La costruzione della fiducia con i tossicodipendenti.
L’esperienza del servizio di pre-accoglienza
del SerT di Udine

Andrea Mian1



Particolarmente dedicato agli psicoterapeuti, l’articolo collocato in questa rubrica risponde all’esigenza di una sottolineatura: caratterizzando in modo diverso forme diverse di psicoterapia, non stiamo perdendo il senso dell’unità possi­bile intorno al concetto di psicoterapia?


Particulary addressed to psychotherapists, the article in this section answers to the need of focusing on the following consideration: by characterizing psychotherapy in different ways aren’t we loosing the sense of unity involved in the concept of psychotherapy?


Este artículo está dedicado a los psicoterapeutas, en él se trata de responder a la cuestión: definiendo de distintas maneras la psicoterapia, non se corre el riesgo de perder la unidad del concepto de psicoterapia?



Riassunto. Questo articolo descrive gli aspetti metodologici di un’esperienza di lavoro terapeutico svolto presso il servizio di pre-accoglienza del SerT di Udine. Dopo una breve presentazione del Servizio, si riportano alcuni esempi di complessità riferiti al lavoro terapeutico con i tossicodipendenti. Si descrivono quattro modalità di approccio alla complessità e nello specifico si approfondisce l’utilizzo dei sistemi di riduzione della complessità. L’articolo propone l’idea della costruzione della fiducia come sistema di riduzione della complessità nel lavoro terapeutico con i tossicodipendenti. A riguardo vengono riportati alcuni esempi di tipo operativo sulla comunicazione promozionale, la costruzione di un ambiente protetto, la definizione di regole e vincoli, la personalizzazione, i codici comunicativi, la gestione dei tentativi relazionali di confronto. Per ciascun esempio sono riportati continui riferimenti metodologici, che permettono di giungere ad alcune riflessioni conclusive.

Parole chiave. Riduzione della complessità, tossicodipendenza, fiducia, promozione.


Summary. Trust-building with drug-addicted adults. The experience of the pre-admittance Unit of Udine’s SerT.
This article describes the methodological aspects of a therapeutical work experience, done at the pre-admittance service of Udine’s SerT. After a brief presentation of the pre-admittance Unit of Udine’s SerT, there will be some examples of complex situations related to the therapeutical work done with drug-addicted adults. Four approach-to-complexity models are described, concentrating on the use of the complexity reduction method. Specifically, this article supports the idea of trust-building as a system of complexity reduction used in the therapeutical work with drug-addicted people. Some operative examples are given with regard to promotional communication, creation of a save environment, definition of rules and limits, personalization, communicative codes and management of confrontational relationship attempts. Constant methodological references are given for each example, followed by final considerations.

Key words. Complexity reduction, drug-addiction, trust, promotional communication.
Resumen. Crear confianza con los drogadictos. La experiencia del Servicio previo a la recepción del SerT en Udine.
Este artículo describe los aspectos metodológicos de una experiencia laboral terapéutica, llevada a cabo en el servicio de pre-recepción SerT Udine. Luego de una breve presentación del Servicio, se reportan algunos ejemplos de complejidad referidos al trabajo terapéutico con drogadictos. Se describen cuatro métodos de aproximación a la complejidad y específicamente se explora el uso de sistemas de reducción de la complejidad. El artículo propone la idea de construir confianza como un sistema de reducción de la complejidad en el trabajo terapéutico con drogadictos. En este sentido, se informan algunos ejemplos de tipo operativo sobre comunicación promocional, la construcción de un entorno protegido, la definición de reglas y restricciones, la personalización, los códigos de comunicación, la gestión de los intentos relacionales de comparación. Para cada ejemplo se reportan referencias metodológicas continuas, que permiten llegar a algunas reflexiones concluyentes.

Palabras clave. Reducción de la complejidad, adicción a las drogas, confianza, promoción.
Premessa
Si è scelto di pubblicare questa esperienza per aprire una riflessione riguardo alla gestione della complessità, in particolare si presentano alcune proposte metodologiche per affrontare la complessità del lavoro terapeutico con i tossicodipendenti. L’approccio teorico di riferimento è quello sistemico-costruttivista. Sull’efficacia del metodo non ci sono evidenze misurate, nel senso che non è stata condotta una ricerca pre-post per misurare gli effetti dell’applicazione del metodo. Ci sono però numerose osservazioni, di operatori e di utenti, che descrivono il servizio di pre-accoglienza come molto significativo per il percorso terapeutico. Alcune di tali osservazioni sono riportate nell’articolo, descrivendo il “clima” che si è venuto a creare nel servizio, attraverso le forme comunicative ed i codici comunicativi prevalenti. Infatti si è osservato un passaggio da forme comunicative di tipo individualistico, modernistico, strumentale, tipiche dell’ambiente della tossicodipendenza, a forme comunicative centrate sul divertimento rispettoso, sull’empatia, sulla collaborazione e soprattutto sulla fiducia. Un esempio pratico è l’azzeramento degli episodi di violenza, sia fisica sia verbale, episodi che risultano assenti dal servizio da più di due anni.
DESCRIZIONE DEL SERVIZIO DI PRE-ACCOGLIENZA
Descriverò sinteticamente il servizio di pre-accoglienza del SerT di Udine perché quello che mi propongo di evidenziare è il metodo di lavoro, piuttosto che le specifiche attività del servizio. Ritengo infatti che l’approccio proposto possa essere riprodotto in altri servizi dedicati alla cura della tossicodipendenza.
