Introduzione al libro di Maria Laura Vittori:
“Guida al paradigma relazionale: la teoria,
la clinica, l’intrinseca bellezza”

Luigi Cancrini1



Il libro di Maria Laura Vittori è un libro importante. Dal punto di vista scientifico, perché lo sforzo dell’Autrice è quello di ricostruire il filo che lega l’esperienza e lo studio dei più importanti fra gli psicoterapeuti del nostro tempo, sottolineandone la continuità ed evitando le polemiche e le guerre “di religione” che tanto ne hanno danneggiato la storia e fermato il progresso. Ma dal punto di vista clinico, anche, perché ciò che resta di quei discorsi, nella storia del pensiero psicoterapeutico ricostruita da Laura, è soprattutto la loro capacità di orientarci nel momento in cui ci troviamo di fronte al dolore. Degli uomini e dei bambini.
Inevitabile, per chi come Laura di psicoterapia vuole ragionare e parlare, un ritorno a Freud. E ad un Freud depurato, però, dalle riflessioni sull’istinto di morte e salvato dai riti e dai pregiudizi di tanti degli psicanalisti “ortodossi”. Capace di proporre, come punto di repere fondamentale del suo lavoro di ricerca, l’idea per cui l’origine dei disturbi dell’adulto va ricercata sempre nelle “esperienze sfavorevoli” o nelle situazioni più apertamente traumatiche dell’infanzia e dell’adolescenza: quelle con cui ci si scontra lavorando con le infanzie infelici e quelle che vengono ricostruite, quando ciò non è stato possibile, nel corso dell’analisi personale dell’adulto. Immaginando interventi che si muovono ancora una volta sulle linee proposte nei “Casi Clinici” di Freud 2. Lavorando direttamente con i bambini e con gli adolescenti, cioè, come fa lui con il piccolo Hans e con Dora e come faranno con i bambini dell’Hampstead Child-Therapy Training Course and Clinic la figlia Anna e Dorothy Burlingham (dopo di loro, John Bowlby o Donald Woods Winnicott), o ricostruendoli, a distanza di tempo, nella situazione psicoanalitica: come nel caso dell’uomo dei topi e dell’uomo dei lupi e come in tanta psicoanalisi, psicoterapia psicoanalitica o relazionale successiva. Fedeli sempre all’idea fondamentale per cui ad essere curabili con strumenti di ordine psicologico sono, se si lavora sufficientemente bene, un numero molto grande di disturbi che troppi psichiatri tentano inutilmente di curare, ancora oggi, usando solo la terapia farmacologica.
Difficile non concordare con Laura, su questo punto, quando si sofferma sulle convergenze profonde e sulla continuità sostanziale, evidente a chi studia i disturbi senza preconcetti di scuola, fra le ricerche di chi, come la Klein o la Mahler, allargano il campo delle “esperienze sfavorevoli” del piccolo bambino monitorando con attenzione scrupolosa le vicende della relazione fra il bambino e la figura che gli offre cure materne (il o i caregiver) e quelle di chi si è occupato direttamente delle famiglie e delle interazioni patologiche che si determinano al loro interno. Il lavoro psicoanalitico si fa naturalmente “sistemico”, ci segnala Laura, nel momento in cui la rilettura dello sviluppo psichico si sposta sull’asse della relazione madre-bambino ed inevitabilmente include, per chi ha un po’ di buon senso, l’insieme delle relazioni in cui “quella” madre è immersa nel momento in cui si occupa, nel bene e nel male, di “quel” bambino. Allo stesso modo in cui il lavoro più tradizionalmente e dichiaratamente “sistemico” dei terapeuti familiari e relazionali si fa e non può non farsi anche “psicoanalitico” nel momento in cui si confronta con il modo in cui le vicende della relazione fra madre e bambino innescano (e rinforzano o mettono in crisi) gli schemi difensivi che il lavoro psicoanalitico ha individuato nel funzionamento non consapevole della mente umana. Permettendo di riconoscere, con Lorna Smith Benjamin, le situazioni tipiche e gli sviluppi tipici dei diversi disturbi. Ma permettendo anche, a chi a ciò si prepara convenientemente, di verificare e di utilizzare il ritorno di quei vissuti e di quegli schemi difensivi nella relazione terapeutica. Alimentando il gioco complesso, ma sempre decifrabile, del transfert e controtransfert. Su cui Laura Vittori insiste particolarmente nel suo testo. Chiarendo quanto sarà importante conoscerle (e riconoscerle) quando ci si assume la responsabilità di un lavoro terapeutico.
Questo modo di ricostruire, tutto centrato sul positivo, su ciò che di buono c’è nel lavoro di ognuno dei terapeuti studiati (fra cui, lo dico con gratitudine, ci sono anch’io, che con un certo stupore mi rendo conto, leggendo, della logica che lega i libri e i saggi così diversi che ho scritto in tanti anni) tutta la freschezza luminosa del sorriso e del lavoro di Laura. Cui e di cui dico sempre che è stata la migliore delle mie allieve negli anni ormai lontani in cui la seguivo nel corso del suo training come allieva didatta del nostro Centro Studi. È proprio quella freschezza luminosa quella che ritrovo ora all’improvviso leggendo un libro di cui lei mi aveva parlato solo fugacemente e di cui mi colpiscono la profondità e la chiarezza. Simili assai a quelle da lei esibite in seduta nel contatto con i pazienti ma rivolte ora, con questo scritto, a chi alla psicoterapia si avvicina (agli allievi, cioè, delle scuole di psicoterapia) ed a chi come psicoterapeuta già lavora. Un libro producendo che io vorrei “prescrivere” a tutti loro perché molto li aiuterà, ne sono convinto, a capire di più di quello che stanno facendo. Ed a lavorare meglio.

Roma, 14 luglio 2014