorate ed elaborate nelle varie fasi del processo terapeutico e nella specificità di ogni singola relazione d’aiuto. In un caso è stata affrontata la rabbia del terapeuta per una mamma invischiante e controllante nei confronti di un figlio divenuto disabile a seguito dell’incidente che presentava una forte spinta all’autonomia. In un altro caso è stato affrontato il vissuto d’impotenza del terapeuta rispetto alle richieste improprie del paziente che strumentalizzava il percorso di sostegno al fine di ottenere un risarcimento. È stata inoltre affrontata e accolta la fatica emotiva dei terapeuti di trattare nello stesso giorno, uno dopo l’altro, situazioni gravemente compromesse sia dal punto di vista fisico che psicologico. L’analisi e la comprensione dei transfert e dei controtransfert ha permesso l’elaborazione di alcuni nodi problematici a livello emotivo dei pazienti che costituivano un blocco evolutivo per la persona traumatizzata. La supervisione clinica, realizzata in gruppo, ha rappresentato uno spazio privilegiato di approfondimento, che ha consentito all’azione terapeutica di essere analizzata a più livelli, riducendo quindi i rischi del soggettivismo e la mancanza di controllo scientifico.
METODOLOGIA
Il campione
Al progetto hanno preso parte 17 pazienti (maschi= 8; femmine=9) di età compresa tra i 33 e i 60 anni. Tutti i pazienti hanno subito un infortunio sul lavoro che ha causato un danno di media e grave entità. I pazienti erano tutti utenti dell’INAIL delle varie sedi di Roma. L’invio dei pazienti è stato effettuato tramite l’assistente sociale INAIL nel rispetto delle norme sulla privacy.
Nella tabella 1 vengono riassunti i dati di ciascun paziente al momento della presa in carico.
Dei 17 pazienti che hanno completato il percorso proposto tre hanno richiesto di proseguire il sostegno psicologico privatamente dopo i 15 incontri previsti dal progetto.






Strumenti utilizzati in fase pre- e post-intervento
Il committente, l’INAIL, aveva richiesto di usare degli indicatori che andassero a valutare l’efficacia dell’intervento. A tal riguardo, sono stati scelti alcuni dei test più comunemente utilizzati in letteratura che si sono dimostrati validi e affidabili.
In particolare, a ciascun paziente sono stati somministrati prima e dopo l’intervento quattro strumenti quantitativi per le aree ritenute maggiormente a rischio, legate soprattutto alla percezione del proprio stato di salute fisica e mentale, e agli aspetti depressivi, ansiosi e aggressivi.
A tal riguardo sono stati utilizzati in fase pre e post-intervento i seguenti strumenti di misura:
1. SF-12 Short Form Health Survey [6], una scala di misura volta a rilevare la percezione di salute fisica e mentale. Si tratta di una versione ridotta costituita da 12 item.
2. Hamilton Depression Rating Scale [7], una scala di misura volta a rilevare lo stato depressivo del soggetto. La scala è costituita da 21 item.
3. Hamilton Rating Scale for Anxiety (Ham-a) [8], una scala di misura volta a rilevare lo stato ansioso patologico. La scala è costituita da 14 item.
4. State-Trait Anger Expression Inventory (Staxi) [9], una scala di misura volta a rilevare la rabbia e l’aggressività, distinguendo tra rabbia di stato e rabbia di tratto. La scala è costituita da 44 item.
5. Infine, è stato somministrato, in fase pre-intervento, un ulteriore strumento di misura, di tipo qualitativo, una sorta di griglia, denominato I Quadranti [10]. Tale strumento è volto a rilevare alcuni aspetti del paziente che pensando, alla sua situazione del momento, vorrebbe: “cambiare-trasformare”, “potenziare-aumentare”, “ridurre-eliminare”, “conservare-mantenere”. Tale strumento ha permesso di individuare gli aspetti importati per il paziente sui quali lavorare durante il percorso di sostegno psicologico.
RISULTATI ED EVIDENZE RISCONTRATE
L’analisi effettuata attraverso il pre e il post-test ha evidenziato un miglioramento ed una riduzione dei valori critici in tutte le aree esplorate: stato di salute mentale del paziente, depressione, rabbia di tratto e di stato, aggressività ed ansia (Figura 1).
In particolare, l’area relativa alla percezione della propria salute, misurata con il Test SF-12, appare meno critica in seguito all’intervento, ovvero la sensazione di forte limitazione fisica e mentale presente in quasi tutti i pazienti all’inizio del percorso psicologico, nella seconda somministrazione presenta valori più bassi.
I sintomi depressivi, seppur ancora riscontrati, sembrano essere meno gravi nella seconda somministrazione, avvicinandosi quasi ai cut-off di riferimento, relativi alla diagnosi di disturbo depressivo.
La dimensione di forte criticità, relativa all’aggressività ed alla rabbia, evidenziata dal Test STAXI, mostra valori meno elevati alla fine del percorso psicologico, soprattutto in relazione alla percezione del momento attuale, permettendo di riscontrare come lo spazio di sostegno psicologico rappresenti un elemento in grado di catalizzare tali stati d’animo.