Il servizio di pre-accoglienza è nato nel 2011 con l’idea di essere un servizio flessibile, a bassa soglia di ingresso per rispondere ai seguenti obiettivi:
– rappresentare una tappa di un percorso che porta all’accoglienza, alla Comunità Terapeutica Diurna o ad una comunità residenziale;
– sostenere gli utenti che stanno facendo o intendono fare un percorso di vita (décalage del farmaco sostitutivo, borsa-lavoro, lavoro, formazione, preparazione all’ingresso in comunità);
– agganciare gli utenti che non hanno un programma terapeutico definito;
– ridurre i danni a coloro che non intendono ancora abbandonare la sostanza illegale;
– attuare un programma alternativo al carcere o integrativo agli arresti domiciliari;
– rappresentare un impegno giornaliero per utenti (consumatori o ex consumatori di sostanze) in carico ai servizi sociali o a comunità locali;
– rappresentare un punto di osservazione dell’utenza, coordinato con gli altri operatori del SerT e di altre strutture che collaborano con il SerT;
– dare risposte flessibili a varie richieste aspecifiche di aiuto.

In pre-accoglienza sono proposte tre attività principali: l’attività fisica in palestra, i gruppi terapeutici, alcune uscite ricreative e culturali sul territorio.
Il servizio propone ogni giorno, dal lunedì al venerdì, un’ora e mezza di attività fisica, che si svolge presso la palestra del SerT di Udine; ad ogni utente viene costruito un programma di allenamento personalizzato in base ai propri obiettivi ed aspettative concordati con gli operatori. A conclusione dell’attività di palestra, il gruppo consuma una piccola colazione presso la Comunità Terapeutica Diurna. I gruppi terapeutici si svolgono due giorni alla settimana e durano un’ora. L’inizio del percorso in pre-accoglienza è preceduto da un colloquio dove si raccolgono le aspettative e si condividono gli obiettivi per ciascun utente, in modo da rendere il percorso il più personalizzato possibile. Oltre a queste attività in sede, si svolgono alcune uscite sul territorio (gite in bici, escursioni in montagna, serate al cinema, ecc.). L’attività della palestra permette un punto di osservazione privilegiato, in quanto gli operatori possono confrontarsi con gli utenti nel loro agire. La relazione tra la comunicazione (propositi, intenzioni, obiettivi, aspettative, ecc.) e l’azione (esercizi fisici, atteggiamento verso gli altri, modalità di consumo della colazione, ecc.) permette agli operatori di avere degli spunti per promuovere la riflessione tra gli utenti. In questo modo si tenta di costruire una coerenza tra percorso psicologico, relazioni e attività quotidiana: tra il pensare, il comunicare ed il fare.
LA COMPLESSITÀ DEL LAVORO CON I TOSSICODIPENDENTI
L’utenza della pre-accoglienza, come si deduce da quanto detto, non è selezionata, quindi vi partecipano persone con varie problematiche associate alla dipendenza: personalità antisociali, borderline, con disturbi paranoici, ecc.
È noto che il lavoro con le persone tossicodipendenti è faticoso, in quanto ci si trova ad affrontare situazioni complesse, con un’utenza che porta una variegata tipologia di disagio [1]. Di seguito si descrivono alcuni aspetti che esemplificano questa complessità.
Una patologia egosintonica
Il tossicodipendente spesso si trova bene nella sua condizione, la ricerca e la riproduce in continuazione. Spesso il consumo di sostanze rappresenta un’autocura riguardo a sofferenze profonde. Le sostanze permettono alla persona di trovare un rifugio ed una sospensione da tali sofferenze, per questo sono ricercate. Inoltre le sostanze agiscono sul circuito cerebrale del piacere, il quale va ad influenzare i significati attribuiti alle sostanze stesse. In sintesi uno degli effetti delle sostanze psicoattive è quello di autopromozione, cioè la sostanza agisce sulle percezioni, sulle aspettative, sui giudizi, che la persona ha riguardo alla sostanza stessa. Gli operatori si trovano così ad avere dei pazienti molto ambivalenti, che da una parte chiedono aiuto, dall’altra non vogliono cambiare, con forti tendenze all’autocura, a fare da sé, in contrasto con le proposte terapeutiche.
L’affidarsi all’operatore è un presupposto dei percorsi terapeutici. Questo presupposto è molto difficile da costruire con i tossicodipendenti principalmente per due motivi: il primo riguarda le esperienze di vita caratterizzate da innumerevoli delusioni della fiducia; il secondo motivo riguarda il “senso di evidenza”, cioè quel sentimento di percezione dell’oggettività e della realtà che orienta ogni persona: tale sentimento nei tossicodipendenti risulta spesso stereotipato. Affidarsi all’operatore per il tossicodipendente significa spesso rinunciare al proprio “senso di evidenza”. Un esempio, tra i tanti, di discrepanza tra l’evidenza dell’utente e quella dell’operatore è la questione lavorativa: l’utente spesso è convinto di poter affrontare un impegno lavorativo, come ad esempio una borsa-lavoro, mentre per l’operatore è evidente che un’esperienza del genere sarebbe, in quel momento, insostenibile e fallimentare. Per l’operatore si tratta di un punto di vista, per l’utente della verità. Promuovere una relazione di fiducia, permette di scalfire le “evidenze” degli utenti, accogliendo e contenendo l’ansia e l’angoscia di mettere in dubbio l’evidenza/verità.
La patologia della libertà
La tossicodipendenza è stata definita anche come la patologia della libertà. Se per libertà si intende la possibilità/capacità di fare delle scelte consapevoli, si può osservare come la persona tossicodipendente abbia scarsi spazi di scelta. Nel tossicodipendente si osservano molti automatismi (comportamentali, comunicativi e mentali), da quelli semplici fino a quelli più articolati. Quindi il tossicodipendente, spesso senza rendersene conto, in modo automatico e sistematico, prende strade che vengono osservate dagli operatori come patologiche. Questi automatismi rendono il percorso terapeutico particolarmente complicato. Spesso, quando si riesce a concordare un progetto terapeutico tra operatori e paziente, il paziente sembra all’inizio convinto, per poi scadere in comportamenti automatici che contraddicono le proprie intenzioni e gli accordi presi. Molti automatismi sono standardizzati, per cui il modo di essere “tossico” non è personalizzato, ma è omologato, scontato, banale e per certi versi anche conservatore. Ad esempio il tossicodipendente da eroina finisce a frequentare l’ambiente “tossico”, con le sue regole sociali “tossiche”, ad assumere un linguaggio “tossico”, a sviluppare idee tipicamente “tossiche”, anche il corpo assume posture caratteristiche del “tossico”. Si sviluppa quindi un processo di de-personalizzazione. Vedremo come questa dicotomia, tra personalizzazione e depersonalizzazione, sarà una modello interpretativo centrale per sviluppare il percorso terapeutico.
Se dal di fuori i tossicodipendenti sono “tutti uguali”, il vissuto di ciascuno è speciale ed unico, e non potrebbe essere altrimenti. Il problema è che questa unicità è percepita dal paziente anche quando agisce e pensa in modo stereotipato da dipendente.
Scarsa empatia
Il danno forse più devastante della tossicodipendenza riguarda la dimensione emotivo-affettiva. Quella che viene compromessa è l’intelligenza emotiva [2]. Il tossicodipendente ha difficoltà a riconoscere le emozioni che prova, a distinguerle e a gestirle. Sono quindi compromesse le competenze empatiche. Da un punto di vista neurofisiologico, particolarmente interessanti risultano gli studi sui cosiddetti “neuroni specchio”, che svolgono la funzione di rispecchiamento, cioè la capacità di sentire il sentire degli altri. La scarsa empatia comporta una seria difficoltà nel mettersi “nei panni dell’altro”. Crediamo che la maggior parte dei reati commessi dai tossicodipendenti, oltre che per la ricerca compulsiva della sostanza, siano legati al non sentire e al non riuscire a prevedere il dolore degli altri o i danni emotivi che si possono arrecare agli altri. Le altre persone, quindi, diventano meri strumenti, mezzi per raggiungere i propri obiettivi, di solito strettamente legati al consumo della sostanza stessa. L’altro non è visto, ma soprattutto non è sentito come persona unica, con specifici sentimenti, specifiche aspettative, specifiche emozioni. L’altro spesso è banalizzato in categorie stereotipate: gli sbirri, gli operatori, lo Stato, ecc. Emozioni, sentimenti, affetti, quando non sono “sentiti”, possono essere utilizzati anch’essi come strumenti. Il tossicodipendente spesso fa leva sugli affetti ed i sentimenti delle persone che gli stanno vicino, per sfruttarli a proprio “vantaggio”. Questo aspetto è uno dei più difficili da gestire nella relazione terapeutica: può capitare di scoprire di essere stati usati, in un certo senso traditi e non riconosciuti nella fatica spesa per aiutare il paziente tossicodipendente, il quale all’improvviso si dimostra capace di “rullare” l’operatore, senza nessuna empatia e riconoscenza.
La patologia del tempo
Molte sostanze stupefacenti hanno, tra gli altri effetti, quella di perturbare il senso dello scorrere del tempo. Per il tossicodipendente il tempo può dilatarsi o accelerare, sfumare, fermarsi. Il tossicodipendente è coinvolto in continue urgenze, che poi svaniscono improvvisamente causando instabilità emotiva. Capita spesso che in una sola mattinata un utente cambi stato di umore, in modo radicale, anche due o tre volte. Questo significa che le convinzioni, i propositi, i sentimenti possono variare, in tempi brevi e in modo drastico. Un progetto che suscita entusiasmo e buoni propositi, qualche ora dopo può essere dimenticato per il sopraggiungere di qualche urgenza. Tenuto conto che un percorso terapeutico dedicato ad un tossicodipendente è efficace in tempi lunghi, risulta complesso mantenere una costanza terapeutica senza cedere alle continue emergenze.