Anche la gestione della rabbia mostra valori inferiori rispetto all’inizio. L’ansia appare decisamente ridotta rispetto all’inizio, con valori molto vicini al cut-off di riferimento del test utilizzato.
Infine, a titolo di esempio, nella Figura 2 sono riportati i quadranti compilati dai pazienti. Come si può notare alcuni pazienti vorrebbero: “cambiare-trasformare” la propria timidezza, la propria fragilità, la selettività, il pensare negativo e la loro comunicabilità con gli altri; vorrebbero “aumentare-potenziare”: la socialità, la propria felicità; ed ancora “ridurre eliminare” i pensieri negativi, la tristezza, l’insicurezza, le paure e l’infelicità; ed infine vorrebbero “conservare-mantenere” la propria forza di carattere e i legami affettivi d’amore con la propria famiglia. Di seguito a titolo di esempio sono riportati solo alcuni dei “Quadranti” compilati dai pazienti.



CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE, LIMITI E APPLICABILITÀ FUTURE
L’intento del presente contributo era presentare un lavoro clinico in ambito sistemico-relazionale attuato in un contesto diverso dal contesto classico di terapia.
In particolare, l’intervento attuato si inscrive in un progetto che ha visto coinvolti l’IPR di Roma e lo staff di una delle sedi INAIL di Roma. A tal riguardo, è stato realizzato un modello di intervento al trauma secondo una prospettiva sistemico relazionale.
Si è cercato di lavorare, in primis, con lo staff INAIL con l’obiettivo di condividere lo stesso modello di lavoro, prima ancora di lavorare con i pazienti e i loro familiari.
In questo progetto l’esiguità del numero dei casi non permette di effettuare generalizzazioni dei risultati. Tuttavia, risultano incoraggianti i risultati ottenuti dal percorso terapeutico adottato, in cui si è cercato di contemplare la persona, i sistemi di relazione e il contesto in cui è inserita, approcciando dunque al trauma con una prospettiva sistemico-relazionale. A tal riguardo, per percorsi futuri si potrebbe valutare la possibilità di ampliare il sistema, per esempio, contemplando gruppi multi-familiari, in cui i familiari del paziente possono partecipare, confrontarsi e sostenersi contribuendo al recupero emotivo e riabilitativo del paziente.
Un’ulteriore considerazione ci è sorta dopo la pubblicazione di un articolo da parte dello staff dell’INAIL [11] in cui veniva sottolineata l’importanza di considerare nel trattamento, non solo il paziente ma anche le relazioni e il contesto in cui è inserita la persona che ha subìto l’infortunio, a differenza degli interventi svolti fino a questo momento che erano prevalentemente rivolti in ambito individuale e di tipo riabilitativo.
Questa consapevolezza, divulgata attraverso una pubblicazione da parte dello staff INAIL, ha rappresentato per noi dell’équipe IPR un’ulteriore conferma sul modo di approcciare al trauma fisico e psicologico. Le potenzialità del progetto vertono proprio su questo, ovvero aver co-costruito un progetto con il committente e aver contribuito, per quello che è stato possibile, ad un passaggio da una lettura individuale ad una lettura relazionale e sistemica del trauma.
Ringraziamenti: siamo grati del confronto avvenuto con la dott.ssa Clara Mucci, per gli spunti forniti sul trauma che hanno permesso di sviluppare il modello presentato.
BIBLIOGRAFIA
 1. Mucci C. Trauma e perdono. Una prospettiva psicoanalitica intergenerazionale. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2014.
 2. Ogden P, Minton K, Pain C. Il trauma e il corpo. Manuale di psicoterapia senso motoria. Sassari: Istituto Scienze Cognitive, 2012.
 3. Van der Kolk B. Il corpo accusa il colpo. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2015.
 4. Cancrini L. Date parole al dolore. Roma: Frassinelli, 1996.
 5. Haley J. Formazione e supervisione in psicoterapia. Trento: Erickson, 1997.
 6. Apolone G, Mosconi P, Quattrociocchi L. Questionario sullo stato di salute SF-12 versione italiana. Milano: Guerini e Associati, 2001.
 7. Hamilton M. A rating scale for depression. J Neurol Neurosurg Psychiatry 1960; 23: 56-62.
 8. Hamilton M. The assessment of anxiety states by rating. Br J Med Psychol 1959; 32: 50-5.
 9. Spielberger CD. Manual for the State-Trait Anger Expression Inventory-2. Odessa, FL: Psychological Assessment Resources, 1999.
10. Avallone F. Strumento fornito durante il Ciclo biennale “formazione formatore”, Roma, 2002-2004.
11. Berardi O. Mai più soli. A Roma uno sportello di sostegno psicologico. SuperAbile INAIL, 2016, 58.