LA GESTIONE DELLA COMPLESSITÀ
Sopra sono stati riportati solo alcuni esempi di “situazioni tipo” di lavoro terapeutico con persone tossicodipendenti. Tali esempi però sono già sufficienti a far capire che questo lavoro implica il dover gestire situazioni complesse. Da un punto di vista sistemico la complessità può essere trattata in quattro modi:
– il primo è quello di non prenderla in considerazione. Osservare un eccesso di complessità porta a “lasciar perdere”, al non pensarci, certe volte a non vedere. In altri casi, in modo più consapevole, si sceglie di non intervenire, perché la complessità è eccessiva;
– la seconda modalità è quella del blocco operativo. L’osservazione della complessità ha come effetto un blocco, che può avere varie forme: può essere un blocco emotivo (burnout), oppure una ricerca continua di ulteriori informazioni, con interminabili processi di analisi o di diagnosi, senza mai arrivare a decisioni operative. Mentre nel primo caso si ha un senso evidente di inefficacia, nel secondo caso si ha l’illusione di stare a fare qualcosa;
– la terza modalità è quella della semplificazione, una strategia utilizzata spesso, che consiste nell’applicare soluzioni semplici a problemi complessi. Tali soluzioni sono di solito influenzate da emozioni, quali la rabbia o la paura;
– la quarta modalità è quella di affrontare la complessità, trovando delle strategie di riduzione della complessità stessa. Questa modalità si distingue da quella precedente, la semplificazione, perché più strategica e meditata e perché utilizza sistemi complessi di riduzione [3].

La realtà ha sempre un livello di complessità maggiore del pensiero, per cui nessun sistema teorico riuscirà a descriverla ed affrontarla nella sua totalità, però un approccio teorico sufficientemente strutturato può ridurne la complessità in sistemi dove sia possibile operare coerentemente. Una modalità utilizzata in pre-accoglienza per affrontare la complessità ed i paradossi della cura delle tossicodipendenze è la costruzione della fiducia. A questo termine si attribuisce un significato complesso, che tenteremo, almeno in parte, di affrontare.
UNA FORMA DI RIDUZIONE DELLA COMPLESSITÀ: LA FIDUCIA
Definizioni e significato della fiducia
«La fiducia – intesa nel senso più ampio di fare affidamento sulle aspettative proprie – è una situazione elementare della vita sociale». Questa è la definizione che ne dà Luhmann, il quale continua sostenendo che «[...] l’individuo deve scegliere se accordare o meno la propria fiducia in determinate circostanze. Ma senza fiducia egli non potrebbe neppure alzarsi dal letto ogni mattina. Verrebbe assalito da una paura indeterminata, e da un panico paralizzante» [3].
Fiducia quindi come affidamento e come costruzione di certezze su cui basare le proprie aspettative e le proprie azioni. La fiducia permette di gestire l’incertezza, di orientare le azioni ed i sentimenti. La fiducia è legata alla possibilità di fare delle scelte personali e saper decidere; è la base dell’autonomia personale, quindi il contrario della dipendenza.
Fiducia e tossicodipendenza
Associare fiducia e tossicodipendenza sembra un paradosso. Il tossicodipendente è la persona meno affidabile che si possa incontrare. Porre fiducia su una persona tossicodipendente avrà come risultato probabile una delusione delle aspettative ed un potente sentimento di tradimento della fiducia concessa. Questo è il percorso tipico di molti familiari di ragazzi tossicodipendenti, i quali subiscono danni materiali e morali importanti per aver concesso fiducia. Anche gli operatori si trovano ad affrontare questo rischio, con conseguenti delusioni che possono arrivare fino al burnout.
Fiducia: dalla persona al processo
In questo articolo la proposta metodologica consiste nel costruire la fiducia, in termini comunicativi, non tanto sulla persona del tossicodipendente quanto sul processo terapeutico. Questa distinzione è centrale. Per essere efficace questo metodo deve essere utilizzato sistematicamente. Concentrarsi sul processo significa cambiare modo di osservare gli eventi, i quali risultano significativi, non per se stessi, ma per la loro relazione con la storia. È come passare dalla fotografia al film, ogni scena ha significato per ciò che è accaduto prima, ma potrà dare anche significato a ciò che accadrà dopo. L’attenzione sul processo significa anche uno spostamento dell’attenzione dal cosa fare al come fare, in base agli obiettivi che si vogliono raggiungere. Diventa quindi una questione di metodo. Un esempio tipico è rappresentato da una situazione di crisi, la quale può essere re-interpretata come risorsa, come occasione di riflessione, di cambiamento.
STRATEGIE DI COSTRUZIONE DELLA FIDUCIA SUL PROCESSO
Due premesse terapeutiche: richiesta esplicita di aiuto e condivisione degli obiettivi
In questi anni di lavoro sul campo si è osservato che i percorsi terapeutici sono destinati al fallimento nei casi in cui il tossicodipendente non espliciti il suo bisogno di ricevere aiuto. Questa richiesta di aiuto non è scontata, per quanto detto sopra riguardo alla tossicodipendenza come psicopatologia sintonica. Un’altra premessa fondamentale è la definizione e condivisione degli obiettivi tra paziente ed operatori. Esplicitare gli obiettivi permette di dare il senso del processo, sul quale costruire la fiducia, e permette di contrastare la patologia del tempo propria dei tossicodipendenti. È fondamentale che gli obiettivi siano personalizzati, ciò promuove la personalizzazione e contrasta le stereotipie. Ad esempio, nel servizio di pre-accoglienza, come primo passo, si definisce che tipo di aiuto la persona stia cercando dal servizio stesso. Talvolta alcuni utenti non portano alcuna richiesta di aiuto, si dicono costretti a frequentare il servizio a causa di obblighi penali. In altri casi l’aiuto richiesto è esclusivamente di tipo materiale. Nel primo caso si tende a rifiutare l’ingresso del paziente al servizio, problematizzando ed esplicitando la funzione del servizio stesso; questo di solito promuove una riflessione riguardo la propria situazione e la propria sofferenza. Si è visto che nei casi in cui l’utente è stato “costretto” a frequentare il servizio, e non riesce a trovare motivazioni personali, il percorso ha buone possibilità di fallimento. Per quanto riguarda le richieste di tipo strettamente materiale, soffermarsi sulle funzioni del servizio e sulla confusione di aspettative (aspettarsi sostegno materiale da un servizio terapeutico) è già una azione terapeutica di orientamento dell’utente e di aiuto a distinguere lo “stare bene” dall’“avere vantaggi o supporti materiali”. I due aspetti possono andare assieme, ma non sono la stessa cosa. Tale intervento rappresenta un contrasto della modalità “tossica” di identificazione/confusione tra vantaggio materiale e benessere.
La definizione e la condivisione di obiettivi terapeutici personalizzati permettono agli operatori di intervenire successivamente per bloccare certi comportamenti, atteggiamenti o comunicazioni patologiche, non in termini strettamente educativi (sei stato maleducato, hai sbagliato), ma in termini terapeutici condivisi (come abbiamo concordato ti fermo su questa cosa qui), in termini di processo e promozione (proviamo ad allenarci in questa competenza). Inoltre la personalizzazione degli obiettivi permette di rendere più funzionali le regole (vedi sotto).
La comunicazione promozionale
Lo stile comunicativo promozionale è stato codificato da varie ricerche ed interventi sociali [4-6]. In estrema sintesi consiste nel produrre una sistematica selezione comunicativa, che evidenzia gli aspetti funzionali, sani, interessanti, rispettosi, profondi, belli, intelligenti, ecc. Lasciando in ombra, cioè tenendo il più possibile fuori dalla comunicazione gli aspetti disfunzionali, patologici, parassitari, insignificanti, irrispettosi, banali, brutti, stupidi, ecc. Un esempio tipico è rappresentato dal tema delle sostanze. Su questo tema i tossicodipendenti si attivano emotivamente e sono sempre molto disponibili a discutere, anche in termini negativi (cioè parlando male delle sostanze, di come cercano di evitarle, ecc.). In questo modo però le sostanze, nel bene o nel male, sono protagoniste ed occupano le comunicazioni ed i pensieri del gruppo. La comunicazione promozionale lascia nell’ ombra comunicativa le sostanze e ricerca sistematicamente temi che possano creare interesse, motivazione, emozioni, passioni; cioè gli stessi effetti che la discussione sulle sostanze provocano sui tossicodipendenti.
Una critica che viene rivolta alla comunicazione promozionale sostiene che in questo modo si tralascia di affrontare i problemi e ci si rifugia in una comunicazione dove tutto è illusoriamente bello e funzionale. In realtà la comunicazione promozionale affronta le problematiche centrandosi sugli aspetti risolutivi, cercando elementi di contrasto. Un esempio è dato da quelle situazioni in cui un paziente è di forte disturbo per il gruppo per la sua logorrea, in questo caso l’operatore può intervenire sottolineando gli elementi disturbanti e cercando di ridurli (tipica richiesta: non disturbare, non parlare tanto, fai silenzio...), oppure in modo promozionale proponendo soluzioni positive che contrastino il disturbo, come ad esempio l’allenamento all’ascolto. I significati dei due approcci sono molto diversi: nel primo caso il protagonista è il disturbo (la logorrea) da evitare, nel secondo caso la protagonista è la competenza all’ascolto. Per il paziente sentirsi riprendere per la sua incapacità o essere sostenuto nell’allenarsi a sviluppare una sua competenza rappresenta una bella differenza. Una differenza sostenuta dalla fiducia e che costruisce fiducia nel percorso terapeutico.
L’odissea del tossicodipendente e l’idea di isola
Molti tossicodipendenti fanno l’esperienza del caos ingestibile dentro il quale si sentono travolti, o per gli impatti psicologici e psichiatrici delle sostanze (paranoie, attacchi di panico, ecc.) o per la vita sociale che li “perseguita” con richieste e vincoli insostenibili (necessità economiche, problemi con la giustizia, ecc.). Queste esperienze promuovono una perdita di fiducia nel mondo e in se stessi. In particolare il mondo, quello esterno all’ambiente della tossicodipendenza, diventa eccessivamente complesso ed ingestibile. Per alcuni trovare un piccolo spazio di fiducia, permette una pausa da un marasma angoscioso. Infatti del caos non ci si può fidare, la fiducia ha bisogno di un minimo di stabilità. Inoltre un sistema, per poter cambiare, deve prima stabilizzarsi. Per questo la pre-accoglienza propone uno spazio limitato, con confini precisi, entro il quale sperimentare e sperimentarsi. La proposta, quindi, non è quella di un cambiamento di vita, ma di una sperimentazione per due ore al giorno. La sperimentazione richiesta è principalmente di tipo affettivo, si chiede alla persona di partecipare ad un ambiente fiducioso, rispettoso (empatico) e collaborativo, con l’obiettivo condiviso di stare bene, non per sempre, ma solo per due ore. Questa proposta da un lato permette di sperimentare (sentire) una relazione affettiva (gli altri si interessano a me come persona ed io posso interessarmi agli altri come persone), dall’altro apre una continua discussione e un continuo confronto su cosa significano rispetto, fiducia, collaborazione, benessere, ecc. Davanti a questa proposta gli utenti in un primo momento rimangono disorientati, successivamente ne colgono il senso. Alcuni di loro hanno descritto il servizio come un rifugio, un’isola, un’oasi, dove si sentono riconosciuti come persone e possono riconoscere gli altri come persone uniche e specifiche, un luogo dove, per un po’, sono sospese la solitudine e le relazioni strettamente strumentali tipiche dell’ambiente tossico. Nello specifico presso il servizio di pre-accoglienza, costruire una fiducia di fondo e relazioni di fiducia permette ai partecipanti di trovare uno spazio di rifugio, di affidarsi parzialmente all’operatore, di permettersi dei momenti di espressione personalizzata, di rischiare piccole esplorazioni di stili alternativi di vita, di vivere un ambiente rilassato dove il sospetto continuo può essere sospeso. Il tutto senza richiedere un cambiamento radicale di vita, insostenibile perché andrebbe ad intaccare il senso di continuità e di coerenza della propria identità [7].
Le regole sono diverse per tutti: la personalizzazione
Quanto detto sopra permette di riprendere il tema della personalizzazione. La personalizzazione è strettamente legata all’autonomia personale, quindi rappresenta un forte contrasto alla dipendenza [4]. La fiducia favorisce l’autonomia personale promuovendo l’autoespressione, cioè la persona si sente sostenuta nell’esprimersi come persona unica e specifica, in contrasto con le stereotipie e gli automatismi della tossicodipendenza. L’utente si sente rassicurato nel poter abbandonare, momentaneamente, la maschera del tossico con tutti i suoi codici e tutte le sue abitudini. Questo avviene se si costruisce l’idea della normale diversità delle persone e del fatto che ciascuno vede il mondo a proprio modo. Viene continuamente esplicitato che, in pre-accoglienza (quindi in un ambito definito di tempo e di contesto) le regole sono diverse per tutti. Ogni utente ha obiettivi terapeutici personalizzati, quindi a ciascuno possono venire richieste cose diverse. Questa esplicitazione, quando diventa patrimonio condiviso, permette di abbattere tutte quelle rimostranze di tipo “giustizialistico”, spesso di tipo paranoico, per le quali ci si lamenta del servizio per il fatto di essere trattati in maniera diversa. Su questa diversità è importante costruire continuamente significati: ad esempio esplicitando che, in uno specifico momento, a qualcuno viene richiesto un maggiore sforzo perché ritenuto capace di sostenerlo, a qualcun altro vengono fatte concessioni perché si trova in un momento di difficoltà. Un esempio di regole diverse per tutti può essere rappresentato dal percorso di un ragazzo che per un periodo arrivava in pre-accoglienza per stendersi su una panca a dormire. In un lavoro condiviso di équipe si è valutato che la presenza del ragazzo era già un elemento apprezzabile, tenuto conto della sua situazione molto compromessa. Tale atteggiamento invece di sollevare le rimostranze degli altri utenti, ai quali veniva richiesto di faticare facendo esercizi fisici, ha creato un sistema di solidarietà, che ha permesso a questo ragazzo di essere agganciato dal servizio e fare un percorso molto positivo, che nel giro di due anni lo ha portato prima alla comunità diurna, poi a sostenere in autonomia un lavoro. In pratica il focus si è spostato dalle regole e dalla loro applicazione, alle persone e alle loro sofferenze e potenzialità. È importante far osservare il successo (promozione) per rafforzare ulteriormente la cultura della personalizzazione e la fiducia nel processo. Questo non significa che al paziente è concesso di fare tutto, vengono definiti i vincoli del servizio, entro i quali ci si può muovere, se i vincoli non sono rispettati il percorso perde senso e viene interrotto sottolineando l’incompatibilità tra le prospettive dell’utente e quelle del servizio, prospettive entrambe legittime. La differenza tra vincoli e regole è fondamentale; le regole possono essere trasgredite e possono portare a sanzioni, i vincoli invece rappresentano i confini invalicabili di un sistema, se tali vincoli non vengono rispettati allora il sistema perde senso, quindi si conclude l’esperienza. Ogni organizzazione dovrebbe riflettere e condividere quali vincoli porsi, in quanto i vincoli aiutano a definire i confini ed il senso dell’organizzazione stessa. Ad esempio in pre-accoglienza si sono definiti i seguenti vincoli: gli utenti presenti devono portare una richiesta esplicita di aiuto; non è permesso partecipare quando si è sotto effetto di sostanze stupefacenti o alcol; non è tollerato lo spaccio; non è ammessa la violenza verbale e fisica reiterata.
I codici comunicativi: giustizia vs benessere, educazione vs terapia
Quanto detto sopra fa intuire che la comunicazione degli operatori sarebbe auspicabile si centrasse costantemente sull’affrontare il significato di benessere, tralasciando altri codici comunicativi [8]. Ad esempio conviene lasciare in ombra il tema della giustizia, evitando il codice giusto/ingiusto, per promuovere riflessioni sul codice star bene/star male. Un’altra distinzione di codici comunicativi, da tenere in considerazione soprattutto per gli operatori, riguarda la finalità del percorso di ciascun utente: è importante chiedersi se sia centrale il codice terapeutico/non terapeutico oppure il codice educativo/non educativo. Infatti può capitare che l’operatore scivoli nel centrare gli interventi su aspetti strettamente educativi, tralasciando quelli terapeutici. Ad esempio certe reazioni di tipo emotivo da parte degli utenti possono essere osservate da alcuni operatori come molto maleducate e per questo essere censurate o sanzionate; per altri operatori le stesse azioni potrebbero avere un valore terapeutico e rappresentare un’occasione di riflessione e di intervento. Sta all’operatore scegliere a quale codice dare priorità. Riportando un’esperienza concreta, in una gita un ragazzo ha risposto in modo aggressivo ad un accompagnatore. Tale episodio non è stato trattato in termini educativi, ma in modo terapeutico nel gruppo. Assieme al ragazzo si è ricostruito l’episodio, chiedendogli quale fosse il suo sentire del momento e se avesse osservato la reazione dell’accompagnatore; inoltre si sono messe a confronto le osservazioni del ragazzo con quelle degli altri presenti. Ne è nato un percorso molto interessante, per cui sono emerse la totale inconsapevolezza del ragazzo riguardo al proprio tono aggressivo, la sorpresa di essere stato osservato come aggressivo dagli altri e la disponibilità (fiducia) ad essere avvisato ogni volta che quella aggressività fosse nuovamente percepita dagli altri. Ciò ha permesso anche una riflessione: il ragazzo ha detto di aver capito perché spesso le persone si allontanavano da lui. Nel giro di qualche mese tale modalità è diventata operativa più volte, il ragazzo è stato avvisato dal gruppo del suo atteggiamento aggressivo, ciò sembra abbia aumentato la sua consapevolezza, tanto da ridurre drasticamente questi episodi disfunzionali.
La gestione dei tentativi relazionali di confronto
Nella relazione terapeutica, ma anche umana, con una persona tossicodipendente l’esperienza della delusione è un evento da considerarsi come scontato. La scarsa competenza empatica del tossicodipendente e lo stile strumentale, di cui ho parlato, fanno percepire all’operatore (psicologo, medico, educatore, assistente sociale, ecc.) il comportamento dell’utente in contrasto con le prospettive di salute, spesso anche concordate. Alcuni di questi comportamenti sono osservati come delle vere e proprie provocazioni, degli attacchi personali rivolti dal tossicodipendente all’operatore. È importante distinguere tra queste azioni quelle che rappresentano un tentativo relazionale di confronto [4]. Infatti l’operatore spesso diventa una persona significativa, affettivamente significativa, per l’utente, il quale tenta di sviluppare tale relazione personale a suo modo, con le sue competenze e modalità di espressione, che sono diverse da quelle che l’operatore si aspetta. Intuire che determinati comportamenti o comunicazioni del tossicodipendente, per quanto inadeguati, sono un tentativo di entrare in relazione con l’operatore, permette di cogliere un’importante occasione di intervento. Questo tentativo relazionale di confronto va gestito e ridefinito, dando all’utente gli strumenti per relazionarsi in modo più adeguato ed empatico. Tale gestione va fatta nei modi e nei tempi opportuni, ricostruendo nuovi significati, come descritto nei punti seguenti.
La gestione delle crisi, la scelta del tempo (emozioni in corso)
Quando accadono degli episodi critici, che segnano una crisi del percorso terapeutico, è importante scegliere come (lo vedremo nel punto successivo) e quando intervenire. A riguardo è importante valutare l’intensità e la qualità delle emozioni in corso, sia quelle dell’utente tossicodipendente, sia quelle dell’operatore. Goleman [2] definisce come sequestro emotivo quella situazione in cui una persona è talmente emozionata (paura, rabbia, tristezza, felicità, ecc.) che le sue capacità cognitive e di riflessione sono compromesse. In questi casi voler intervenire “a caldo” è poco efficace. Accade spesso che gli operatori siano presi dall’urgenza di intervento, mentre conviene riprendere l’accaduto in momenti emotivamente più neutri, cosa che spesso non viene fatta. Si tratta di non intervenire sull’urgenza (aspetto che caratterizza la tossicodipendenza), ma allo stesso tempo di essere tenaci: anche quando il fatto è passato ed emotivamente lontano, è importante ricostruire ciò che è accaduto dai diversi punti di vista, dare delle nuove letture, costruire nuovi significati, rendere visibili ed espliciti le strumentalizzazioni e gli automatismi, pensare e condividere strategie preventive per il futuro. Tutto questo lavoro, per quanto faticoso, promuove le capacità di previsione degli utenti e degli operatori, anticipando e riducendo il ripetersi delle stesse modalità disfunzionali.
Promuovere il disorientamento
Si è visto sopra che l’intervento terapeutico consiste anche nella costruzione di nuovi significati, cioè nel promuovere delle nuove visioni del mondo (per es. osservare gli operatori: come persone che mi vogliono fregare vs come persone alle quali posso concedere fiducia). Il problema è che l’ambiente e la “cultura” tossicomanici sono molto strutturati nell’interpretazione del mondo. Per questo, prima di introdurre nuove prospettive di significato, ritengo sia utile creare un po’ di disorientamento, per mettere in crisi certe credenze ed “evidenze” molto radicate, tipiche della tossicodipendenza. La pre-accoglienza ha promosso questo disorientamento anche attraverso delle gite, che hanno portato gli utenti in contatto con quella che loro stessi chiamano la “normalità”, la quale spesso risulta difficilmente sostenibile. Mettere gli utenti in stretto contatto con persone e situazioni estranee all’ambiente “tossico” crea un certo disorientamento. Vengono a mancare i riferimenti ed i codici tipici della tossicodipendenza, gli utenti spesso risultano imbarazzati, intimiditi, goffi nel relazionarsi in termini personali con persone che non rientrano nel loro ambiente. Una modalità “tossica” standard per trattare gli “altri” è quella dell’aggressività, ma là dove ci sia una accoglienza empatica e fiduciosa, utenti abituati a far rapine, a scippare, a fare a botte appaiono intimiditi, impacciati, emozionati, perché non sanno come trattare questa “normalità”. Effettivamente la “normalità” richiede molte competenze relazionali, nella “normalità” le persone sono più imprevedibili perché autonome, uniche e specifiche; inoltre ci sono convenzioni meno standardizzate e più centrate su aspettative di espressioni empatiche e personalizzate. In particolare, per i tossicodipendenti risulta significativamente perturbante il confrontarsi con forme comunicative nuove, come la frequentazione [5] cioè una esperienza di equilibrio tra divertimento (comunicazione estesa) ed amicizia (comunicazione intensa), che promuove la personalizzazione. È interessante che queste esperienze emotivamente forti, dove gli utenti sperimentano la loro incompetenza relazionale, vengono descritte come interessanti e positive dagli utenti stessi, i quali chiedono di ripeterle. Tali esperienze vengono discusse nei gruppi, dove si approfondiscono gli aspetti relazionali ed emotivi della frequentazione. Ciò permette di riorientare la persona verso nuove aspettative, dove sia possibile sostenere con fiducia la diversità, l’imprevedibilità, i rischi della personalizzazione.
POTENZIALI SVILUPPI
L’analisi della struttura della cultura della dipendenza
Una riflessione che emerge da questo lavoro riguarda l’opportunità di studiare la tossicodipendenza da un punto di vista comunicativo, andando ad identificare gli elementi strutturali della “cultura della tossicodipendenza”. Alcuni di questi elementi sono stati riportati in questo lavoro, come l’urgenza, la compromissione empatica, la standardizzazione, l’autopromozione circolare della sostanza. Tali elementi strutturali risultano interessanti da un punto di vista terapeutico-operativo, in primo luogo per distinguere gli elementi strutturali da quelli non strutturali, in secondo luogo per identificare per ciascun elemento strutturale un elemento di contrasto. Promuovere gli elementi di contrasto significa promuovere la cultura dell’autonomia personale.
La costruzione della cultura dell’autonomia personale
In base a quanto detto sopra, si potrebbe interpretare il percorso terapeutico come promozione degli elementi di contrasto alla struttura tossicodipendente. Ciò significa costruire una cultura dell’autonomia personale, promuovendo ad esempio la capacità di riflessione, l’allenamento alla gestione del tempo, l’intelligenza emotiva (empatia), la personalizzazione, la frequentazione, ecc. A riguardo diventa importante distinguere tra elementi funzionali ed elementi non funzionali; ad esempio dall’esperienza descritta emerge che i percorsi terapeutici centrati esclusivamente sull’impegno non sono funzionali perché l’incapacità ad impegnarsi rappresenta un sintomo piuttosto che un elemento strutturale della tossicodipendenza, mentre risulta più impattante lavorare sulle capacità empatiche e sulle competenze di frequentazione. In conclusione, la costruzione della fiducia, intesa come processo di promozione di competenze (capacità di riflessione, intelligenza emotiva e relazionale, capacità di reggere la frequentazione), può rappresentare un sistema per ridurre la complessità della cura della tossicodipendenza e promuovere quegli elementi di contrasto alla cultura della dipendenza patologica. In questa prospettiva diventa centrale spostare il focus dalla patologia al benessere. Come si sono analizzati e studiati i significati della dipendenza, sarebbe utile approfondire i significati di autonomia personale, di benessere e di fiducia, costruendo strategie di promozione, dove le sostanze non siano più protagoniste, ma protagonista sia qualcos’altro. È su questo altro che dovremmo rivolgere l’attenzione.
BIBLIOGRAFIA
1. Cancrini L. Quei temerari sulle macchine volanti. Studio sulle terapie dei tossicomani. Roma: NIS, 1982.
2. Goleman D. Emotional intelligence. New York: The New Science of Human Relationship, 1995. [trad. it. Intelligenza emotiva. Milano: Rizzoli, 1997].
3. Luhmann N. Vertrauen. Ein Mechanismus der Reduktion sozialer Komplexitat. Stuttgart: Lucius & Lucius, 1968. [trad. it. La fiducia. Bologna: Il Mulino, 2002].
4. Baraldi C. Suoni nel silenzio, adolescenze difficili e intervento sociale. Milano: Franco Angeli, 1994.
5. Giordani M, Noro A (a cura di). Nautibus, esperienze di intervento sociale con gli adolescenti. Milano: Franco Angeli, 2004.
6. Ingrosso M (a cura di). La promozione del benessere sociale. Milano: Franco Angeli, 2006.
7. Guidano VF. La complessità del Sé. Torino: Bollati Boringhieri, 1988.
8. Baraldi C, Corsi G, Esposito E. Luhmann in glossario. I concetti fondamentali della teoria dei sistemi sociali. Milano: Franco Angeli, 1996.